Com’è che Moncler va sempre meglio

Da anni l'azienda è considerata un successo imprenditoriale, con numeri eccezionali e riusciti tentativi di stare dietro - o davanti - ai cambiamenti della Moda

La collezione per Moncler Genius disegnata da Pierpaolo Piccioli, Milano, 19 febbraio 2018
(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images for Moncler)
La collezione per Moncler Genius disegnata da Pierpaolo Piccioli, Milano, 19 febbraio 2018 (Vittorio Zunino Celotto/Getty Images for Moncler)

Tra le recenti storie di successo nel mondo della moda italiana si cita spesso Moncler, un’azienda di articoli da montagna nata in Francia nel 1952 e poi completamente trasformata dall’imprenditore comasco Remo Ruffini, che la comprò nel 2003, quando si trovava in un momento di difficoltà. Ruffini portò Moncler nel settore della moda di lusso e fece vendere in tutto il mondo i suoi piumini, già molto famosi in Italia soprattutto dagli anni Ottanta. Il successo della sua strategia fu evidente nel dicembre del 2013, quando Moncler fu quotata alla borsa di Milano. Quel giorno le azioni erano partite da 10,2 euro e avevano chiuso a 14,97 euro; Moncler era stata inizialmente valutata 2,55 miliardi di euro e dopo un pomeriggio ne valeva 3,72, il 46 per cento in più. Ruffini possedeva il 32 per cento delle azioni: i titoli dei giornali del giorno dopo scrissero che era diventato miliardario.

A distanza di quattro anni le cose per Moncler continuano ad andare bene, anzi meglio: nel 2018 i ricavi sono stati di oltre 1,4 miliardi di euro, il 22 per cento in più degli 1,2 miliardi del 2017; l’utile netto è cresciuto del 33 per cento, arrivando a 332 milioni di euro. In Italia i ricavi sono aumentati del 12 per cento, in Asia – il mercato più in crescita – del 28 per cento, soprattutto grazie alla Cina e alla Corea del Sud. Stando poi ai dati più recenti, quelli del primo trimestre del 2019, i ricavi sono stati 378,5 milioni di euro, il 14 per cento in più rispetto ai 332 milioni di euro del primo trimestre del 2018; l’azienda è al suo 21esimo trimestre consecutivo di crescita da quando si è quotata in borsa.

Presentando i risultati, Ruffini ha detto di volersi concentrare sul rafforzamento dell’e-commerce, che oggi pesa per l’8 per cento del fatturato, tra cui l’apertura di quello in Corea del Sud, sul nuovo progetto “Genius” e sulla costruzione di «una comunità, una filosofia» per rendere il marchio di Moncler «più distintivo, inclusivo e innovativo». In particolare Genius invita alcuni stilisti famosi a disegnare una collezione personale per Moncler ed è una delle proposte più riuscite dell’azienda, apprezzata dal pubblico e considerata da critici ed esperti uno degli esperimenti più interessanti nella moda degli ultimi tempi: Vanessa Friedman, critica di moda del New York Times, scrisse per esempio che nel presentarla «Moncler aveva ottenuto l’aura della coolness e dell’alta moda e provato al mondo che era in grado di darti qualsiasi cosa volessi da un piumino».

Moncler venne fondata nel 1952 a Monestier-de-Clermont (da cui il nome), vicino a Grenoble, da André Vincent e da René Ramillon, artigiano di attrezzature da montagna. All’inizio produceva solo sacchi a pelo imbottiti e tende da campeggio con struttura telescopica, che erano il suo prodotto più venduto; nel 1954 realizzò i primi piumini per gli operai dell’azienda, che li indossavano sopra la tuta da lavoro. L’alpinista Lionel Terray (il primo a salire in cima al Makalu, tra Nepal e Tibet, e al Fitz Roy nelle Ande) consigliò a Ramillon di aprire una linea dedicata all’alpinismo di alta quota, e si offrì di sponsorizzarla: fu così che nacque “Moncler pour Lionel Terry”. Da allora i piumini si diffusero tra gli alpinisti e vennero indossati in spedizioni importanti, come quella italiana del 1954 sul K2. Nel 1968 l’azienda divenne il fornitore ufficiale della nazionale francese di sci alpino alle Olimpiadi invernali di Grenoble.

Nel 1974 la squadra francese indossò due versioni più leggere del piumino, la “Huascaran” e la “Nepal”, pensate per gli sciatori e con spalline in pelle per appoggiarci gli sci. Fu un successo anche nel grande pubblico, grazie alla diffusione degli sport di montagna, e negli anni Ottanta i piumini arrivarono nelle strade delle città: in particolare i nuovi modelli dai colori brillanti disegnati dalla stilista Chantal Thomass divennero tra i capi immancabili e celebrati dei cosiddetti “paninari” italiani. Nel 1992 Moncler venne acquistata dal gruppo italiano Pepper Industries dell’imprenditore veneto Sergio Tegon che poi lo cedette a Finpart, un gruppo di moda italiano fallito nel 2005. A quei tempi Moncler era in crisi: soffriva la concorrenza di marchi di lusso come Prada e Gucci e di aziende sportive come North Face; fu allora che la sua storia si incrociò con quella di Ruffini.

Ruffini ha oggi 57 anni e viene da una famiglia di imprenditori tessili: suo nonno aveva una fabbrica di tessuti, mentre suo padre Gianfranco fece successo negli Stati Uniti con un marchio di magliette, Nik Nik. Remo Ruffini, che era cresciuto in Italia con la madre dopo la separazione dei genitori, raggiunse il padre negli Stati Uniti per frequentare l’università di Boston, dove scoprì lo stile preppy, quello di certe università per buone famiglie americane, fatto di magliette polo, cardigan, felpe legate al collo, gonne con fantasia scozzese e collane di perle per le ragazze. Tornò in Italia nell’agosto del 1984 e un mese dopo fondò un suo marchio, “New England”, che univa lo stile preppy con la sartoria italiana. Aprì un negozio monomarca a Portofino, ebbe successo e lo vendette poi nel 2000 al gruppo Stefanel. Nel 2003 si mise a cercare qualcosa da comprare che avesse «radici forti per cercare di essere innovativi» e acquistò Moncler, che era diventata una vecchia gloria senza troppe attrattive con ricavi che l’anno prima erano stati di 54,4 milioni di euro.

Ruffini cercò di trasformarla da azienda “tecnica” alla moda a marchio di lusso e di streetwear (lo stile di vestire comune, fatto molto di pantaloni larghi, magliette, felpe e sneaker), attraverso collaborazioni con marchi come Fendi e Comme des Garçons, con l’importante azienda tedesca di valigie Rimowa e più recentemente con lo stilista Virgil Abloh. «Gli altri marchi hanno un target», ha spiegato Ruffini a W Magazine, «magari un certo gruppo d’età o che guadagna una certa quantità di denaro. Ma io ho pensato: abbiamo bisogno di fare qualcosa per i ragazzini che vanno sullo skateboard, qualcosa per chi viaggia, qualcosa per la signora elegante che va a cena fuori». Così i piumini sono diventati più tecnici e insieme belli da vedere, l’azienda ha cercato nuovi clienti tra i giovani asiatici e ha aperto due collezioni di alta moda, Gamme Rouge per le donne, disegnata dallo stilista di alta moda Giambattista Valli, e Gamme Bleu per gli uomini, disegnata dallo statunitense Thom Browne.

Ruffini ha stravolto anche la strategia comunicativa dell’azienda: ha collaborato con la rivista d’arte Frieze, ha realizzato uno spot con l’azienda di fotografia Leica, sponsorizzato la spedizione italiana sul K2 del 2014, che ripercorreva le tracce di quella che 60 anni prima aveva indossato Moncler. Nel 2010 schierò 100 modelli su un’impalcatura al Chelsea Piers di New York e li fece restare al freddo due ore davanti a giornalisti e fotografi; poi organizzò un flash mob con 363 persone che ballavano nella stazione ferroviaria di Grand Central. Un’altra volta fece sfilare a Central Park 180 pattinatori su ghiaccio.

«Non voglio una sfilata normale, ho un modo diverso di vedere e di mostrare le cose. Non vendo una collezione, vendo un atteggiamento», spiegò allora Etienne Russo, incaricato di organizzare le tre sfilate. Nel 2011 Moncler fece un’altra sfilata molto scenografica sulla grande muraglia cinese, mentre nel 2016 commissionò un cortometraggio a Spike Lee, Brave, per l’apertura di un nuovo negozio a New York.

Ruffini ha anche trasformato Moncler da fornitore all’ingrosso a rivenditore, tanto che ora è questa la modalità in cui vende di più. Nel 2008 aveva negozi soltanto a Milano, ora l’88 per cento del fatturato è realizzato fuori dall’Italia e in tutto il mondo ha 197 punti vendita diretti e 61 negozi ospitati in centri commerciali, grandi magazzini o aeroporti, rivolti soprattutto ai clienti interessati all’abbigliamento di fascia alta. Si trovano anche in paesi dove l’inverno non è particolarmente rigido, come a Taipei, a Taiwan, e a San Paolo, in Brasile. I negozi negli aeroporti sono 17, ma entro il 2020 dovrebbero diventare 30. Sono «un ottimo strumento per attrarre e servire alcuni consumatori che vivono in paesi dove Moncler non è ancora presente o non ha una distribuzione ancora capillare», ha spiegato l’azienda.

Come molte aziende del suo settore, Moncler si sta muovendo anche sul piano delle nuove sensibilità sulla sostenibilità (qui il rapporto relativo al 2018), sull’impatto ambientale, le pari opportunità e l’attenzione al benessere animale, aspetti a cui i clienti prestano sempre più attenzione, soprattutto i più giovani. In particolare dal 2014 l’azienda si è dotata di un protocollo interno, il DIST, che stabilisce le modalità di allevamento e gli standard di benessere per le oche da cui provengono le piume (i capi Moncler contengono almeno il 90 per cento di fiocco di piumino d’oca bianca, la parte più pregiata del piumaggio, e il 10 di piume e piumette). Moncler si serve solo di oche destinate alla filiera alimentare e non allevate appositamente per le piume, e che non siano sottoposte all’alimentazione forzata (come quelle da cui si ricava il foie gras). Sta intanto studiando un piumino che sia prodotto interamente da fonti sostenibili e con materiali biodegradabili. Sulla comunicazione del proprio impegno in questo senso Moncler ha investito ulteriori sforzi dopo una controversa puntata della trasmissione Report andata in onda nel novembre del 2014: accusava l’azienda – insieme ad altre non nominate aziende italiane – di rifornirsi per risparmiare da allevamenti che avrebbero impiegato pratiche di spiumatura molto violente su oche vive, diffusi soprattutto in Ungheria. Moncler, che già all’epoca aveva approvato il protocollo interno DIST, contestò e negò le accuse ma il servizio ebbe delle ricadute negative sia d’immagine che in borsa, dove il giorno dopo la trasmissione del servizio l’azienda aveva perso 3,5 punti percentuali.

È così, con una nuova strategia di immagine e una nuova catena distributiva, che si arriva al 2017, anno in cui i giornali ripresero a scrivere articoli sul successo di Moncler, dopo i tempi della quotazione in borsa. In quell’anno infatti secondo la classifica realizzata da Lyst – il più importante aggregatore di rivenditori di moda di lusso online – l’azienda era al settimo posto tra le aziende di moda più cercate e popolari online, soprattutto grazie ai piumini che erano diventati un prodotto di lusso, indossati da turisti di tutto il mondo e dalla comunità hip hop. Nel rapporto relativo all’ultimo trimestre del 2018, Moncler era arrivata al quarto posto e Lyst aveva parlato di “Rivoluzione geniale”, alludendo al progetto “Genius”.

Presentato il 20 febbraio 2018 durante la Settimana della moda di Milano, Genius prevedeva collaborazioni con otto diversi stilisti, ognuna a rappresentare un diverso aspetto di Moncler e destinata a un pubblico diverso. Per esempio la collezione di Pierpaolo Piccioli, il direttore creativo di Valentino, utilizzava i piumini come capi di alta moda; quella di Simone Rocha era femminile, pragmatica e dedicata alle scalatrici dell’epoca vittoriana; quella di Kei Ninomiya era geometrica ed essenziale; quella del marchio italiano Palm Angels era fatta di loghi e slogan. Ma la novità non stava solo nelle collaborazioni multiple – utili per la comunicazione e la promozione – ma anche nel modo di renderle disponibili sul mercato: una al mese, a partire da giugno. È una decisione che risponde ai tempi sempre più veloci del mondo della moda, alla crisi del calendario delle sfilate e ai nuovi ritmi dettati dalla fast fashion, le catene di abbigliamento economiche, come Zara e H&M, che propongono ogni settimana nuovi vestiti a prezzi abbordabili.

«I clienti vogliono vedere qualcosa di nuovo ogni giorno», aveva spiegato Ruffini al Wall Street Journal. «Ogni giorno aprono Instagram e vogliono vedere che combinano Moncler, Vuitton, Gucci. Non vogliono aspettare sei mesi. Significa che ho bisogno di un nuovo negozio al mese per dare qualcosa di nuovo ai miei clienti. Così, mi sono detto, perché non facciamo girare tutto attorno a questo?». Da giugno 2018 alla fine dell’anno, Moncler ha lanciato 10 diversi drop (cioè prodotti o collezioni messe in vendita fuori dal calendario tradizionale della moda), a settembre ha presentato cinque collezioni che sarebbero state in vendita nel 2019 e ha aperto due negozi pop-up, cioè temporanei, a Tokyo e a New York, dove le collezioni Genius sarebbero state disponibili per tre mesi. È la strategia con cui, secondo il Wall Street Journal, «Remo Ruffini sta reinventando Moncler per un mondo della moda più veloce».

 

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Nel 2019 l’esperimento di Genius è stato ripresentato, stavolta con 12 collezioni tra cui una con Poldo dog couture, un’azienda di abbigliamento di lusso per cani, una disegnata dallo stilista inglese Richard Quinn e una dal suo connazionale Matthew Williams; l’ultima presentata è quella di Palm Angels, in vendita dal 6 giugno. Secondo Lyst negli ultimi sei mesi Moncler Genius ha avuto 55mila menzioni sui social media; l’interesse viene per il 55 per cento da uomini tra i 18 e i 34 anni, provenienti soprattutto da Corea del Sud (49 per cento), Stati Uniti (14) e Giappone (10 per cento). Il prodotto più cercato in tutto il mondo negli ultimi sei mesi è il piumino Liam in nylon della collezione Moncler Genius 1952, quella che recupera le linee più classiche del marchio. Nel 2018 quando l’attore Ezra Miller indossò la mantella nera trapuntata disegnata da Piccioli alla première del secondo film degli Animali fantastici le menzioni sui social aumentarono del 54 per cento in 24 ore.

Moncler genius Piumino Liam Moncler 1952 (Lyst)

Anche stavolta le collezioni Genius stanno andando molto bene e secondo Luciano Santel, responsabile del corporate and supply, nel 2019 Genius coprirà il 10 per cento dei ricavi totali, come già accaduto nel 2018. «È un progetto più concettuale che commerciale, non è qualcosa per fare volume ma per costruire una percezione di noi più forte». I prodotti più venduti di Moncler restano comunque le giacche invernali e primaverili/estive, che fanno quasi l’80 per cento del fatturato.

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