Da dove arriva il piumino

Una storia di soldati russi, vestaglie trapuntate, alta sartoria e articoli da montagna, fino ad arrivare a quello che è oggi

Annette Goertz, Neuss, Germania, 2019
(Thomas Lohnes/Getty Images for Annette Goertz)
Annette Goertz, Neuss, Germania, 2019 (Thomas Lohnes/Getty Images for Annette Goertz)

La storia del piumino iniziò cent’anni fa, quando il chimico e scalatore australiano George Finch lo inventò in una versione primordiale per affrontare la scalata all’Everest della spedizione britannica del 1922. Era di un verde brillante ed era fatto con il tessuto da mongolfiera: venne inizialmente deriso dagli altri scalatori della spedizione, gentiluomini vestiti in tweed che, davanti all’efficacia nel proteggere dal freddo e dal vento, cambiarono presto idea. Poi non successe molto per una decina d’anni fino a quando, negli anni Trenta, un imprenditore di Seattle e uno stilista angloamericano non lo riproposero contemporaneamente, il primo come capo sportivo e pratico, il secondo come giacca elaborata di alta moda: come scrive il sito Grailed «i poli tra cui il piumino avrebbe gravitato per tutta la sua esistenza – la moda e il capo per la vita all’aria aperta – vennero stabiliti nello stesso anno».

Nel 1935 l’imprenditore Eddie Bauer, che a Seattle aveva un piccolo negozio di articoli sportivi, per la pesca e per la caccia, andò a pescare con un amico e rischiò di morire di ipotermia. Allora iniziò a pensare a una giacca sufficientemente calda e si ricordò di suo zio Lesser, che da ragazzo aveva servito nell’esercito russo durante la guerra in Manciuria prima di emigrare negli Stati Uniti. Gli aveva raccontato che gli ufficiali russi indossavano cappotti imbottiti di piume per restare al caldo e così Bauer si procurò le piume migliori e disegnò il prototipo di una giacca che fece cucire da una sarta locale: era imbottita di piume, con un tessuto trapuntato a rombi sul busto e maniche foderate in alpaca. La chiamò blizzard-proof jacket (blizzard significa bufera, in inglese) e la mostrò al suo amico Ome Daiber, che era uno scalatore abbastanza famoso dell’epoca e che ne capì subito il potenziale. Nel 1936 Bauer perfezionò il suo piumino, lo ribattezzò Skyliner e lo pubblicizzò su riviste di pesca e caccia; iniziò a vendere bene e nel 1940 ottenne il brevetto.

Nel frattempo nel 1937 lo stilista Charles James, poi diventato celebre per gli abiti da sera e i vestiti molto strutturati, aveva inventato a Parigi la “giacca pneumatica”, come la chiamava: era una giacca da sera di raso trapuntata, corta sui fianchi, dalle spalle gonfie e dalle linee curve. Il curatore di moda Shonagh Marshall ha spiegato a Vogue che «era così difficile da realizzare che James era convinto che non avrebbe avuto alcuna rilevanza nell’industria della moda» e che sarebbe rimasta «una sfida tecnica e una fantasia», come disse lo stesso James. Da allora affascinò molti stilisti perché era qualcosa di lussuoso e si prestava a ulteriori innovazioni: negli anni disegnarono le loro versioni, fino ai piumini di alta moda creati dallo stilista Pierpaolo Piccioli di Valentino per la collezione Genius autunno/inverno 2019/2020 di Moncler.

La collezione Moncler Genius autunno/inverno 2019/2020 disegnata da Pierpaolo Piccioli, 20 febbraio 2018
(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images for Moncler)

Nel tempo il piumino conobbe una doppia vita: da una parte restò relegato nel mondo degli alpinisti e degli sciatori – nelle Alpi italiane e francesi si diffuse quello di Moncler, a partire dal 1952 – dall’altra si trasformò nella confortevole vestaglia trapuntata che indossavano in casa le signore degli anni Cinquanta e Sessanta e che è stata riproposta dalla stilista Phoebe Philo nella collezione autunno/inverno 2015/2016 di Céline.

Betty Draper in vestaglia trapuntata (Mad Men)

Fu negli anni Settanta che le due strade del piumino si ritrovarono, grazie alla stilista statunitense Norma Kamali che nel 1973 inventò lo sleeping bag coat, un cappotto lungo fino alle caviglie, ispirato ai sacchi a pelo e pensato per le donne che lavorano, che avevano bisogno di una giacca che fosse pratica per affrontare il freddo ma anche bella per affrontare la vita di città. Kamali ha raccontato al Fashion Institute of Technology che l’idea le venne durante una gita in campeggio nello stato di New York per riprendersi dal divorzio; di notte uscì dalla tenda per andare in bagno, faceva freddo e si avvolse nel sacco a pelo: «Camminavo tra gli alberi e pensavo “oddio questo è un cappotto fantastico”, così tornai a casa, presi il sacco a pelo e ci ritagliai un cappotto senza sprecarne nemmeno un pezzo». «Per un po’ di anni usai davvero dei sacchi a pelo», ha detto sempre Kamali, «finché creai due cappotti e li cucii insieme». Oggi il suo piumino è composto da due tessuti che creano uno strato d’aria isolante per impedire che l’aria fredda da fuori si mescoli con quella calda a contatto con il corpo.

Il piumino di Kamali fu subito un successo: lo indossarono personaggi famosi come Elton John, Cher e l’attrice Elizabeth Montgomery, lo portavano i buttafuori dello Studio 54, la discoteca di New York allora più di moda e, ricorda il sito Vox, lo si vide indossato in molte case dalla gente comune quando il presidente Jimmy Carter impose di mantenere il termostato a 18 gradi per risparmiare energia, nell’inverno del 1973. Nel 1976 il Los Angeles Times scriveva che «a New York, con 10 gradi sotto zero, la gente indossa piumini e giubbotti per qualsiasi cosa, dal teatro ai colloqui di lavoro».

All’epoca il piumino era un’invenzione eccentrica e divertente, era uno schermo al freddo e alla pioggia, si poteva portare di giorno e di sera. Il Los Angeles Times scriveva, sempre nel 1976, che «sembra che ora le persone abbiano abbandonato le cose frivole per quelle pratiche, come in prepararazione per un cataclisma». Secondo lo stilista Paco Rabanne la fortuna del piumino indicava che la Terza guerra mondiale era alle porte: «Le donne si vestono già come se fossero rifugiate. Indossano strati di tessuti funzionali, accumulandoli sotto giacche buone per ogni occasione». Forse Rabanne aveva avuto una qualche intuizione, visto che i piumini di Kamali ebbero un momento di grande popolarità dopo il crollo delle Torri Gemelle, nel 2001. Kamali raccontò al Financial Times che dovette far riaprire la fabbrica che li produceva: «lavoravamo con qualsiasi materiale a portata di mano, così infilammo dentro i piumini delle piccole note che dicevano “non è per forza un capo da indossare all’aperto, è pensato per farti sentire al sicuro”». Nel frattempo il piumino era diventato qualcosa di normale e comune, copiato da innumerevoli aziende perché non esistevano brevetti per impedirlo.

Negli anni Ottanta in Italia il piumino Moncler Grenoble era intanto diventato il capo immancabile dei Paninari, la sottocultura giovanile dallo stile di vita consumistico e dagli abiti firmati: i jeans Levi’s 501 o di Fiorucci per le ragazze, i calzini Burlington, le scarpe Timberland, la felpa Best Company, la cartella Naj Oleari e lo zaino Invicta; il piumino, se non era Moncler, poteva essere anche Millet o Ciesse Piumini. Il Moncler arrivava dal mondo della montagna e dalle piste da sci di Courmaeyur, alludeva alle vacanze e alla vita agiata. La moda dei Paninari – considerata da alcuni antesignana dello streetwear di oggi, il modo di vestire della strada – costrinse molte aziende che fino a quel momento avevano prodotto abbigliamento tecnico o da montagna a entrare nella sfera dell’estetica.

Negli anni Novanta «l’urbanizzazione del piumino continuò» in tutto il mondo, scrive il sito Grailed, soprattutto grazie a quelli di Moncler e della marca francese Naf Naf. Nelle gelide New York e Chicago veniva portato dai rapper nelle tinte più brillanti e nelle forme più voluminose, a fine anni Novanta lo ereditarono i musicisti hip hop.

Nel 1999 il piumino ebbe un ritorno nell’alta moda quando l’azienda francese Maison Margiela presentò il suo duvet coat, simile a un sontuoso piumone con le maniche, e quando Alexander McQueen lo trasformò in giacche e gonne. Intanto le passerelle venivano influenzate dallo streetstyle del mondo hip hop e i piumini spuntarono nelle passerelle di Helmut Lang, John Galliano e Junya Watanabe. Da allora la loro popolarità non è mai venuta meno e sul mercato si è affacciata una nuova marca italiana, Herno, famosa soprattutto per la giacca metà piumino metà impermeabile e per i leggerissimi piumini Ultralight. I rapper Kanye West e Drake hanno cantato in piumini Moncler rossi, Rihanna li indossa di tutte le marche purché abbiano dimensioni esagerate, Vetements e soprattutto Balenciaga (con un celebre modello della collezione autunno/inverno 2016/2017 portato aperto sotto le spalle) li hanno reinventati e fatti tornare di moda, Moncler ha lanciato Genius, una serie di collaborazioni con stilisti famosi invitati a reinventarli, mentre il marchio giapponese Uniqlo li ha resi popolari con una collezione colorata, di buona qualità e accessibile a tutti.

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