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  • Domenica 14 giugno 2020

Cosa dicono i sondaggi su Trump e Biden

Il candidato del Partito Democratico sembra essere in vantaggio, ma bisogna sapere come leggerli: il sondaggio recente che vede Biden avanti di 14 punti, per esempio, vale poco

(Win McNamee/Getty Images)
(Win McNamee/Getty Images)

Da giorni negli Stati Uniti vengono diffusi sondaggi molto preoccupanti per il presidente in carica, Donald Trump, e favorevoli per il suo avversario del Partito Democratico, Joe Biden. Alle elezioni presidenziali mancano ancora cinque mesi, durante i quali potrebbero cambiare moltissime cose: nel frattempo però possiamo fare qualche valutazione sullo stato di salute delle due candidature, e delle strategie che potrebbero seguire nei prossimi mesi.

Il sondaggio che in assoluto è circolato di più lo ha realizzato alcuni giorni fa CNN e mostra Biden in vantaggio di 14 punti su Trump su un campione di elettori presenti negli elenchi elettorali. Il divario può sembrare enorme, ma vanno precisate alcune cose. La prima riguarda i sondaggi in quanto tali, che dopo le elezioni del 2016 sono stati accusati di aver sbagliato clamorosamente le proprie previsioni: una cosa non completamente vera. I sondaggi nazionali hanno predetto il risultato con esattezza – davano Clinton circa tre punti avanti a Trump, e Clinton ha concluso due punti avanti a Trump – mentre quelli statali hanno sbagliato in tre stati, che Trump ha vinto per pochissimi voti e sono risultati decisivi: Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. La diffusa convinzione che Trump non potesse vincere era sostenuta più dagli opinionisti che dai sondaggi.

La seconda è che queste settimane non sono il periodo peggiore in assoluto per il consenso di Trump. Secondo una media calcolata da FiveThirtyEight, oggi Trump ha un tasso di popolarità del 41,1 per cento, mentre il suo operato non piace al 54,9 per cento degli americani. È un dato basso ma non bassissimo: era stato inferiore sia nei primissimi mesi del suo mandato sia nei primi mesi del 2019. Nonostante le apparenze – che riguardano soprattutto la sua gestione disastrosa della pandemia da coronavirus e delle estese proteste per il razzismo – Trump non è nel momento peggiore del suo mandato per quanto riguarda il tasso di approvazione del suo operato.

(grafico di FiveThirtyEight)

Alle elezioni presidenziali statunitensi, inoltre, non vince il candidato più votato in assoluto su base nazionale: il presidente viene eletto da una serie di delegati che vengono assegnati in base ai risultati elettorali in ciascuno stato. Se un certo stato assegna 100 delegati, vengono assegnati al candidato che ottiene anche un solo voto in più in quel singolo stato. In alcuni stati i Democratici o i Repubblicani sono talmente forti e in vantaggio che quasi non fanno campagna elettorale. Per diventare presidente, quindi, non è necessario ottenere più voti dell’avversario, ma batterlo in alcuni stati chiave dove il voto è distribuito in modo più equilibrato (sono i cosiddetti swing states).

Alle elezioni presidenziali del 2016 Trump ottenne il 46,1 per cento dei voti totali, due punti in meno rispetto alla candidata Democratica, Hillary Clinton. Eppure vinse lo stesso perché ottenne 304 delegati contro i 227 di Clinton. Per questo i sondaggi su base nazionale – che nel 2016 avevano correttamente individuato il vantaggio di Clinton – contano fino a un certo punto.

Gli ultimi dati restano comunque piuttosto preoccupanti per il comitato elettorale di Trump. Sia Jimmy Carter sia George H.W. Bush, cioè gli ultimi due presidenti a non essere rieletti, avevano un tasso di approvazione inferiore al 40 per cento nell’ultimo periodo del proprio mandato: un dato da cui Trump non è così lontano.

Biden, dall’altra parte, sembra messo decisamente meglio. Rispetto ai voti ottenuti da Clinton nel 2016 sembra avere un consenso molto più ampio in alcune fasce decisive dell’elettorato, come le persone sopra ai 65 anni e i laureati. Secondo un sondaggio di inizio maggio Biden ha anche un vantaggio di circa 30 punti fra gli elettori che non apprezzano particolarmente nessuno dei due candidati. Al momento però il suo consenso fra le minoranze etniche è inferiore rispetto a Clinton: anche per questo, forse, negli ultimi giorni si è parlato molto della possibilità di candidare come vicepresidente una donna afroamericana.

Dato che Trump rimane popolarissimo fra i Repubblicani – e quindi i Democratici hanno poche speranze di “sfondare” negli stati che votano più a destra – per Biden sarà ancora più importante vincere negli swing states.

Secondo un recente sondaggio di Priorities USA, un gruppo che sostiene apertamente i Democratici, Biden è in vantaggio in cinque swing states che nel 2016 erano stati vinti da Trump: Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, Arizona e North Carolina, mentre Biden e Trump sarebbero praticamente pari in Florida.

Anche il sito Real Clear Politics, che calcola una media dei principali sondaggi, dà Biden in vantaggio di sette punti in Michigan e di circa tre punti in Pennsylvania, Wisconsin, Arizona e Florida. Gli basterebbe vincere in due di questi quattro stati per essere presidente. Il vantaggio di Trump inoltre è apparentemente molto sottile in due stati storicamente Repubblicani, Texas e Georgia, che da tempo stanno cambiando dal punto di vista demografico: in Texas Real Clear Politics dà Trump in vantaggio di circa due punti – nel 2016 aveva staccato Clinton di quasi 10 – mentre in Georgia un sondaggio di qualche settimana fa aveva dato addirittura in vantaggio Biden (anche se la media di Real Clear Politics segnala Trump ancora davanti).

La stessa Priorities USA però avverte che se Biden perdesse 3 punti percentuali in due fasce chiave dell’elettorato – i bianchi non laureati e i non-bianchi – Trump sarebbe avanti in Florida e North Carolina, mentre raggiungerebbe Biden in Pennsylvania e Arizona.

Mentre Biden in queste settimane sta ragionando su come allargare la propria base e coinvolgere nuovi e diversi pezzi dell’elettorato – oltre ad annunciare la candidata vicepresidente, nelle prossime settimane dovrebbe avviare i “Repubblicani per Biden”, un gruppo di influenza per raccogliere i Repubblicani moderati stufi di Trump – Trump seguirà probabilmente la strategia che nel 2016 ha contribuito alla sua vittoria: massimizzare il consenso all’interno del partito e sperare che sia sufficiente a vincere negli stati più in bilico.

Le stime di queste settimane indicano che la corsa è ancora ampiamente aperta: senza contare che la campagna elettorale vera e propria – quella in cui gli americani vengono bombardati di spot, in cui i candidati si confrontano nei dibattiti e in cui i partiti si organizzano per portare più gente possibile al seggio – deve ancora iniziare.

Alcuni altri sondaggi, diversi da quelli che misurano il consenso del presidente in carica e del suo avversario, mostrano comunque che i prossimi mesi per Trump potrebbero essere in salita. Secondo un recente sondaggio di NBC News l’80 per cento degli americani ritiene che la situazione del paese sia fuori controllo – il 92 per cento dei Democratici e il 66 per cento dei Repubblicani – mentre l’appoggio per le istanze del movimento Black Lives Matter è aumentato del 28 per cento nelle ultime due settimane.