Cosa rischia chi viola i decreti sul coronavirus

Quali reati si rischiano di commettere se si producono autocertificazioni false, se non si rispettano la quarantena o le varie raccomandazioni?

Controlli della polizia per il rispetto delle disposizioni contro il coronavirus, Milano, 19 marzo 2020 (ANSA/US POLIZIA)
Controlli della polizia per il rispetto delle disposizioni contro il coronavirus, Milano, 19 marzo 2020 (ANSA/US POLIZIA)

Dopo il nuovo decreto del presidente del Consiglio dell’11 marzo, sul sito del governo è stata pubblicata una pagina che contiene le risposte alle domande frequenti sulle restrizioni agli spostamenti e agli assembramenti per contenere la diffusione del coronavirus (SARS-CoV-2). La pagina viene costantemente aggiornata per chiarire i vari dubbi e spiega, in sostanza, cosa non si può fare, cosa si può fare e come. E spiega anche quali sono le sanzioni in caso di violazione.

Mancato rispetto di obblighi e raccomandazioni
Il mancato rispetto delle misure previste dal decreto è punito secondo quanto previsto dall’articolo 650 del codice penale, che si intitola “Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità” e dice:

«Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206».

Le misure di contenimento prevedono però tre diverse ipotesi, come si spiega qui: il «divieto assoluto di mobilità» vale solo per i soggetti in quarantena o risultati positivi. Per gli altri non si parla esplicitamente di «divieto», ma si dice di «evitare ogni spostamento» salvo quelli motivati. Infine c’è una terza categoria di soggetti: quelli con un’infezione respiratoria e febbre superiore a 37,5 °C, ai quali si raccomanda «fortemente» di rimanere nel proprio domicilio.

Per tutte e tre le indicazioni (“divieto”, “evitare spostamenti” e “raccomandazioni”) è indicato un solo reato, ma questo potrebbe creare confusione nell’applicazione delle sanzioni previste.

Cosa succede?
Concretamente succede che polizia, carabinieri o vigili, una volta accertata la violazione di una disposizione imposta dall’autorità (uno spostamento non necessario, per esempio) dovranno redigere una relazione e trasmetterla alla procura della Repubblica, che aprirà un procedimento penale a carico della persona interessata. La sanzione sarà quindi stabilita da un giudice alla fine di un processo, in caso di condanna.

Attenzione: non è in alcun modo previsto il pagamento di una multa direttamente alle forze dell’ordine al momento in cui queste fermano la persona. Se una persona viene fermata e accusata di aver violato l’articolo 650 non riceverà un verbale che contiene già la sanzione, né un “bollettino” per pagarla come per una multa per divieto di sosta.

Dopo aver indicato un avvocato di fiducia o aver fatto richiesta di un avvocato d’ufficio, al procedimento penale ci si potrà opporre chiedendo l’oblazione, quel rito alternativo al giudizio penale mediante il quale, con il pagamento allo Stato di una somma di denaro prestabilita, si estingue un particolare reato. Se la richiesta sarà accolta, il giudice potrà decidere di far pagare una somma pari alla metà del massimo della pena, cioè 103 euro. In questo modo si arriverà a una sentenza di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato. Quel procedimento penale non finirà sul proprio casellario giudiziale.

Nel caso in cui l’ammenda di 206 euro venga invece pagata senza fare opposizione, si andrà incontro automaticamente all’iscrizione nel casellario giudiziale. Per estinguere il reato, il giudice potrebbe anche concedere uno dei benefici previsti dagli articoli 163 (Sospensione condizionale della pena) e 175 (Non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale) del codice penale.

Ci possono essere alcune differenze tra regione e regione: la Lombardia, in un’ordinanza emanata sabato 21 marzo, ha previsto una sanzione amministrativa di 5.000 euro per chi non rispetterà il divieto di assembramento di più di due persone in pubblico.

False dichiarazioni
Gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, o motivi di salute devono essere attestate attraverso un modulo di autocertificazione.

Non averlo con sé non costituisce una violazione. Il modulo può essere stampato e compilato a casa, ma chi non può farlo non si deve preoccupare: in caso di eventuale controllo, il modulo verrà fornito dalle forze dell’ordine e lo si potrà compilare sul momento, spiegando le ragioni del proprio spostamento. Come ha spiegato la polizia postale in un comunicato, non vanno usati servizi non ufficiali e non autorizzati per compilare l’autocertificazione e ottenerne una versione digitale.

Le dichiarazioni sul modulo rilasciato al pubblico ufficiale (e che hanno a che fare con la propria identità o con le motivazioni dello spostamento) devono essere veritiere, altrimenti si commette un reato. Come spiega l’avvocato penalista Marco Micheli:

  • attestare in modo falso di doversi spostare per giustificati motivi che in realtà sono insussistenti, integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atti pubblici (articolo 483 del codice penale). La pena prevista è la reclusione fino a due anni.
  • se la falsa dichiarazione riguarda la propria identità, il reato è di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale (articolo 495 del codice penale). La pena prevista è la reclusione da uno a sei anni.

La veridicità dell’autodichiarazione potrà essere verificata anche con successivi controlli, si dice, anche se non è chiaro come.

Mancata quarantena
Nel nuovo modulo di autocertificazione è stata inserita una voce che chiede esplicitamente alla persona di dichiarare di «non essere sottoposto alla misura della quarantena e di non essere risultato positivo al virus Covid-19» (COVID-19 è in realtà la malattia, provocata dal virus SARS-CoV-2). Qualche giorno fa il Corriere della Sera scriveva che chi mente su questo punto può essere denunciato «per procurata epidemia». Lo stesso articolo 650 del codice penale fa poi riferimento esplicito ai “più gravi reati” tra i quali potrebbe rientrare, appunto, quello previsto dall’articolo 438 (epidemia) o dall’articolo 452 (delitti colposi contro la salute pubblica) del codice penale.

L’avvocato Marco Micheli ha però fatto qualche precisazione, in proposito: il nostro codice penale prevede l’epidemia dolosa (articolo 438) e i delitti colposi contro la salute pubblica (articolo 452), due reati introdotti nel 1930 per punire nei contesti di guerra o terrorismo la diffusione di germi patogeni.

L’epidemia dolosa punisce con l’ergastolo chi volontariamente «cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni»: si parla di una diffusione intenzionale su portata di massa. I delitti colposi contro la salute pubblica possono essere puniti con la reclusione da uno a cinque anni per chi causa l’epidemia non volontariamente, ma con colpa, cioè per negligenza, imprudenza o imperizia.

Ora: chi ha sintomi e non si mette in quarantena o chi nasconde di essere positivo e contravviene alle regole di isolamento domiciliare e quarantena e contagia una o più persone, può essere accusato di procurata epidemia? L’avvocato spiega che per capire se siamo di fronte a questi gravi delitti «bisogna valutare la portata quantitativa del pericolo innescato dalla condotta del soggetto. Cioè verificare se vi sia stato un comportamento capace di diffondere il morbo a un “numero indeterminato e notevole di persone” e in tempo ristretto». La sua risposta è no, perché non ci si trova di fronte alla «diffusibilità» di cui parlano i giudici. Ma la persona in questione potrebbe comunque doverne rispondere in un processo.

Secondo Micheli, «siamo quindi assai distanti dal caso del contagiato da coronavirus che, consapevole del suo stato di salute, cammina per strada e, fermato dalla polizia per un controllo, dichiara di essere sano». Dello stesso parere è il Sole 24 Ore, che scrive: «Ci sembra improbabile che ad una singola persona sia contestato uno dei delitti colposi contro la pubblica incolumità. Anche in via del tutto astratta, infatti, pare difficile sostenere che un soggetto isolato, per quanto imprudente, sia da sé solo in grado di mettere in pericolo una platea indeterminata di persone. Allo stesso modo, riteniamo di escludere che possa essere contestato il reato di epidemia che punisce chiunque la cagiona mediante la diffusione di germi patogeni. La giurisprudenza, infatti, ha sempre negato la configurabilità di questi reati nella condotta di chi “semplicemente”, sapendosi affetto da male contagioso, continui a circolare magari anche diffondendo la malattia».

Ci sono comunque altri reati molto gravi di cui si può rendere colpevole chi ha sintomi e non si mette in quarantena o chi nasconde di essere positivo e contravviene alle regole di isolamento domiciliare e quarantena e contagia una o più persone. Il rischio – a seconda che l’azione sia per colpa o per dolo – è l’imputazione per lesioni colpose (fino a cinque anni di carcere se ci sono più vittime) o per lesioni volontarie (fino a dodici anni in caso di più vittime). Se chi viene contagiato dalla persona che non ha rispettato l’isolamento muore, le imputazioni saranno per omicidio colposo (fino a quindici anni, se muoiono più persone) e per omicidio volontario (da ventuno anni all’ergastolo).

Attività
L’ultimo decreto prevede la chiusura, fino al 25 marzo, sul territorio nazionale, di tutte le attività di ristorazione e di tutti i negozi, tranne quelli delle categorie espressamente previste. La violazione di questi obblighi da parte dei gestori di pubblici esercizi o di attività commerciali, spiega il sito del governo, è sanzionata con la chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni.