Una canzone di Damien Rice

(Jaroslav Ozana/CTK via AP Images)
(Jaroslav Ozana/CTK via AP Images)

Furono un paio di giorni piuttosto rilevanti per la storia del rock, quelli di 40 anni fa oggi e domani: o per la storia dei dischi rock, o per la storia dei doppi, come si diceva allora.
Il 29 novembre 1979 si tenne a Parigi il concerto dei Supertramp da cui fu tratto quasi totalmente il doppio live Paris, pubblicato un anno dopo: disco tra i migliori live di sempre, legato al tour che seguiva il grande successo di Breakfast in America e prodotto per far sentire al nuovo enorme pubblico della band le loro cose precedenti.
Il 30 novembre 1979 uscì The Wall dei Pink Floyd, invece.
Già che parliamo di Pink Floyd: a voi questo dubbio su Wish you were here è mai venuto?

Elephant
Non è che ci riescano tutti, a fare una canzone che è già una canzone prima ancora che affiorino una chitarra e poi qualche altro strumento sullo sfondo, solo cantando. E per tutta la canzone c’è quasi solo lui che canta, salvo un passaggio di qualche baccano dopo quattro minuti abbondanti, che in questo caso più che molesto suona quasi necessario, per poi tornare a dove eravamo prima. Ma Damien Rice queste cose le sa fare, e anche la più bella canzone d’amore del millennio iniziava così.
Se vuoi farla “sentire”, una canzone; se vuoi far passare come stai vivendo quelle cose che dici; come le “soffri”; beh, il rischio “rose rosse per te” (che non è niente male, ma un po’ sopra le righe) è in agguato: finisce che distorci le vocali che pari Piero Pelù, o che ti fai ridere dietro. Damien Rice no. In queste cose è bravissimo. È il più bravo del mondo a far passare tormento e vibrazioni come se fossero sincere, ogni volta. C’è un’emozione dentro ogni sillaba, e un sospiro non è mai fuori luogo.
Lui è irlandese, ha 46 anni, costruì un esteso culto con quel primo disco del 2002, poi ne fece un altro – dov’è Elephant – nel 2006, e un terzo di nuovo molto bello nel 2014. Non produce molto, come si vede, e anche ora è in giro che fa pezzetti di tour o apparizioni in progetti diversi e niente dischi da più di cinque anni. Se ne sente la mancanza, ma è anche sempre vera una cosa che dicemmo quando si sciolsero i REM, nel rammarico generale: con tutto quel che di buono hanno già fatto, c’è bisogno d’altro?

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