La riforma del MES non prevede la ristrutturazione automatica del debito

E già che ci siamo, cosa vuol dire "ristrutturare il debito"?

(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

Sta proseguendo il dibattito sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), una questione che divide la maggioranza parlamentare e minaccia la stabilità del governo. Il capo del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio continua a chiedere di rinviare la decisione finale sulla riforma, che nelle prossime settimane dovrebbe essere definitivamente approvata dai capi di stato e di governo dell’eurozona, mentre il PD sostiene che la riforma sia utile per il nostro paese e rimandarne l’approvazione sarebbe un danno per il paese.

Non sempre però la politica si esprime con grande chiarezza su quali sarebbero i vantaggi e, soprattutto, i problemi della riforma del MES. Nell’ultimo post in proposito sul Blog delle Stelle, firmato da Luigi Di Maio, per esempio, non viene citata una sola ragione concreta per dire no alla riforma. Non c’è molto da stupirsi, visto che è una materia molto complessa e piena di aspetti tecnici difficili da spiegare (fino a poco tempo fa, inoltre, sia il Movimento 5 Stelle che la Lega, l’altro grande partito contrario alla riforma, avevano seguito e approvato insieme i vari passaggi della riforma).

Altri che hanno provato a indicare aspetti specifici della riforma hanno fatto spesso grosse esagerazioni oppure errori. Il capo della Lega, Matteo Salvini, ha detto che il MES costa all’Italia 120 miliardi di euro (una cifra, come minimo, dieci volte superiore a quella reale). Altri esponenti del suo partito si sono focalizzati su un aspetto apparentemente tecnico, ma molto importante: la riforma del MES, sostengono, renderà automatica la ristrutturazione del debito in caso di richiesta d’aiuto al fondo salva stati.

È importante fermarsi a questo punto e chiarire questi termini. “Ristrutturare”, in questo caso, significa modificare le condizioni a cui uno stato ha emesso il proprio debito pubblico. Può significare allungarne la scadenza oppure ridurre il valore di facciata (per esempio, uno stato ha ricevuto in prestito 100 euro da restituire in 10 anni, ma si accorda con i creditori per restituire 80 euro in 15 anni). Ristrutturare il debito, quindi, è una sorta di bancarotta “soft”, raggiunta d’accordo con i propri creditori.

Una ristrutturazione del debito venne fatta dalla Grecia tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, quando i creditori privati del paese accettarono (sotto forti pressioni politiche) i famosi “haircut”, cioè il taglio del valore dei loro prestiti al paese. La ristrutturazione venne fatta con l’accordo dei creditori (nel senso che i creditori votarono per accettare il taglio sui titoli di stato che era stato proposto) e quindi la Grecia non venne considerata in bancarotta, ma soltanto in “selective default”: una “bancarotta su piccola scala” (una sorta di escamotage che servì a evitare una serie di conseguenze a cascata negative per tutti che sarebbero scattate in caso di default).

Sulla carta, l’idea di convincere i creditori a rinunciare a parte del loro credito non sembra avere nulla che non vada, ma in realtà le cose non sono così semplici. La ristrutturazione del debito greco, per esempio, fu un momento traumatico per il settore finanziario internazionale, poiché i grandi investitori fino a quel momento ritenevano che i titoli di stato fossero l’investimento sicuro per eccellenza e prestavano soldi ai paesi dell’eurozona a tassi di interesse molto vantaggiosi proprio perché ritenevano quegli investimenti a prova di bomba. La loro reazione al taglio fu chiedere rendimenti sempre più alti per prestare soldi a quei paesi che ritenevano a rischio, e questo portò al rialzo degli spread sul debito italiano e degli altri paesi più deboli che avvenne nel 2011 e nel 2012 (che si fermò soltanto con il famoso intervento del governatore della BCE Mario Draghi: qui trovate raccontata tutta la storia).

Insomma, la ristrutturazione non è necessariamente una buona cosa per i paesi molto indebitati come l’Italia. Più è facile imporre ai creditori una ristrutturazione, più questi ultimi chiederanno interessi alti in cambio dei loro prestiti. Ed è qui che si concentrano alcune delle principali critiche alla riforma del MES. Secondo alcuni esponenti politici soprattutto della Lega, la riforma del MES introdurrebbe una clausola che rende automatica la ristrutturazione del debito: per ricevere l’aiuto del MES, sostengono, il paese in questione dovrebbe immediatamente imporre un mini-default ai suoi creditori. Anche senza essere mai invocata, dicono, la sola esistenza di questa clausola porterebbe con ogni probabilità a un aumento dello spread per i paesi più fragili dell’eurozona, a causa dei timori da parte dei creditori di vedersi tagliati i crediti verso il paese in questione.

Ma come ha spiegato chiaramente il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, nella riforma del MES questa clausola non esiste. Era stata proposta dalla Germania e dagli altri paesi del Nord Europa, che nell’aumento del costo di finanziamento per i paesi periferici vedono utili strumenti di disciplina fiscale (se Italia, Spagna e Portogallo spendono molti soldi per pagare gli interessi sul debito, è l’idea controversa di molti tedeschi, allora saranno costretti a fare riforme impopolari ma benefiche per la loro crescita). Nel corso delle trattative, però, questo “automatismo” è stato bocciato e quindi non è presente nella riforma.

Questo non significa che la possibilità di ristruttura il debito dei paesi che si rivolgono al MES sia stata esclusa, anzi. La riforma ribadisce in più punti che il MES aiuterà soltanto gli stati il cui debito viene considerato sostenibile (e che hanno bisogno di aiuto per via delle turbolenze di mercato o per altri fattori contingenti) e sottolinea l’importanza del coinvolgimento del settore privato nel salvataggio degli stati membri. Ma elimina l’automatismo: il MES insieme alla Commissione Europea svolgerà una ricognizione sulla situazione del debito del paese e quindi giudicherà se questo è sostenibile o meno. La decisione sarà quindi discrezionale e, soprattutto, politica.