Cos’è questa storia delle vasculiti nei bambini e il coronavirus

In diversi paesi, compresa l'Italia, è stato segnalato un aumento di sindromi infiammatorie infantili molto rare: ma non è chiaro se ci sia un legame con la COVID-19

(Marcelo del Pozo/Getty Images)
(Marcelo del Pozo/Getty Images)

Da alcune settimane, ospedali nel Regno Unito, in Italia, Spagna, negli Stati Uniti e in altri paesi hanno segnalato un aumento anomalo di ricoveri per bambini con sindromi infiammatorie piuttosto rare a carico dei vasi sanguigni (vasculiti), che in alcuni casi potrebbero essere legate alla COVID-19. Il sistema sanitario britannico (NHS) ha diffuso una nota ai medici per invitarli a non sottovalutare sintomi nei bambini che potrebbero indicare queste sindromi, e altrettanto hanno fatto istituzioni e organizzazioni in altri paesi, come la Società italiana di pediatria in Italia. La maggiore attenzione è richiesta proprio per raccogliere più informazioni, perché al momento non ci sono dati a sufficienza per indicare con certezza un legame tra il coronavirus e queste sindromi infiammatorie.

Nella maggior parte dei casi la COVID-19 causa sintomi lievi, soprattutto nei pazienti più giovani, mentre talvolta può portare a condizioni più gravi nelle persone anziane e a rischio. I bambini non sembrano essere interessati più di tanto dalla malattia: secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono morti due bambini con età compresa tra 0 e 9 anni dall’inizio dell’epidemia, su un totale di quasi 25mila decessi accertati. Medici e ricercatori vogliono però capire se nei soggetti più giovani il coronavirus possa comunque causare problemi, e per questo tengono sotto controllo i ricoveri di pazienti con particolari sindromi.

Nel fine settimana l’NHS ha diffuso una segnalazione per i medici britannici avvisandoli su un numero molto contenuto, ma in crescita, di “infiammazioni multisistemiche” in alcuni bambini, tali da rendere necessario il ricorso al ricovero in terapia intensiva. Alcuni dei pazienti trattati sono poi risultati positivi al coronavirus, mentre altri sono risultati negativi.

I bambini ricoverati mostravano sintomi simili a quelli causati da due malattie molto rare: la sindrome di Kawasaki e la sindrome da shock tossico. La prima è una vasculite che interessa le arterie di piccole e medie dimensioni, dovuta a un malfunzionamento del sistema immunitario, che causa infiammazioni in aree vitali come le arterie coronarie. Le cause della malattia non sono note, ma viene quasi sempre trattata con successo e con una piena guarigione dei pazienti. La sindrome da shock tossico è invece una condizione dovuta alle tossine prodotte da alcuni batteri.

Nel Regno Unito queste sindromi sono state riscontrate in una decina di bambini. In Italia sono stati rilevati casi in alcuni ospedali del Nord Italia, con un aumento significativo rispetto alla norma. Il cardiologo Matteo Ciuffreda dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, per esempio, ha spiegato che di solito nella bergamasca si riscontrano una decina di casi all’anno con sindromi di questo tipo: “Di questa decina annua, solo due o tre con infiammazioni gravi. Ora però, in poco più di un mese all’ospedale di Bergamo hanno raggiunto i 20 casi”.

Ciuffreda ha spiegato che i pazienti presentavano sindromi infiammatorie gravi, ma che hanno poi reagito bene alle terapie. I bambini interessati si sono “ristabiliti dopo una media di quattro-cinque giorni”. Solo un ristretto numero dei bambini ricoverati è risultato essere positivo al coronavirus, ma in generale facevano parte di famiglie nelle quali erano stati riscontrati casi di COVID-19.

A Bergamo l’aumento dei casi di sindrome da Kawasaki è stato riscontrato nell’ultimo mese circa, in una delle province più interessate dall’epidemia da coronavirus. La coincidenza del periodo tra i due fenomeni sta portando a compiere approfondimenti, ma per ora non ci sono elementi chiari per sostenere che ci sia una correlazione.

La stessa Società italiana di pediatria ha diffuso tra i medici una comunicazione piuttosto cauta ricordando:

Non è chiaro se il coronavirus SARS-CoV-2 sia direttamente coinvolto nello sviluppo di questi casi di malattia di Kawasaki o se le forme che si stanno osservando rappresentino una patologia sistemica con caratteristiche simili a quelle della malattia di Kawasaki, ma secondaria all’infezione. Ciò nonostante, l’elevata incidenza di queste forme in zone ad alta endemia di infezione da SARS-CoV-2 e l’associazione con la positività dei tamponi o della sierologia, suggerisce che l’associazione non sia casuale.

Altri casi simili sono stati segnalati in Spagna e negli Stati Uniti. Lo Stanford Children’s Hospital (California) ha trattato una bambina di sei mesi con sindrome di Kawasaki, successivamente risultata positiva al coronavirus. È stata curata con alte dosi di aspirina e con infusioni di anticorpi (immunoglobuline) e si è ristabilita, senza mostrare sintomi tipici della COVID-19 nelle due settimane successive.

Il coronavirus SARS-CoV-2 è noto da poco tempo, circa 4 mesi, ed è quindi normale che non ci siano ancora conoscenze complete sui suoi eventuali effetti su altre malattie o predisposizioni nelle persone infette. La raccolta di informazioni su casi anomali legati ad altre sindromi serve proprio a questo: avere più dati per capire se ci siano o meno correlazioni. Le segnalazioni ai pediatri hanno lo scopo di ottenere questo risultato, evitando che i casi sospetti passino inosservati, e non necessariamente per evidenziare un’ulteriore emergenza sanitaria.

La sindrome di Kawasaki è il tipo di vasculite più diffuso in età pediatrica, ma è comunque estremamente rara. Viene diagnosticata con relativa facilità e di solito è sufficiente un trattamento con i farmaci per farla regredire, con un recupero completo da parte dei pazienti.