C’è maretta dentro Facebook
Diversi dipendenti hanno criticato la decisione di non oscurare i post di Trump sulle proteste contro il razzismo, e ieri c'è stata una specie di sciopero
Da alcuni giorni diversi dirigenti e dipendenti di Facebook stanno criticando in modo molto esplicito alcune decisioni prese dal CEO e fondatore della società, Mark Zuckerberg, sull’approccio da tenere riguardo alle proteste contro il razzismo che da giorni vengono organizzate in decine di città degli Stati Uniti. Lunedì più di dieci dipendenti hanno tenuto una specie di sciopero per chiedere un cambio di direzione. Le critiche si sono saldate alle accuse che Zuckerberg riceve da tempo riguardo alla scarsa eterogeneità della dirigenza di Facebook, composta prevalentemente da maschi bianchi.
«Più di dieci dipendenti ed ex dipendenti hanno descritto le critiche come la sfida più impegnativa per la leadership di Zuckerberg dalla fondazione del social network», scrive il New York Times.
All’inizio delle proteste Zuckerberg aveva detto chiaramente che non intendeva prendere misure simili a quelle di Twitter, che aveva deciso di segnalare come inappropriati e pericolosi alcuni tweet del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sulle manifestazioni in corso. «Facebook non dovrebbe decidere cosa è giusto e cosa no», aveva detto Zuckerberg, ribadendo una linea stabilita ormai da anni nei confronti dei post di leader politici. Nei giorni seguenti ha aggiunto che gli utenti di Facebook dovrebbero «essere in grado di farsi un’opinione per conto loro», lasciando intendere inoltre che la società non avrebbe preso una posizione ufficiale sulle proteste.
Le critiche dei dipendenti di Facebook riguardano soprattutto la tolleranza nei confronti dei post di Trump, che incoraggiano apertamente la violenza nei confronti dei manifestanti, perlopiù afroamericani. Soltanto negli ultimi giorni Trump ha auspicato che i saccheggi di alcuni negozi venissero interrotti con le armi da fuoco, rievocando un vecchio detto razzista, minacciato di inseguire con i cani i manifestanti che stavano protestando davanti alla Casa Bianca, e invocato arresti di massa; oltre ovviamente a diffondere diverse notizie false sulle proteste.
«Sono un dipendente di Facebook che non è assolutamente d’accordo con la decisione di Mark di non fare nulla riguardo ai recenti post di Trump, che chiaramente incoraggiano la violenza. Non sono il solo all’interno di Facebook», ha scritto due giorni fa Jason Stirman, che guida un dipartimento di ricerca e sviluppo. «Non sono orgoglioso di come la stiamo gestendo», ha twittato Jason Toff, capo della gestione del prodotto: «la maggior parte dei colleghi con cui ho parlato è d’accordo con me».
All’interno dei principali social network si discute da tempo su quale approccio mantenere con i politici di estrema destra che diffondono informazioni false e incoraggiano odio e violenza nei confronti della minoranze (sui contenuti prodotti dagli utenti esiste maggiore severità). Trump è un mentitore seriale – il Washington Post ha calcolato che durante il suo mandato abbia detto più di 18mila cose false – e negli anni ha sfruttato la libertà concessa da Twitter e Facebook per diffondere notizie false, teorie del complotto, insulti razzisti e misogini senza mai essere contraddetto pubblicamente da chi ospitava i suoi tweet e i suoi post.
Eppure le proteste di questi giorni, le più estese da anni e innescate dalla morte di George Floyd a Minneapolis, hanno generato reazioni senza precedenti su tutti i social network. Dopo che Twitter ha deciso di intervenire, diversi suoi dipendenti hanno difeso esplicitamente le misure prese dall’azienda. Molti dipendenti di Facebook stanno cercando di spingere perché i loro capi facciano altrettanto.
Decine di loro hanno preso una giornata libera per lunedì 1 giugno, motivando la richiesta con la partecipazione alle proteste. Nelle conversazioni fra i dipendenti sono circolate diverse petizioni che chiedono a Zuckerberg di seguire l’esempio di Twitter e oscurare i post di Trump, e di rendere più etnicamente eterogeneo il gruppo dirigenziale (nel 2019 soltanto il 3,8 per cento dei dipendenti di Facebook aveva origini afroamericane). Due dirigenti hanno raccontato al New York Times di avere avvisato i propri capi che lasceranno l’azienda, a meno che Zuckerberg cambi idea.
Negli ultimi giorni Zuckerberg ha scritto due lunghi post per chiarire le proprie posizioni, ha promesso di donare 10 milioni di dollari ad associazioni che combattono il razzismo e anticipato l’assemblea settimanale dei dipendenti di Facebook da giovedì 4 a martedì 2 giugno. Al momento, però, non è chiaro se abbia intenzione di accogliere le richieste avanzate dai suoi critici.
«Sappiamo che molti di noi stanno soffrendo, soprattutto la nostra comunità afroamericana», ha detto a Reuters un portavoce di Facebook: «incoraggiamo sempre i nostri dipendenti a parlare apertamente quando non sono d’accordo con la dirigenza. Continueremo ad ascoltare cos’hanno da dire quando in futuro dovremo prendere decisioni difficili sui contenuti da permettere».