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  • Lunedì 2 marzo 2020

Anche per il ciclismo, il coronavirus è un gran problema

È uno sport che passa per le strade e non si può disputare "a porte chiuse": bisogna capire che ne sarà di corse importanti come la Milano-Sanremo

(LaPresse - Fabio Ferrari)
(LaPresse - Fabio Ferrari)

Il 28 febbraio l’UAE Tour, una corsa ciclistica a tappe che si svolge negli Emirati Arabi Uniti, è stata sospesa per due presunti casi di coronavirus (SARS-CoV-2) riscontrati in due persone al seguito della corsa. I ciclisti, gli altri membri delle squadre e dell’organizzazione e i giornalisti al seguito della corsa sono quindi stati messi per alcuni giorni in isolamento nelle loro camere d’hotel, in attesa di nuovi test che hanno dato poi esito negativo. La maggior parte delle persone in isolamento ha potuto quindi lasciare il paese, con l’eccezione dei membri di alcune squadre, che resteranno negli Emirati ancora per qualche giorno, per maggior precauzione. Mentre negli Emirati succedeva tutto questo, a Berlino si sono disputati invece i Mondiali di ciclismo di pista, dove il danese Michael Morkov – che aveva corso le prime tappe dell’UAE Tour, lasciandolo prima che la corsa venisse sospesa – ha partecipato e vinto l’oro nella madison.

Da un lato si può pensare che l’annullamento dell’UAE Tour sia stato eccessivo, visto tra l’altro che i sospetti casi di coronavirus erano forse solo normali casi di febbre o al massimo influenza. Allo stesso modo, però, ci sono anche argomenti per sostenere che, così come molti altri eventi, i Mondiali di Berlino si sarebbero potuti annullare, anche perché a disputarli c’era un atleta che fino a pochi giorni prima era proprio negli Emirati (un atleta che comunque ha fatto alcune ore di isolamento ed è stato dichiarato non infetto dall’UCI, l’organizzazione che regola il ciclismo mondiale).

L’UAE Tour (sospeso e poi definitivamente annullato) e i Mondiali di Berlino (regolarmente svolti in un velodromo coperto, con diverse migliaia di persone tra gli spalti e centinaia di atleti e atlete in pista) rappresentano quindi due approcci diversi al problema che ogni sport si sta ponendo in questi giorni.

Lasse Norman Hansen e Michael Morkov, l’1 marzo a Berlino (Maja Hitij/Getty Images)

Tra i tanti sport, però, il ciclismo ha alcune peculiarità che rendono particolarmente problematica la gestione delle prossime settimane, quelle in cui il suo calendario entra nel vivo, con l’inizio di alcune delle corse più importanti dell’anno. Tre delle quali si corrono in Italia, peraltro: la Strade Bianche, prevista per il 7 marzo e con arrivo a Siena; la Tirreno-Adriatico, una sorta di prova generale del Giro d’Italia, che dovrebbe corrersi dall’11 al 17 marzo, con partenza da Lido di Camaiore, in Toscana, e arrivo a San Benedetto del Tronto, nelle Marche; e infine la più famosa, la Milano-Sanremo, prevista per il 21 marzo. Per nessuna di queste tre corse ci sono al momento informazioni certe, perché la società che le organizza – RCS Sport, tra l’altro organizzatrice anche dell’UAE Tour – sta aspettando informazioni in merito da parte dello Stato e delle regioni in cui si svolgono queste tre aree.

Nel caso della Milano-Sanremo, per esempio, dipenderà molto dall’eventuale prolungamento delle misure al momento in vigore in Lombardia e nella provincia di Savona, da cui la corsa inizia e in cui transita. Sono zone che fino all’8 marzo faranno parte della cosiddetta zona gialla quella in cui gli eventi sportivi possono disputarsi solo senza pubblico. Se queste disposizioni dovessero essere estese anche per le successive settimane, è quasi certo che – per la prima volta dal 1945 – la corsa non venga disputata.

In mattinata, RCS Sport ha fatto sapere alle squadre che dovranno correre queste gare che gli eventi sono ancora in calendario e che, allo stato attuale, si disputeranno normalmente. La Strade Bianche, in particolare, si svolge in Toscana, una regione che non è nella zona gialla e in cui quindi si possono disputare eventi sportivi, anche a “porte aperte”.  Perché la Milano-Sanremo si possa svolgere servirà invece che entro il 21 marzo vengano rimosse alcune delle limitazioni previste per la zona gialla, oppure che l’organizzazione si inventi un nuovo percorso, magari con partenza da una regione che non fa parte della zona gialla (cosa molto improbabile, ma teoricamente possibile). In altre parole: allo stato attuale le limitazioni geografiche e temporali non precludono lo svolgimento delle corse che quindi non sono state spostate o cancellate. Ma non è detto che la situazione resti così com’è ora.

L’eventuale annullamento della Strade Bianche, della Tirreno-Adriatico e ancor più della Milano-Sanremo sarebbe certamente un problema economico per chi le organizza, per gli sponsor delle squadre partecipanti, per chi le trasmette e racconta e per chi in quelle zone avrebbe beneficiato del passaggio della carovana. Ma un problema notevolmente più grande sarebbe l’eventuale annullamento di corse ancora più importanti come il Giro d’Italia o il Tour de France, che si corrono a maggio e a luglio in due dei paesi europei in cui al momento ci sono più casi di coronavirus.

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Il problema, molto semplicemente, è che è impossibile far diventare il ciclismo su strada uno sport “a porte chiuse”. Il ciclismo si svolge sulle normali strade di un paese, facendole attraversare in bicicletta da quasi 200 corridori, oltre che da altre centinaia di meccanici, massaggiatori, direttori sportivi, addetti dell’organizzazione e degli sponsor e giornalisti al seguito. Anche limitando al minimo indispensabile i componenti della carovana, un evento come il Giro d’Italia sposta per tre settimane centinaia di persone su migliaia di chilometri, in decine di province.

Sono ovviamente tutte congetture, ma se a maggio la situazione (o anche solo la percezione della situazione) dovesse essere simile o peggiore rispetto a quella attuale, sarebbe difficile assicurare un normale svolgimento della corsa. Sarebbe, in quel caso, un grave danno d’immagine per l’Italia, oltre che un gravissimo danno economico per uno sport che, come ha scritto Joshua Robinson sul Wall Street Journal, «sembra vivere costantemente sull’orlo della crisi finanziaria».

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Anche senza pensare al pubblico, un’eventuale diffusione di coronavirus in un gruppo di corridori comporterebbe molti problemi. In ogni corsa decine di corridori passano diverse ore uno accanto all’altro, e molti di loro sono particolarmente magri con un fisico particolarmente tirato e le difese immunitarie al minimo. Capita, in particolare in un Grande Giro come il Giro d’Italia, di passare da un gran caldo a un gran freddo, da un’intera giornata sotto il sole a una tutta tra vento e pioggia. Tutte condizioni in cui le difese immunitarie ridotte possono lasciare spazio a raffreddore, febbre e altri simili problemi di salute.

È piuttosto comune, anche a maggio o luglio, che almeno a qualche corridore capiti di avere la tosse, qualche linea di febbre o qualche problema di stomaco. È facile immaginarsi, quindi, nel caso in cui una corsa come il Giro d’Italia dovesse svolgersi regolarmente, che a un certo punto uno dei ciclisti in gara possa avere febbre e tosse. Potrebbe anche non essere un caso di coronavirus, ma bisognerebbe comunque capire come gestire la cosa in poche ore, considerando che la maggior parte delle tappe parte prima di mezzogiorno e arriva nel tardo pomeriggio, attraversando nel frattempo l’Italia. Come si potrebbe gestire la cosa? Quali condizioni servirebbero per evitare di fare quello che è stato fatto all’UAE Tour?

Richard Carapaz alla fine del Giro d’Italia 2019 (Jennifer Lorenzini – LaPresse)

Sono questioni di cui l’UCI e le società che come RCS organizzano le corse già si stanno occupando, ma per cui bisogna tenere conto dell’evolversi della situazione e delle direttive che via via saranno prese nei vari paesi. Il tutto sapendo che si tratta di eventi che non si possono spostare di luogo – perlomeno non come si può fare con una partita di calcio – e che in certi casi richiedono mesi di preparazione e coordinamento con vari livelli delle amministrazioni locali. Per di più, il ciclismo è uno sport dal calendario molto esteso – la prima corsa di un certo livello è a gennaio, l’ultima a ottobre – con poche possibilità per posticipare una corsa.

Se tutte o anche solo alcune delle corse italiane di marzo – la Strade Bianche, la Tirreno-Adriatico e la Milano-Sanremo – dovessero svolgersi regolarmente, si tratterebbe già di un ottimo segnale per quanto riguarda il Giro d’Italia, la cui partenza sarà tra poco più di due mesi: un periodo certamente sufficiente per auspicarsi una progressiva normalizzazione della situazione.