Come funzioneranno i nuovi lockdown

Lo spiegano due diagrammi di flusso un po' confusi nel nuovo decreto del governo: saranno i presidenti di regione a proporre nuove restrizioni

(ANSA/GRILLOTTI)
(ANSA/GRILLOTTI)

Il decreto sulla cosiddetta “fase 2” presentato domenica sera dal presidente del Consiglio contiene indicazioni su nuove attività di sorveglianza che dovranno svolgere le regioni per valutare l’andamento dell’epidemia da coronavirus. I dati raccolti su base locale dovranno essere trasmessi al governo e all’Istituto Superiore di Sanità, che faranno le loro valutazioni su come procedere. L’intero processo è descritto nel decreto attraverso due diagrammi di flusso (“Allegato 10”) piuttosto tortuosi e in alcuni passaggi confusi, e sarà chiarito meglio dal governo nei prossimi giorni prima dell’inizio vero e proprio della “fase 2” il 4 maggio.

Un diagramma di flusso serve per rappresentare graficamente le operazioni che devono essere effettuate per eseguire e risolvere un determinato problema. Di solito è basato su cinque tipologie di blocchi elementari, che indicano azioni come la partenza (rettangolo arrotondato), l’elaborazione di un’informazione (rettangolo) e la decisione (rombo). Nei diagrammi proposti nel decreto, l’organizzazione dei blocchi è un po’ più creativa, e non riflette sempre quella standard.

Il primo diagramma dell’Allegato 10 contiene un piano generale per la valutazione degli “standard minimi di qualità della sorveglianza epidemiologica”, un sistema che dovrebbe consentire di tenere traccia della capacità di identificare l’andamento dell’epidemia. È suddiviso in quattro fasi distinte principali: da quella di lockdown a quella di “preparazione” prevista dopo la fine della pandemia, e quindi orientata verso la prevenzione di nuove epidemie.

Il secondo diagramma è più articolato del primo e descrive i passaggi che dovranno compiere le regioni, per valutare se siano presenti “standard minimi di qualità della sorveglianza epidemiologica”. È la parte più delicata dell’intero progetto di “monitoraggio del rischio sanitario”, perché dipende dalla capacità delle regioni non solo di autovalutarsi, ma anche di collaborare efficacemente con il governo per tenere sotto controllo l’epidemia.

Il diagramma inizia dalla fase attuale di “lockdown” e indica una lista di quattro punti da soddisfare per poter passare alle fasi successive, a condizione che nel complesso mostrino un trend in miglioramento del 60 per cento (indicazione piuttosto oscura). L’elenco comprende dati come il numero dei casi con sintomi rilevati, quello dei ricoveri ospedalieri e la quantità di pazienti trasferiti nei reparti di terapia intensiva. Le istruzioni sulla valutazione del “trend in miglioramento” non sono molto chiare nel diagramma, e dovrebbero essere integrate con altre istruzioni.

Il passaggio successivo, accessibile se rispettate le condizioni di quello precedente, è invece dedicato alle modalità per valutare se la trasmissione del coronavirus sia stabile. In questa valutazione è quindi compreso il “numero di riproduzione di base” (R0), che esprime la quantità di persone che in media contagia un individuo infetto. Se il numero è inferiore a 1, significa che in media viene contagiata meno di una persona da ogni infetto, e quindi l’epidemia rallenta progressivamente. Il calcolo di R0 in una fase di attenuazione delle misure restrittive è quindi essenziale per valutare se l’epidemia continui a rallentare o se subisca nuove accelerazioni.

Il diagramma segnala diverse condizioni per cui una regione possa definire stabile l’andamento del contagio. Devono essere valutati il numero di casi positivi rilevati nelle ultime due settimane e segnalati alla Protezione Civile e le segnalazioni alle altre reti di sorveglianza, gestite dall’Istituto Superiore di Sanità e dal ministero della Salute. Le regioni dovranno inoltre valutare la presenza di eventuali nuovi focolai nei loro territori, con le valutazioni del rischio per istituire “zone rosse” con un isolamento più rigido per evitare nuove diffusioni del contagio.

Nel caso in cui questi dati indichino un andamento in aumento dei casi negli ultimi 4-5 giorni, un numero di riproduzione di base superiore a 1 e la presenza di nuovi focolai, sarà necessario procedere a una valutazione del rischio sul caso specifico. Se potranno essere istituite “zone rosse”, tali da garantire una gestione della trasmissione del coronavirus, si potrà procedere alla fase successiva, altrimenti si tornerà alla fase iniziale di lockdown regionale complessivo.

Se invece i criteri legati alla stabilità della trasmissione saranno soddisfatti, si potrà procedere al passaggio successivo che richiede invece la valutazione di quattro criteri, necessari per arrivare alla cosiddetta fase di “transizione iniziale”. I criteri comprendono la presenza di un sistema sanitario regionale senza sovraccarichi, la capacità di eseguire test tempestivamente per trovare i positivi e fornire risorse adeguate per il tracciamento dei contatti, l’isolamento e la quarantena dei positivi.

Nel caso in cui non siano soddisfatti questi criteri si torna alla fase di lockdown, altrimenti si procede alla “transizione iniziale” che si ricollega al diagramma con il piano nazionale che abbiamo visto prima.

Tra la mancanza dell’impiego dei blocchi standard e la scarsa chiarezza dei meccanismi di valutazione, i due diagrammi di flusso appaiono decisamente tortuosi e di difficile interpretazione. Il decreto del governo comprende comunque un’esplicita indicazione per il ministro della Salute, Roberto Speranza, che entro i primi giorni di maggio dovrà stabilire e comunicare i criteri per il “monitoraggio del rischio sanitario”. Le indicazioni dovrebbero contenere istruzioni più chiare per le regioni, che avranno poi il compito di mettere in pratica il piano.

Avendo competenza in materia di salute, il ruolo delle regioni sarà centrale, come del resto lo è stato finora nella gestione dell’epidemia. Il decreto dice esplicitamente che spetterà ai presidenti delle regioni proporre nuove misure restrittive sui loro territori, nel caso in cui dovesse emergere un “aggravamento del rischio sanitario”. L’obiettivo, almeno sulla carta, e condiviso in più occasioni pubblicamente dall’ISS, è incentivare il ricorso alle “zone rosse” facendo attività di contenimento mirate nei luoghi in cui dovessero emergere nuovi focolai. Questa pratica è stata seguita con successo dall’Emilia-Romagna e da altre regioni, mentre è stata trascurata in Lombardia quando si è ritenuto che il contagio fosse ormai ampiamente diffuso tra le province lombarde.

Il decreto fa espressamente riferimento a “misure restrittive necessarie e urgenti per le attività produttive delle aree del territorio regionale specificamente interessate dall’aggravamento”, che i presidenti di regione potranno proporre al ministro della Salute. Questa possibilità era del resto già prevista dal decreto del 25 marzo scorso e dovrebbe consentire di sospendere le attività in territori specifici. Nelle prime settimane dell’epidemia nella Val Seriana, in provincia di Bergamo, non fu istituita una “zona rossa” nonostante l’alto rischio di nuovi contagi, con la conseguente diffusione dell’epidemia nel resto del territorio provinciale della bergamasca, uno dei più colpiti nel Nord Italia.