Come sta andando la missione artica più importante di sempre

Fotografie dalla Polarstern, il rompighiaccio che sta procedendo alla deriva verso il polo mentre gli scienziati a bordo raccolgono dati che ci torneranno utilissimi

(Alfred-Wegener-Institut/Pierre Priou)
(Alfred-Wegener-Institut/Pierre Priou)

La nave Polarstern, sulla quale vivono da circa due mesi un centinaio di persone tra scienziati e membri dell’equipaggio, si sta avvicinando al Polo Nord procedendo alla deriva in quella che è la più importante missione scientifica nell’Artico della storia. Superate alcune difficoltà legate alla scelta della piattaforma di ghiaccio sulla quale posizionarsi allo scopo di rimanere intrappolata e spostarsi grazie alle correnti oceaniche, la missione Mosaic sta procedendo come da programma, studiando gli effetti del riscaldamento globale sulla regione, una delle più esposte del pianeta ai cambiamenti climatici

(Alfred-Wegener-Institut/Pierre Priou)

La Polarstern era partita il 20 settembre da Tromsø, in Norvegia, ed è intrappolata nel ghiaccio da inizio ottobre. Thomas Krumpen, scienziato dell’istituto tedesco che ha organizzato la spedizione, il Wegener Institute, e che ha accompagnato la Polarstern nel suo primo mese di navigazione a bordo della nave russa Akademik Fedorov, ha spiegato al New York Times che la ricerca della giusta piattaforma di ghiaccio non è stata facile, perché per la maggior parte erano troppo sottili. Alcune delle attrezzature scientifiche che gli scienziati devono usare nella missione sono molto pesanti, e necessitano di uno strato di ghiaccio sufficientemente spesso per sorreggerle.

Due membri dell’equipaggio installano un generatore fuori dalla Polarstern. (Alfred-Wegener-Institut/Pierre Priou)

All’esterno della nave dovrà poi essere costruita anche una pista di atterraggio per gli aerei che arriveranno con le provviste e che trasporteranno gli scienziati avanti e indietro quando il ghiaccio sarà troppo spesso per i rompighiaccio. Al momento la piattaforma non è ancora abbastanza solida perché ci possano atterrare degli aerei, ma gli scienziati sperano che aumenti di spessore con l’inverno.

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Stefan Hendricks, che fa parte della squadra della missione incaricata di monitorare il ghiaccio, ha scritto sul blog di Mosaic che la scelta della piattaforma è stata fatta in una prima fase via satellite, e poi con delle ispezioni sulle zone che sembravano adatte. Dopo aver trovato quella adatta a ospitare la nave, è stata mappata l’area circostante per localizzare i posti giusti per le varie apparecchiature che gli scienziati avrebbero dovuto installare. Queste analisi, ha spiegato Hendricks, sono in parte state rese inutili da una serie di fratture avvenute successivamente nel ghiaccio intorno alla nave, causate dai forti venti. Alcune apparecchiature sono state spostate, e gli scienziati hanno dovuto costruire ponti rudimentali per collegare tra di loro le piattaforme e recuperare cavi finiti sotto al ghiaccio.

(Mosaic Expedition)

La prima settimana dopo essersi incagliata nel ghiaccio, la Polarstern è stata spinta alla deriva verso sud, cioè nella direzione contraria a quella desiderata: poi però il moto della piattaforma è tornato a rispettare le previsioni, e la nave ora sta procedendo a una velocità di circa 8 chilometri al giorno.

Parte dell’equipaggio della Polarstern. (Alfred-Wegener-Institut/Pierre Priou)

Pochi giorni dopo che la Polarstern si è bloccata nel ghiaccio, nel mare di Laptev al largo delle coste siberiane è arrivato il buio 24 ore al giorno. Ora la nave è a meno di 500 chilometri dal Polo Nord, e se tutto va secondo i piani si disincaglierà la prossima estate una volta raggiunto lo stretto di Fram, che separa le isole Svalbard dalla Groenlandia.

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Jessie Creamean, ricercatrice della Colorado State University a bordo della Polarstern, ha raccontato al New York Times di avere già installato sui ghiacci intorno alla nave un’apparecchiatura che chiama C-3PO, come uno dei droidi di Star Wars, per raccogliere particelle e acqua dall’aria e studiare come si formano le nuvole nella regione artica. È anche a capo di una squadra di 12 persone che ogni lunedì esce dalla nave e raccoglie una sessantina di campioni di ghiaccio che vengono poi consegnati ai vari scienziati per i loro studi.

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Tra le cose che succedono a una nave intrappolata nei ghiacci artici, ci sono anche le visite degli orsi polari: finora sono state tutte pacifiche, anche se per precauzione le uscite degli scienziati sui ghiacci devono essere accompagnate da guardie armate.

Due orsi polari all’esterno della Polarstern. (Alfred-Wegener-Institut/Pierre Priou)

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Uno degli esperimenti prevede l’immersione a oltre 4.200 metri di profondità di una sonda CTD, cioè un dispositivo per misurare la conduttività elettrica, la pressione e la temperatura dell’acqua. È una struttura con una serie di cilindri che raccolgono campioni di acqua a varie profondità, permettendo di analizzarli poi in seguito.

Un buco scavato nel ghiaccio per una sonda CTD, un dispositivo usato nell’analisi delle proprietà fisiche e chimiche delle acque oceaniche. (Alfred-Wegener-Institut/Pierre Priou)

Una volta concluse tutte le operazioni, l’area coperta dalle stazioni scientifiche intorno alla Polarstern avrà un’estensione di circa 100 chilometri quadrati. Per spostarsi da una all’altra, gli scienziati usano slitte in legno trainate da motoslitte.

Due membri dell’equipaggio estraggono un cavo elettrico rimasto sotto al ghiaccio. (Alfred-Wegener-Institut/Pierre Priou)

Senza internet e senza pub nelle immediate vicinanze, l’equipaggio della nave deve ricorrere a metodi più tradizionali per passare il tempo: la giornalista di NPR Ravenna Koening ha raccontato di aver insegnato all’equipaggio e agli scienziati un gioco di carte imparato in Alaska, chiamato Snerts, che è rapidamente diventato molto popolare. Alcune notti ci hanno giocato fino alle due, ha scritto su Twitter (quando ormai era già tornata a casa). La nave, che si sviluppa su sette livelli, è dotata anche di una sala da ping pong e una sauna. L’equipaggio si sveglia solitamente alle 7 di mattina, fa colazione alle 7.30, pranza alle 11.30, prende un tè alle 3 di pomeriggio e cena alle 7.30 di sera.

Se incagliarsi nel ghiaccio era l’obiettivo della Polarstern, la preoccupazione dell’Akademik Fedorov è stata opposta: la nave, che a differenza della Polarstern non è tecnicamente un rompighiaccio, ha dovuto invece muoversi con una certa regolarità per evitare di rimanere intrappolata. Dopo aver assistito all’allestimento delle stazioni scientifiche intorno alla Polarstern, l’Akademik Fedorov ha fatto ritorno in Norvegia.

(Alfred-Wegener-Institut/Pierre Priou)

Mosaic è la missione scientifica più ambiziosa mai organizzata per studiare l’Artico, e le sue scoperte e i dati che raccoglierà saranno fondamentali per sviluppare modelli climatici più accurati e che tengano conto di aspetti spesso non considerati quando si parla di Polo Nord. Per dirne uno, d’estate nell’Artico si formano delle specie di piscine sulla superficie del ghiaccio, che aumentano la pressione sulle piattaforme glaciali e cambiano la sua albedo, cioè la quantità di luce che trattiene, e di conseguenza il calore che assorbe.

Ma più in generale, i dati raccolti da Mosaic saranno importanti perché copriranno un anno intero di osservazioni, registrando quindi i cambiamenti legati alle stagioni, impossibili da raccogliere dalle missioni che durano soltanto qualche settimana. Gli effetti del riscaldamento globale sull’Artico infatti sono tra i più preoccupanti della crisi climatica: le temperature medie della regione stanno aumentando con una velocità doppia rispetto a quelle del resto del pianeta, ma costruire modelli precisi sul futuro dei poli è difficile per i pochi dati a disposizione.