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  • Lunedì 8 giugno 2020

Il movimento che vuole tagliare i fondi alla polizia statunitense

Esiste da tempo ma è diventato improvvisamente più centrale dopo la morte di George Floyd, anche come possibile soluzione alla crisi legata al coronavirus

Manifestanti con un cartello che chiede di tagliare i fondi alla polizia a Minneapolis, il 6 giugno. (Stephen Maturen/Getty Images)
Manifestanti con un cartello che chiede di tagliare i fondi alla polizia a Minneapolis, il 6 giugno. (Stephen Maturen/Getty Images)

Un movimento statunitense che esiste da anni sta ottenendo in questi giorni maggiori attenzioni e considerazioni dopo la morte di George Floyd, l’uomo afroamericano ucciso da un agente di polizia di Minneapolis durante un arresto violento. Il movimento si identifica con la richiesta di “tagliare i fondi alla polizia” – defund the police nello slogan in inglese – e chiede in sostanza che i budget locali e federali statunitensi riducano drasticamente (fino a eliminare, nelle rivendicazioni più radicali) il budget destinato alle forze dell’ordine.

Una richiesta del genere è sembrata a lungo sconsiderata ed estremista, ma quello che è successo nelle ultime settimane ha cambiato piuttosto velocemente il contesto in cui è avanzata, rendendola improvvisamente più popolare. I motivi sono essenzialmente due: i numerosissimi episodi di violenza commessi dalla polizia nella repressione delle proteste del movimento Black Lives Matter di questi giorni, e le necessità impellenti di tagliare la spesa pubblica per certi settori per rispondere alla crisi economica seguita alla pandemia da coronavirus.

Il principio alla base del movimento che chiede di tagliare i fondi alla polizia statunitense è che la spesa pubblica destinata alle forze dell’ordine sia sproporzionata e che abbia l’effetto opposto a quello desiderato, cioè ridurre il crimine e rendere più sicure le città. Negli ultimi quarant’anni negli Stati Uniti il budget per la polizia è triplicato e oggi ammonta a 115 miliardi di dollari all’anno. Per fare un paragone, la spesa dedicata ai Centers for Disease Control and Prevention, l’organismo statunitense che si occupa di sanità pubblica, è di 11 miliardi all’anno, quella per l’Agenzia per la protezione dell’ambiente di 9 miliardi. Ci sono città, come Los Angeles, che spendono più della metà del proprio budget per la polizia (1,8 miliardi).

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Ma il problema non è solo economico. Gli enormi fondi diretti alla polizia statunitense hanno portato a una sua crescente militarizzazione, dotandola di carri armati, granate stordenti e armi da guerra che secondo gli attivisti aumenterebbero il senso di onnipotenza e impunità degli agenti. Inoltre gli Stati Uniti, secondo molti, hanno un problema di eccessiva dipendenza dalla polizia, che viene chiamata e interviene per risolvere problemi che potrebbero essere gestiti più efficacemente da altri. Il caso di Floyd, ucciso mentre veniva schiacciato a terra con la semplice accusa di aver usato una banconota da 20 dollari contraffatta, è stato un esempio lampante di come l’intervento della polizia possa trasformare situazioni tranquille e ordinarie in eventi di grande violenza. Ma il dibattito negli Stati Uniti riguarda l’efficacia della polizia in una lunga serie di circostanze, per esempio quelle che riguardano persone tossicodipendenti o con problemi di salute mentale, che potrebbero essere gestite e aiutate meglio da medici e assistenti sociali.

La polizia impegnata nella repressione delle proteste a Minneapolis, il 30 maggio. (Scott Olson/Getty Images)

Queste rivendicazioni sono legate strettamente alla questione della discriminazione razziale. Le operazioni di polizia che dovrebbero essere eliminate, secondo il movimento, sono quelle che rientrano nella più ampia tendenza alla criminalizzazione della povertà, cioè quelle che intervengono per imporre la legge in situazioni disagiate, che riguardano più spesso persone di minoranze etniche che bianche. Il problema è che la legge che la polizia fa rispettare in molti casi è frutto di un sistema che discrimina gli afroamericani (ma anche gli ispanici) imponendo pene straordinariamente severe per reati che riguardano solitamente le comunità non bianche.

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È quello che viene chiamato “razzismo sistemico”, il tema principale delle proteste di questi giorni, e che fa sì per esempio che una persona nera abbia più probabilità di un bianco di essere fermato per un controllo di polizia, e che durante questi controlli sia doppiamente frequente la minaccia dell’uso della forza nei confronti dei neri o degli ispanici. Le manifestazioni del razzismo sistemico sono tantissime – e non riguardano solo il sistema giudiziario – e arrivano fino a dimensioni impressionanti e drammatiche: gli afroamericani vengono incarcerati con un tasso di cinque volte superiore a quello dei bianchi, per esempio.

La riduzione dei fondi e delle attività della polizia dovrebbe avere, nelle intenzioni degli attivisti, anche un effetto nella riduzione della popolazione carceraria statunitense, che ammonta a circa un quarto di quella mondiale, nonostante la popolazione degli Stati Uniti rappresenti soltanto il 5 per cento di quella globale. Gli afroamericani, che sono circa il 13,5 per cento della popolazione statunitense, rappresentano il 38 per cento della popolazione carceraria.

Due manifestanti con dei cartelli contro l’uso eccessivo della violenza da parte della polizia a Los Angeles, il 29 maggio. (Apu Gomes/Getty Images)

La soluzione, per chi sostiene il movimento che chiede di tagliare i fondi alla polizia, è che vengano eliminate tutta una serie di attività che nei fatti puniscono direttamente e sistematicamente le fasce più povere della popolazione, che spesso hanno come effetto collaterale aumentare le condizioni di disagio e di conseguenza il crimine. È una proposta che avrebbe come conseguenza una riduzione quantitativa dei compiti della polizia, una richiesta che spesso arriva peraltro dalla polizia stessa. Ma negli Stati Uniti la polizia rimane una forza assai popolare, e ha peraltro sindacati potenti e influenti che oppongono una forte resistenza ai tentativi di riforma, negando spesso che esista un problema di violenza e di responsabilità penale nelle forze dell’ordine.

Esistono diversi studi che sostengono che una riduzione delle forze dell’ordine non provochi un aumento della criminalità: uno uscito su Nature nel 2017 per esempio prende in considerazione un periodo di alcune settimane tra il 2014 e il 2015 in cui il New York Police Department decise di ridurre le operazioni “proattive”, cioè quelle di presidio e controllo per prevenire i crimini. In quel periodo ci furono 2.100 segnalazioni di crimini in meno.

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Ma il tema è anche un altro: al momento molte persone appartenenti alle minoranze non si sentono protette dalla polizia statunitense, ed eventi come l’uccisione di Floyd rendono evidente il perché. Nel 2015 il Guardian calcolò per esempio che nei 24 anni precedenti la polizia avesse ucciso 55 persone in Inghilterra e in Galles; le vittime di sparatorie in cui era stata coinvolta la polizia statunitense erano state di più soltanto nei primi 24 giorni di quell’anno.

Per la maggior parte di chi lo propone, tagliare i fondi alla polizia non significa eliminarne del tutto i finanziamenti, anche se esiste, soprattutto a livello accademico e di attivismo radicale, un attivo movimento per l’abolizione delle forze dell’ordine per come le intendiamo. Ma la corrente maggioritaria del movimento statunitense chiede di ridurli drasticamente per destinarli a investimenti nelle comunità più povere ed emarginate, migliorandone i servizi sociali, l’assistenza ai senzatetto, i programmi contro la violenza domestica e contro la diffusione di sostanze stupefacenti. Facendo in modo che a rispondere a questi problemi siano persone specializzate e che usino metodi radicalmente diversi da quelli della polizia, che si limiterebbe a intervenire quando esistono rischi e pericoli reali.

Questo tipo di rivendicazioni, rimaste minoritarie e poco attraenti per i politici statunitensi, sono diventate improvvisamente assai più condivise dopo l’uccisione di Floyd e le successive repressioni delle proteste, che hanno mostrato quanto sia diffuso il ricorso alla violenza ingiustificata da parte della polizia americana. E la crisi seguita alla pandemia da coronavirus, che ha portato finora oltre 40 milioni di persone a chiedere il sussidio di disoccupazione negli Stati Uniti, ha fornito un’ulteriore ragione per cui, per molti politici progressisti, pensare a un taglio dei fondi della polizia abbia senso.

Il sindaco di Los Angeles, per esempio, ha detto che taglierà di oltre 150 milioni di dollari il budget per la polizia, cambiando idea appena due giorni dopo averlo aumentato del 7 per cento. Un consigliere comunale di New York ha chiesto che dai finanziamenti al dipartimento di polizia della città sia tolto un miliardo, da distribuire altrove. Ci sono state proposte simili in tante altre grandi città americane, e a Minneapolis – dove è stato ucciso Floyd – la maggioranza dei consiglieri comunali ha annunciato che proporrà di smantellare il corpo di polizia locale.