Le morti nelle RSA del milanese durante l’epidemia

Secondo un rapporto dell'ATS Milano, nei primi quattro mesi dell'anno ci sono stati 2.500 decessi in più rispetto al previsto, molti attribuibili alla COVID-19 anche se passati inosservati

(Ansa/Andrea Canali)
(Ansa/Andrea Canali)

L’Agenzia di Tutela della Salute (ATS) che comprende la città metropolitana di Milano e la provincia di Lodi ha diffuso un rapporto sulle morti nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA) negli ultimi mesi, durante l’epidemia da coronavirus. Lo studio è in linea con altri rapporti pubblicati nelle ultime settimane e indica un marcato aumento della mortalità nelle strutture per gli anziani, dove la COVID-19 ha causato centinaia di decessi soprattutto nelle regioni del Nord Italia.

Nelle RSA che si trovano nei territori di competenza dell’ATS di Milano sono state rilevate circa 2.500 morti in più rispetto a quanto ci si sarebbe normalmente atteso per i primi quattro mesi dell’anno, sulla base dei dati del quadriennio precedente. L’aumento più significativo è stato rilevato verso la fine di aprile, con quattro volte i decessi attesi dalle stime. Sono state interessate soprattutto le zone di Lodi-Codogno, dove era stato rilevato uno dei primi focolai italiani di COVID-19 a fine febbraio, e quelle dei comuni intorno alla città di Milano, che invece ha fatto rilevare un aumento più contenuto.

Il rapporto specifica che per ora non si può dire con certezza quanti decessi registrati nelle RSA possano essere attribuiti al coronavirus. Per circa un quarto delle morti è stato possibile accertare la COVID-19 come causa principale, mentre c’è un 59 per cento delle morti per le quali c’è un fondato sospetto che la causa possa essere stata il coronavirus, ma ormai senza la possibilità di avere una conferma definitiva.

Lo studio segnala che nel primo quadrimestre di quest’anno la mortalità nelle RSA è aumentata significativamente rispetto a quella degli anziani che vivono a casa. Il censimento ha riguardato 152 RSA per un totale di 18.531 anziani assistiti in queste strutture. Il 98 per cento degli ospiti ha un’età superiore a 65 anni ed è quindi più esposto alla COVID-19, che negli anziani può causare gravi complicazioni che in alcuni casi portano alla morte.

Nel periodo di riferimento tra il 2016 e il 2019 ad aprile erano morte in media poco meno di mille persone nelle RSA, mentre quest’anno i decessi sono stati 3.657, quindi 2.666 in più. Rapportato alla media degli ultimi cinque anni, lo studio calcola un eccesso di decessi di circa 2.500.

L’analisi del tasso di mortalità (rapporto tra numero di morti a causa delle malattia e totale della popolazione) offre ulteriori elementi per comprendere l’estensione dell’epidemia, ricordando sempre che i dati sono comunque parziali. Per la popolazione con età superiore a 70 anni il tasso di mortalità ha raggiunto il 73 per mille rispetto al 47 per mille del periodo 2016-2019, mentre se si guarda solamente la popolazione nelle RSA la mortalità è passata dal 120 per mille al 270 per mille.

Il grafico qui sotto mostra l’andamento del rapporto tra decessi rilevati e attesi dall’inizio dell’anno, per la popolazione sopra i 70 anni (linea blu) e per quella degli ospiti nelle RSA. L’andamento si mantiene più o meno simile fino alla prima metà di marzo, poi si differenzia nettamente con un aumento considerevole per le RSA, fino a un picco a metà aprile.

Il fatto che con i test sia stato possibile accertare chiaramente la COVID-19 come causa dei decessi nel 26 per cento circa dei casi deriva, secondo il rapporto, dal fatto che nei primi mesi dell’epidemia si effettuassero meno tamponi soprattutto nelle RSA. Nel censimento si sono quindi persi moltissimi casi per i quali non è possibile indicare con certezza il coronavirus come causa del decesso, anche se ritenuto molto probabile dalla ricerca.

Il rapporto dell’ATS di Milano, ampiamente ripreso dal sito Scienza in Rete, contiene alcune considerazioni sull’aumento significativo dei decessi nelle RSA. Sul dato ha inciso la presenza nelle strutture di persone molto anziane e con altre malattie, quindi molto più esposte ai rischi derivanti dalla COVID-19, rispetto al resto della popolazione anziana che vive autonomamente a casa e con migliori condizioni di salute.

Sui decessi ha però anche influito il modo in cui sono organizzate le RSA, che in alcune circostanze si sono rivelate inadeguate per trattare gli ospiti o per isolarli, in modo da ridurre la diffusione del contagio, anche tra il personale che fornisce l’assistenza. Soprattutto nella prima fase dell’epidemia le RSA sono state esposte al contagio dall’esterno, proprio perché in queste strutture si seguono politiche tese a incentivare i contatti con l’esterno degli ospiti, per aiutarli a vivere meglio la loro condizione. Nella fase acuta dell’emergenza sanitaria si era poi deciso di limitare o fermare quasi completamente le visite dall’esterno, ma evidentemente il coronavirus aveva già iniziato a diffondersi nelle RSA causando numerosi contagi, non rilevati tempestivamente.