(Amir Levy/Getty Images)

Perché Israele non ha invaso la Cisgiordania

Netanyahu aveva promesso di farlo il primo luglio, ma fin qui non è successo niente: la situazione si è ingarbugliata più di quanto aveva previsto

Per settimane il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva promesso che a partire dal primo luglio avrebbe ordinato una parziale annessione della Cisgiordania, un territorio che la comunità internazionale attribuisce al futuro stato palestinese ma che Israele occupa da più di mezzo secolo. Il primo luglio, però, non è successo niente: nemmeno una operazione simbolica o un annuncio di qualche tipo.

Ufficialmente Netanyahu ha detto che continuerà a occuparsi del piano di annessione «nei prossimi giorni», ma secondo osservatori ed analisti ci sono motivi per credere che lo stallo potrebbe durare settimane, oppure che l’annessione venga momentaneamente accantonata.

Il piano di annessione era contenuto nel contratto di governo concordato fra i due principali partiti che sostengono la coalizione: il Likud di Netanyahu, che in base all’accordo rimarrà primo ministro fino alla fine del 2021, e il partito centrista Blu e Bianco, guidato dall’ex capo dell’esercito Benny Gantz. Il piano del governo non è mai stato diffuso ma dalle informazioni raccolte dai giornalisti assomiglia moltissimo al compromesso proposto qualche mese fa dall’amministrazione statunitense di Donald Trump, totalmente sbilanciato a favore degli israeliani.

La proposta di Trump accoglieva molte richieste che la destra religiosa e nazionalista israeliana, convinta che la Cisgiordania spetti al popolo ebraico, avanzava da tempo. Nel modello immaginato dall’amministrazione statunitense Israele annetterebbe al proprio territorio tutte le colonie costruite illegalmente nella cosiddetta Area C, cioè le zone della Cisgiordania che gli accordi di Oslo assegnavano a un futuro stato palestinese, ma la cui gestione civile e militare è rimasta nelle mani di Israele. Assieme alle colonie verrebbe annessa al territorio israeliano anche la Valle del Giordano, un’ampia zona fertile già controllata militarmente dall’esercito israeliano che Netanyahu aveva promesso di annettere già un anno fa.

– Leggi anche: Il piano di Israele per annettere le colonie

A prima vista, le condizioni di questo periodo sembravano perfette per Netanyahu: il mondo è distratto da una pandemia, gli Stati Uniti sono guidati da Trump – il principale alleato politico internazionale di Netanyahu – e la leadership palestinese non è mai stata così fragile. In realtà, nelle ultime settimane sono subentrati diversi ostacoli che alla fine hanno evidentemente costretto Netanyahu a rinviare i piani di annessione, almeno per ora.

Il primo problema è che Netanyahu ha dato per scontato che l’amministrazione Trump lo avrebbe sostenuto senza chiedere nulla in cambio. In realtà sembra che i funzionari statunitensi abbiano posto come condizioni per il proprio appoggio il completo accordo politico all’interno del governo israeliano – «i funzionari vogliono evitare che Gantz possa accusare Trump di aver messo in pericolo le vite degli israeliani durante la campagna per la rielezione», scrive il New York Times – e una forma di compensazione ai palestinesi, su cui non è stato trovato alcun accordo.

Netanyahu aveva anche creduto che il contratto di governo avrebbe vincolato Gantz a sostenere qualsiasi piano di annessione: in realtà l’accordo prevedeva che qualsiasi piano venisse avviato non prima di luglio, e negli ultimi giorni Gantz ha usato questa formula per rinviare la questione, spiegando che «tutto quello che non riguarda la battaglia contro il coronavirus dovrà aspettare». Gantz non ha improvvisamente cambiato idea: più probabilmente ha dato un’occhiata ai sondaggi, secondo cui più di due terzi degli israeliani sono contrari a un piano di annessione unilaterale.

Per giorni diversi commentatori e analisti hanno ribadito che l’annessione unilaterale delle colonie in Cisgiordania avrebbe conseguenze enormi soprattutto sul piano della sicurezza, sia quella interna sia quella esterna.

L’annessione sarebbe seguita quasi certamente da grandi rivolte popolari nelle città arabe della Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Gershon Baskin, un noto attivista pacifista israelo-statunitense, ha scritto sul Jerusalem Post che le dimensioni delle proteste saranno paragonabili alla Seconda Intifada, la seconda rivolta popolare palestinese che fra il 2000 e il 2005 causò la morte di migliaia di persone fra attacchi terroristici da parte dei palestinesi e violentissime ritorsioni dell’esercito israeliano.

Qualche settimana fa tre ex militari israeliani avevano scritto un articolo sulla rivista Foreign Policy per argomentare che l’annessione sarebbe inoltre un mezzo disastro per le relazioni faticosamente costruite da Israele con i paesi limitrofi a maggioranza araba, Egitto e Giordania. Entrambi sarebbero costretti a prendere posizione contro l’annessione e a sospendere la collaborazione con le agenzie di intelligence israeliane, che in questi anni ha permesso a Israele di creare una specie di cintura di sicurezza attorno al proprio territorio.

I principali leader politici mondiali da tempo hanno messo in chiaro che non difenderanno Israele in caso di un’annessione unilaterale. Ieri l’ha ribadito anche il primo ministro britannico Boris Johnson, che in un articolo di opinione scritto in ebraico su uno dei quotidiani più letti nel paese, Yedioth Ahronoth, ha anticipato che il Regno Unito non riconoscerà alcuna modifica dei confini attuali.

Non è chiaro cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni, dato che nessuna decisione sembra imminente. Ieri un funzionario dell’intelligence israeliana ha detto alla radio dell’esercito che il governo non si è ancora incontrato per discutere formalmente dell’annessione, mentre uno dei leader dell’opposizione in Parlamento, Avigdor Lieberman, sostiene che nessuno dei principali capi dell’esercito e dell’intelligence sia stato coinvolto nelle conversazioni degli ultimi giorni.

Netanyahu sa bene che la finestra per avviare l’annessione potrebbe chiudersi a breve: «si rende perfettamente conto che le possibilità che Trump venga rieletto a novembre stanno scemando», ha scritto su Haaretz Anshel Pfeffer, corrispondente dell’Economist da Gerusalemme e biografo non ufficiale di Netanyahu.

Netanyahu è talmente consapevole che Trump potrebbe perdere le elezioni presidenziali che secondo Pfeffer ha sospeso i piani di annessione per non deteriorare i rapporti con l’avversario Democratico di Trump, Joe Biden, che si è esplicitamente opposto all’annessione. «Rinviare l’annessione permetterebbe a Netanyahu di partire col piede giusto con Biden», scrive Pfeffer: «se la distanza nei sondaggi fra i due continuerà ad aumentare, la prospettiva di un’annessione diventerà sempre più remota».

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