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  • Lunedì 2 marzo 2020

Il grande successo del New York Times fa male al giornalismo?

Lo sostiene l'ex direttore di BuzzFeed, che è stato appena assunto proprio dal New York Times per curarne la rubrica sui media

(Spencer Platt/Getty Images)
(Spencer Platt/Getty Images)

Il successo del New York Times potrebbe avere conseguenze negative per il mondo del giornalismo, come ha scritto Ben Smith, ex direttore della sezione giornalistica del sito BuzzFeed, già importante giornalista di Politico, nel suo primo articolo da nuovo editorialista della rubrica dedicata ai media proprio sul New York Times.

Smith è appena arrivato al giornale dopo aver «passato la carriera a esserne rivale»: venne assunto come direttore da Buzzfeed a fine 2011 e ne rafforzò il giornalismo investigativo finanziandolo con il successo degli articoli virali e molto pop per cui il sito era famoso. All’epoca i giornali tradizionali erano in difficoltà, la pubblicità su carta non bastava più, le azioni del New York Times erano in calo, il giornale perdeva lettori e «aveva venduto tutto tranne i mobili per continuare a finanziare il giornalismo».

Dall’altra parte Smith ricorda «i giorni inebrianti dei giornali digitali nel 2014 […] quando un gruppo di startup si preparava a spazzare via i vecchi giornali morenti come il New York Times». Lui stesso offrì un lavoro a A.G. Sulzberger, figlio dell’editore del New York Times e destinato a succedergli. Sulzberger rifiutò e ora è Smith a lavorare per lui: in sei anni le parti si sono rovesciate e il New York Times sta cannibalizzando i rivali attirando i loro giornalisti migliori e diventando sempre più simile, secondo alcuni, a un monopolio. «Il New York Times», scrive Smith, «domina talmente l’industria che ha assorbito molte delle persone che un tempo lo minacciavano», come molti dei migliori giornalisti di Gawker, Recode, Quartz e Politico.

In questo scenario, scrive Smith, cambierà anche il tema della sua rubrica che non seguirà più, come faceva il suo fondatore David Carr, le trasformazioni di un’industria nascente ma si concentrerà sul consolidamento di un sistema dove i ricchi diventano più ricchi e dove l’unico vincitore porta a casa tutto.

Secondo Smith il New York Times si trova chiaramente in questa posizione, e il distacco rispetto alle altre pubblicazioni si allarga sempre di più. Al momento ha 4,7 milioni di abbonati complessivi (al cartaceo e al digitale), 3,8 pagano anche per alcuni prodotti in più come le app per fare i cruciverba e quella con le ricette di cucina (un abbonamento digitale costa 2 euro al mese per il primo anno e 8 dal secondo in poi). Il numero di abbonamenti digitali supera la somma degli abbonamenti del Wall Street Journal, del Washington Post e delle 250 pubblicazioni del gruppo Gannett, che comprende USA Today e molta stampa locale.

Il New York Times impiega 1.700 giornalisti, un numero enorme se paragonato al totale dei giornalisti assunti a livello nazionale, che si aggira tra le 20mila e le 38 mila persone. Molti temono, come Jim VandeHei, fondatore del sito di news Axios, che «diventerà sempre più grande, che le nicchie diventeranno sempre più nicchie e che non sopravviverà nient’altro». Secondo Janice Min, ex direttrice di Us Weekly, il contenuto sempre più ricco e in grado di coprire ogni argomento del New York Times è una minaccia per tutte le altre pubblicazioni online.

La storia della rinascita del New York Times è paragonabile a quella di una startup di successo. Nel 2014 la pubblicità sulla carta era in crisi e una parte finiva a finanziare i giornali digitali, che erano completamente gratuiti e facevano una concorrenza aggressiva ai giornali tradizionali. Il New York Times reagì con una strategia che gli esperti dell’epoca considerarono folle e gli azionisti finanziariamente pericolosa, come ricorda Sulzberger. Aveva già lanciato un paywall nel 2011 (cioè aveva introdotto dei contenuti a pagamento per gli abbonati) e nonostante le difficoltà tenne duro: «vendemmo ogni briciola dell’azienda per non tagliare sul nostro giornalismo investigativo».

Pochi anni dopo, nel pieno della crisi del giornalismo, sotto gli attacchi costanti del nuovo presidente americano Donald Trump, il valore delle azioni del giornale era quasi triplicato ed erano stati assunti 400 nuovi giornalisti, la maggior parte con uno stipendio iniziale di 104.600 dollari all’anno, più di 94mila euro. Tra le conseguenze c’è anche una specie di contaminazione di temi e toni: molti giornali copiano quelli del New York Times considerati vincenti – come le battaglie ideologiche contro il presidente Trump che gli avrebbero fatto vendere nuove copie – mentre il New York Times riprende toni e temi di Gawker, dell’Atlantic, di Politico e molti altri, avendone assunto le persone migliori.

Nel frattempo il New York Times ha iniziato anche a espandersi in altri settori come quello audio e dei podcast. Ha un podcast con un certo seguito che esce nei giorni feriali, The Daily, ed è in trattative per comprare Serial Productions, la casa di produzione fondata sulla scia del successo di Serial, uno dei podcast più popolari degli ultimi anni. I podcast di Serial Productions sono stati scaricati più di 300 milioni di volte; il prezzo di vendita iniziale della società era di 75 milioni di dollari (67 milioni di euro). Acquisendola il New York Times punta a offrire una piattaforma di podcast a pagamento da cui trarre altri guadagni, che si andrebbero ad aggiungere a quelli di altri contenuti speciali come le già citate app per i cruciverba o per le ricette.

Sulzberger non condivide l’idea che il suo giornale stia diventando un pericoloso monopolio: spiega che ha molti altri rivali, come per esempio la tv via cavo, e che secondo lui gli americani finiranno per fare più di un abbonamento a un giornale online: il New York Times non starebbe dominando un mercato ma ne starebbe creando uno. «Pensate di vedere una dinamica da “chi vince prende tutto” ma è una corrente che sta trascinando tutte le barche».

La sua posizione sembra condivisa da altri siti di news, soprattutto locali, che ne hanno seguito l’esempio; Brian McGrory, direttore del Boston Globe che ha 100mila abbonamenti, è per esempio d’accordo: il New York Times «ha indicato la strada da seguire».