Damien Rice, 9 belle canzoni

Ha quarant'anni, ha scritto e cantato una delle più belle canzoni del millennio, e non fa dischi nuovi da sette anni

British musician Damien Rice performs during the second day of the Hop Farm music festival in Paddock Wood, Kent, on June 30, 2012. AFP PHOTO / BEN STANSALL (Photo credit should read BEN STANSALL/AFP/GettyImages)
British musician Damien Rice performs during the second day of the Hop Farm music festival in Paddock Wood, Kent, on June 30, 2012. AFP PHOTO / BEN STANSALL (Photo credit should read BEN STANSALL/AFP/GettyImages)

Damien Rice è un cantautore irlandese che ha appena compiuto 40 anni e fu molto apprezzato con il suo primo disco del 2002 e una canzone molto bella che fece il giro del mondo e fu usata in molti contesti e film. Un secondo disco uscì nel 2006, e da allora tutti i suoi fans aspettano il terzo ma lui si limita a tour e qualche isolata collaborazione o cover. Nel suo libro Playlist, la musica è cambiata, il peraltro direttore del Post Luca Sofri lo presentava così, scegliendo nove delle sue canzoni.

Damien Rice
(1973, Dublino)
Rice è il più bravo dei cantautori di questo millennio. Il suo primo disco ebbe un successo formidabile in Irlanda, e allora decisero di rilanciarlo in Inghilterra e alla fine andò forte anche lì. Allora decisero di rilanciarlo in tutto il mondo, e a un anno di distanza conquistò il mondo, grazie anche a un intenso passaparola su internet. Le sue canzoni migliori sono le ballate sentimentali in cui ci si commuove: per non passare da sdolcinato, ogni tanto si mette a schitarrare e urlare forsennatamente, ma non gli viene quasi mai altrettanto bene.

The blower’s daughter
(O, 2002)
La più bella canzone d’amore del millennio, con buone probabilità di restarlo a lungo. Ebbe successivi rilanci man mano che le canzoni venivano riprese e riutilizzate, tra l’altro in Closer e poi in Il caimano di Nanni Moretti. L’incipit “And so it is…” ha la forza di un grande attacco letterario, ed è di quelli che restano in testa non per tutta la giornata, ma per tutta la stagione almeno. E poi ha dato nuova vita al verso “non riesco a staccarti gli occhi di dosso”, fino ad allora celebre in versione riempipista nella canzone di Frankie Valli (“I love you, baby!”).

Amie
(O, 2002)
“Niente di insolito, niente di strano, vicini al nulla. Il solito scenario, la solita pioggia, e neanche un botto”. Canzone stupenda di speranze e piedi per terra, e archi che infiammano tutto quanto, e si piange.

Delicate
(O, 2002)
Questo invece è uno dei casi in cui a una sublime dolcezza (la rima allelujah/nothin’-to-ya è miele in bocca) Rice fa succedere alla perfezione un momento aggressivo, e tutto viene benissimo: perché non esagera. Complice il violoncello.

Cannonball
(O, 2002)
Al momento di scegliere una canzone da promuovere in radio – non se ne poteva fare a meno, il successo montava – ci furono degli imbarazzi: il disco era bellissimo ma mancava la canzonetta leggera. Alla fine scelsero questa, aggiungendole un po’ di ritmo e percussioni alla bisogna, e accorciandola di due minuti.

Woman like a man
(b-sides, 2004)
L’unico grande pezzo rock di Rice, altrimenti formidabile solo intorno alle ballate. Qui c’è un giro tostissimo, testi torbidi e cattiveria il giusto. Uscì come lato B, ma lui ci ha aperto molti concerti, per far capire che non era lì per far commuovere le ragazzine.

Elephant
(9, 2006)
Se vuoi farla “sentire”, una canzone; se vuoi far passare come stai vivendo quelle cose che dici; come le “soffri”; beh, il rischio “rose rosse per te” (che non è niente male, ma un po’ sopra le righe) è in agguato: finisce che distorci le vocali che pari Piero Pelù, o che ti fai ridere dietro. Damien Rice no. In queste cose è bravissimo. È il più bravo del mondo a far passare tormento e vibrazioni come se fossero sincere, ogni volta. C’è un’emozione dentro ogni sillaba, e un sospiro non è mai fuori luogo. E poi, in “Elephant”, c’è la costruzione perfetta del modello di strofe lento-rock-lento.

Grey Room
(9, 2006)
Altro lento-rock-lento. Lui è lì, spappolato un’altra volta in questa stanza, ad aspettare che il telefono suoni, come la ragazza di “Buona domenica”. L’amore è così, che poi viviamo ogni volta le stesse cose banali di sempre e di tutti.

Accidental babies
(9, 2006)
Qui, per esempio, siamo sulle solite dannate domande che ci facciamo quando te ne sei andata, e sappiamo che c’è un altro: non ci chiediamo chi ti apre lo sportello perché già lo sappiamo. Ci chiediamo “pensi mai a me? lui ti consola?”, e cose peggiori. Alla maggior parte di noi, grazie al cielo, manca il pianoforte: e così a un certo punto accendiamo la tv e ci passa.

Creep
(Glastonbuny Jukebox, 2005)
È la canzone dei Radiohead, che era in effetti fatta a forma di canzone di Damien Rice, con l’alternanza di dolcezza sofferente e aggressività urlata: e lui l’ha fatta dal vivo nelle sue prime tournée, legandola a “The blower’s daughter”, in un’escalation di baccano rock. Uscì in un cd di una rivista inglese, ma si trova in rete, registrata in giro.