A Parigi la moda sta cambiando

Fotografie dall'ultima settimana di sfilate, con Valentino, Chanel, Dior, Balenciaga e Louis Vuitton

Thom Browne, Parigi, 29 settembre 2019
(Aurelien Meunier/Getty Images)
Thom Browne, Parigi, 29 settembre 2019 (Aurelien Meunier/Getty Images)

Martedì si è conclusa la Settimana della moda di Parigi dove, dal 23 settembre, cento tra le più importanti aziende di moda al mondo – principalmente francesi, ma non solo – hanno presentato le loro collezioni donna per la primavera/estate del 2020.

Tra loro c’erano i classici Chanel, con la terza sfilata disegnata dalla nuova direttrice creativa Virginie Viard, che ha preso il posto di Karl Lagerfeld; Dior di Maria Grazia Chiuri, che ha ambientato la sfilata in un bosco di alberi che saranno poi rimpiantati; Valentino di Pierpaolo Piccioli, che ha funzionato anche stavolta con uno stile sognante e vicino all’alta moda; la nuova Celine di Hedi Slimane, che ha omaggiato la Parigi borghese degli anni Settanta, mentre Thom Browne si è rivolto a quella confettosa di Maria Antonietta e Nicolas Ghesquière di Louis Vuitton a quella della Belle Époque.

Tra le sfilate più apprezzate ci sono state quella della emergente Marine Serre e quella di Maison Margiela disegnata dal solito eccentrico e sperimentale John Galliano; quella cerebrale di Miu Miu di Miuccia Prada e quella divertente di Issey Miyake; quella di Mugler disegnata da Casey Cadwallader, elegantissima e ispirata al bondage e quella di Loewe di Jonathan Anderson, che ha ripreso pizzi, trasparenze e crinoline; quella al 75 per cento sostenibile di Stella McCartney e quella gioiosa e colorata di Dries Van Noten insieme allo stilista Christian Lacroix.

E soprattutto quella di Balenciaga, creata dal direttore creativo Demna Gvasalia, considerato uno degli innovatori del mondo della moda, che ha messo insieme, in 91 abiti, molti mondi diversi. La sfilata è stata aperta da modelli non professionisti – medici, avvocati, galleristi, ingegneri, non soltanto giovani, magri e convenzionalmente belli – vestiti da burocrati (qualcuno ha parlato di un’allusione all’Unione Europea) e con badge che ricordavano il simbolo di Mastercard; poi sono arrivati i modelli professionisti vestiti con abiti e giacche dalle spalle larghissime, piumini enormi, completi in jeans, stivaloni, e dai visi deformati (o abbelliti) da protesi sulle labbra e sugli zigomi; è stata chiusa da abiti da sera con enormi gonne sorrette dalla crinolina, ispirati alle creazioni di Cristobal Balenciaga, il fondatore del marchio.

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Parigi ha chiuso come al solito la stagione di sfilate iniziata a New York il 6 settembre, proseguita a Londra e poi a Milano (qui le foto), e nonostante la molteplicità di proposte e ispirazioni ha affrontato più di tutte le altre la questione di cosa sia oggi la moda e di come stia attraversando una fase di cambiamento: a cause delle incertezze e dei molti problemi del mondo e dei consumi, del maturare di fenomeni relativamente nuovi come lo streetwear (il modo di vestirsi della strada), dei suoi nuovi funzionamenti dettati dai social network e dagli acquisti online, e in parte dall’affacciarsi di un nuovo decennio.
Come ha scritto la critica di moda del New York Times, Vanessa Friedman:

«C’è la sensazione che le cose abbiano bisogno di cambiare, non nel modo convulso e frenetico portato da Instagram qualche anno fa, non nel che-tutti-abbiano-tutto-tutto-il-tempo dei drop senza fine e dalla consegna continua dei servizi di delivery, ma in una maniera più profondo e più strutturata, che richiede di sfidare la tradizione e le convenzioni. Eppure la moda continua ad aggrapparsi a quelle tradizioni anche se le crepe si allargano da tutte le parti perché: “Aiuto! Che succede poi?” Stanno crescendo nuovi gruppi sociali, le nuove comunità a cui la moda si rivolge o a cui vorrebbe rivolgersi, e stanno nascendo nuovi gruppi di valori».

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