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  • Lunedì 23 settembre 2019

L’accordo sui migranti che si discute oggi a Malta, spiegato

Potrebbe introdurre un ricollocamento automatico dei migranti che sbarcano in Italia e a Malta, ma molto dipenderà dal testo finale

di Luca Misculin

(Chris McGrath/Getty Images)
(Chris McGrath/Getty Images)

Oggi alle 11 i ministri dell’Interno di Italia, Malta, Francia e Germania si trovano a Malta per discutere un accordo sull’immigrazione che – a meno di sorprese – avrà conseguenze concrete sulla gestione dei migranti che arrivano via mare in Europa. La bozza di accordo, letta da diversi giornalisti italiani e dall’edizione europea di Politico, prevede l’introduzione di un meccanismo di ricollocamento automatico dei migranti che sbarcano in Italia e a Malta, metà dei quali sarà trasferita in Francia e in Germania. Al summit di Malta parteciperanno anche la Finlandia, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, e diversi funzionari della Commissione Europea, che ha appoggiato formalmente il piano.

La bozza di accordo si ispira al meccanismo di “quote” promosso dall’UE nel 2015, durante il picco del flusso di migranti verso Grecia e Italia, mai entrato pienamente in vigore per via dell’opposizione dei paesi dell’Est Europa ad accogliere stranieri che provengono dal Medio Oriente o dall’Africa. Il summit di oggi è stato fortemente voluto da Italia e Malta, che da anni cercano un modo per superare il regolamento europeo di Dublino, il collo di bottiglia legislativo che trattiene tutti i migranti che arrivano in Europa nel primo paese di sbarco. Un compromesso fra una piccola parte dei paesi dell’Unione si era reso necessario dopo il fallimento di vari tentativi di riformare il regolamento di Dublino, bloccati soprattutto dai paesi dell’Est.

Nell’intenzione dei paesi che lo discutono oggi, l’accordo dovrebbe assicurare un meccanismo «per assicurare lo sbarco dignitoso dei migranti salvati in alto mare», come si legge nella bozza secondo Repubblica. Una delle prime conseguenze dell’accordo, se approvato, sarà infatti evitare gli stalli di giorni o settimane a cui erano costrette le navi che soccorrono migranti nei pressi della Libia, a cui Malta e l’Italia – soprattutto quando il ministro dell’Interno italiano era Matteo Salvini – negavano i porti, sia per una questione di propaganda anti-immigrati sia perché subordinavano lo sbarco alla disponibilità di altri paesi europei ad accogliere i migranti a bordo delle navi.

Se sarà firmato, l’accordo verrà poi discusso durante il Consiglio dell’UE – l’organo che raduna i rappresentanti dei governi dei 28 paesi dell’Unione – che si terrà in Lussemburgo il 7 e l’8 ottobre, dove con tutta probabilità si cercherà di allargarlo ad altri paesi (Repubblica parla di una decina di altri stati).

Il summit di oggi è stato preparato da decine di funzionari e da diversi incontri bilaterali fra i paesi coinvolti, ma diversi osservatori e analisti sono ancora piuttosto prudenti sulla portata che potrebbe avere un eventuale accordo per via dei diversi punti che rimangono in sospeso.

Le puntate precedenti
Nel 2015 la Commissione Europea promosse un meccanismo di ricollocamento di 160mila richiedenti asilo da Grecia e Italia, per alleviare l’onere di accoglienza dei due paesi più interessati dal flusso di quegli anni. In teoria il piano avrebbe dovuto riguardare 160mila richiedenti asilo – principalmente siriani, eritrei e iracheni, cioè quasi certi di ottenere lo status di rifugiati – da distribuire in tutta l’Unione Europea con un sistema di quote, che tenevano conto del PIL e della popolazione di ciascuno stato. Il piano fallì nel giro di pochi mesi: nonostante fosse legalmente vincolante, la Commissione Europea non aveva mezzi e risorse per farlo applicare, né per comminare multe ai paesi che non volevano saperne di accogliere richiedenti asilo, cioè soprattutto Ungheria, Polonia e altri paesi dell’Est.

Negli anni successivi la Commissione fece diversi tentativi per applicare il meccanismo, soprattutto coi paesi più disponibili, ma senza grossi successi. Secondo gli ultimi dati, che risalgono a circa un anno fa, in tutto sono stati ricollocati 34mila richiedenti asilo, 21.999 dalla Grecia e 12.706 dall’Italia. Nel frattempo però l’Unione Europea ha stretto un importante (e controverso) accordo di collaborazione con la Turchia per fermare il flusso di migranti dal Medio Oriente, e finanziato la cosiddetta Guardia Costiera libica per pattugliare le coste della Libia, il paese dove termina la rotta migratoria che parte dall’Africa centrale.

Il risultato è che il flusso di migranti che arrivano via mare in Europa è diminuito moltissimo. Per rimanere all’Italia, siamo passati dai 119mila arrivi del 2017 – l’ultimo anno di picco del flusso – ai 6.839 di quest’anno, passando per i 23.370 del 2018.

Perché l’accordo di oggi, quindi?
È una domanda per la quale non esiste una sola risposta. La prima, e la più evidente, è che il flusso si è ridotto ma non si è fermato. Secondo i dati dell’UNHCR, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati, nel 2019 sono arrivati in Europa via mare circa 54mila migranti, la maggior parte dei quali in Spagna e in Grecia (due paesi molto interessati all’accordo che si discute oggi, e che in sede europea potrebbero chiedere di essere inclusi nel meccanismo).

Rispetto al passato è inoltre aumentato il tasso di mortalità dei migranti che provano ad arrivare in Europa dalla Libia. Secondo alcuni dati del ricercatore Matteo Villa dell’ISPI e citati da Annalisa Camilli su Internazionale, «il rischio di morire lungo la traversata è passato dal 2-2,4 per cento del periodo 2014-maggio 2018 al 6,2 per cento del periodo giugno 2018-giugno 2019». Questo per via della presenza molto ridotta delle ong che soccorrono le persone in mare – trattate con grande ostilità dal primo governo di Giuseppe Conte, sostenuto dal M5S e dalla Lega – e dal progressivo depotenziamento delle missioni militari europee, accusate dal primo governo Conte di portare i migranti esclusivamente in Italia per destabilizzare il governo (in realtà c’entra soprattutto il diritto marittimo).

Esiste poi un’altra ragione, più politica: dato che a causa dell’opposizione dei paesi dell’Est la riforma del regolamento di Dublino è ancora lontana, nonostante le aperture della nuova Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen, i paesi coinvolti nell’accordo e l’UE vogliono dimostrare di fare qualcosa di concreto per reagire alla propaganda dei partiti populisti e sovranisti nel Sud Europa, soprattutto in Italia.

«Ora che a Roma si è insediato un governo più europeista, Berlino e Parigi hanno un forte incentivo per mostrare agli elettori italiani che l’Unione Europea è disposta ad aiutare l’Italia sul tema dell’immigrazione», scrive Politico. Non è un caso, secondo alcuni, che le trattative per l’accordo che si discute oggi a Malta si siano velocizzate dopo che Salvini ha lasciato il ministero dell’Interno.

Va detto però che Salvini era contrario alle bozze di accordo che erano circolate nelle scorse settimane, frutto delle trattative guidate dalla Francia. Salvini, insieme al governo di Malta, si era opposto alla proposta di un ricollocamento automatico, perché temeva che avrebbe lasciato all’Italia tutto il peso degli arrivi, senza garanzie vere che i migranti sarebbero stati davvero redistribuiti. A fine luglio aveva disertato un summit tenuto a Parigi accusando il presidente francese Emmanuel Macron di averlo convocato con poco preavviso e sostenendo che gli altri paesi europei volevano continuare a rendere l’Italia «il campo profughi d’Europa».

Cosa prevede la bozza
Il meccanismo si chiama Predictive temporary allocation programme, e introduce un ricollocamento obbligatorio dei migranti che arrivano via mare – tutti o solo in parte: ci arriviamo – sulle coste di Italia e Malta, nel resto dei paesi europei disponibili a entrare nel meccanismo: per ora sono soltanto Francia e Germania, disposte a farsi carico del 25 per cento dei migranti a testa. “Farsi carico” significa che entro quattro settimane successive allo sbarco, le persone selezionate verranno trasferite nei due paesi, che avranno l’onere di ospitarle ed esaminare la loro richiesta di protezione.

Il Corriere della Sera ha scritto che l’accordo prevederà «agevolazioni per chi entra e sanzioni per chi invece decide di rimanere fuori», che «pagherà le conseguenze in termini economici». Un eventuale sistema di multe e agevolazioni, però, verrà integrato soltanto se l’accordo sarà accolto dall’UE, l’unica istituzione che può approvare questo genere di misure.

Questo è tutto quello che sappiamo per certo sulla bozza. Politico scrive che è datata 13 settembre – quindi ben dieci giorni fa – non è firmata e presenta varie porzioni di testo «segnate in rosso o dentro un box, segno che devono ancora essere finalizzate». Una fonte diplomatica ha confermato a Politico che la bozza è ancora «molto aperta, in attesa di decisioni politiche» che andranno prese oggi a Malta.

I punti in sospeso
Il primo, e più importante, riguarda quali migranti inserire nel meccanismo di ricollocamento. Secondo il Foglio, il governo italiano ha chiesto che le modalità con cui i migranti arrivano in Italia «non siano un discrimine», e che il meccanismo possa riguardare tutti: chi riesce ad arrivare in maniera autonoma sulle coste italiane, chi arriva grazie ai cosiddetti “sbarchi fantasma”, e chi viene trasportato dalle navi militari italiane o da quelle delle ong.

Non è una distinzione da poco: secondo un calcolo dell’ISPI soltanto il 9 per cento dei migranti che arrivano via mare viene soccorso in alto mare e trasportato in Italia da navi militari e ong. Dal giugno 2018 all’agosto 2019 i migranti tenuti al largo perché soccorsi in mare sono stati 1.346, contro i 15.095 arrivati in maniera autonoma. Se l’accordo riguardasse soltanto i primi, avrebbe una portata piuttosto ridotta.

Politico fa notare che nel testo finale bisognerà capire se le persone da inserire nel meccanismo verranno definite «migranti» oppure «rifugiati»: sembra infatti che nelle scorse settimane Francia e Germania abbiano insistito per ricollocare soltanto le persone che hanno più possibilità di ricevere protezione, sia per la loro condizione di vulnerabilità sia perché provengono da paesi in guerra come la Siria (un po’ come succedeva per il meccanismo promosso dalla Commissione Europea nel 2015). Italia e Malta stanno spingendo per allargare quanto più possibile la definizione: secondo Politico, il fatto che nella bozza del 13 settembre non compaia mai la parola «rifugiati» mostra che Italia e Malta abbiano raggiunto il loro obiettivo, anche se naturalmente il testo potrebbe cambiare ancora nella sua versione finale.

Altri due punti in sospeso riguardano le condizioni per far scattare il meccanismo. La bozza vista da Politico parla dell’eventualità che uno stato riceva «un numero sproporzionato di richieste di protezione», ma «sproporzionato» è una parola piuttosto vaga che si presta a varie interpretazioni. I paesi che aderiscono al meccanismo, per esempio, potrebbero decidere che 9-10mila richiedenti asilo non sono affatto un numero sproporzionato per l’Italia, abituata a gestire flussi ben più consistenti. Un altro punto riguarda i porti di sbarco: Repubblica scrive che «Italia e Malta vogliono che i migranti vengano sbarcati anche nei porti degli altri Paesi europei costieri “in base a uno schema di rotazione automatico”», mentre Germania e Francia propongono che i singoli paesi possano mettere a disposizione i propri porti su base volontaria.