Come si compra un’opera d’arte immateriale?

Il New York Times ha raccontato le difficoltà del mercato dell'arte performativa, che però grazie a Internet potrebbe diventare quello del futuro

Una riproduzione dell'esibizione Art Must Be Beautiful, Artist Must Be Beautiful, Bonn, Germania, 19 aprile 2018
(Marius Becker/picture-alliance/dpa/AP Images)
Una riproduzione dell'esibizione Art Must Be Beautiful, Artist Must Be Beautiful, Bonn, Germania, 19 aprile 2018 (Marius Becker/picture-alliance/dpa/AP Images)

La forma d’arte del momento nel mondo dell’arte è quella performativa, che non è fatta di tele, sculture e cose da toccare, ma di esibizioni evanescenti degli artisti, come la serba Marina Abramović, il russo Petr Pavlensky e l’olandese Bas Jan Ader. In Europa si affacciò nel primo Novecento con il costruttivismo russo, il futurismo e il dadaismo, proseguì negli anni Quaranta e Cinquanta con l’Action painting (in cui l’artista faceva colare il colore sulla tela) e si diffuse definitivamente dagli anni Sessanta, con Andy Warhol, Yoko Ono, Carolee Schneemann, Yves Klein, Chris Burden. Ma come si compra un’opera d’arte performativa?

Il Leone d’oro dell’ultima Biennale di Venezia, una delle più importanti esposizioni d’arte contemporanea di tutto il mondo, è stato vinto dalla Lituania con la performance collettiva Sun & Sea (Marina), curata dalle artiste Lina Lapelyte, Vaiva Grainyte e Rugile Barzdziukaite: mette in scena una spiaggia finta con persone vere che la vivono e che gli spettatori possono osservare dall’alto. Anche Anne Imhof, l’artista tedesca che aveva vinto il Leone d’oro l’anno prima, aveva realizzato a marzo una performance alla Tate Modern di Londra, una galleria che nella sua collezione permanente ospita 17 performance, a cui se ne aggiungono «molte altre che stiamo cercando di acquistare», come ha spiegato al New York Times il responsabile della comunicazione, Duncan Holden. Nonostante da anni i musei abbiano accolto le esibizioni tra le loro forme d’arte, il mercato fa ancora fatica a venderle e a promuoverle, come ha raccontato Scott Reyburn sul New York Times.

Per esempio Sotheby’s, Christie’s e Phillips, le più grandi case d’asta al mondo, non hanno ancora venduto nessuna opera d’arte dal vivo, a meno di considerare tale l’inaspettata autodistruzione di un quadro di Banksy subito dopo essere stato battuto all’asta da Sotheby’s a Londra. Will Kerr, cofondatore dell’organizzazione no-profit A.P.A. (A Performance Affair) dedicata all’arte performativa, spiega che «è qualcosa di effimero. […] I venditori si limitano a usarla come un amo per vendere il lavoro degli altri artisti. È considerata una forma di intrattenimento: fa’ una foto per Instagram e poi passa ad altro. Non abbiamo ancora un modello maturo».

L’arte performativa è difficile da vendere perché è difficile capire che cosa si stia comprando esattamente. Per questo negli ultimi tempi stanno nascendo dei tentativi di regolamentarla: per esempio A.P.A. ha realizzato insieme al curatore Chantal Pontbriand un protocollo che chiede di specificare la durata dell’esibizione, la sua riproducibilità, eventuali oggetti o materiali che restano al curatore una volta finita. L’idea è metterne a punto uno definitivo che possa essere adottato da gallerie e artisti di tutto il mondo, facilitando la vendita e la rivendita delle opere d’arte.

Nel 2012 Frédéric de Goldschmidt, che fa parte di A.P.A., aveva acquistato per 2.500 dollari una performance dell’artista francese Philippe Parreno intitolata Transubstantiation: prevedeva che Parreno cucinasse alcune ricette della madre morta, ma non venne mai realizzata. De Goldschmidt chiese a Phillips se poteva venderla all’asta ma non c’erano documenti sufficienti per farlo: «non era indicata la durata e alcun dettaglio pratico, mentre c’erano molte ambiguità». Il New York Times fa un po’ di esempi di esibizioni che si possono comprare e che portano con sé qualcosa di materiale. Per esempio The Banquet della belga Ariane Loze è disponibile in 4 lingue diverse e consiste di 12 sceneggiature scritte. Evann Siebens, una ex ballerina di Vancouver, ha catalogato un archivio di gesti della storia dell’arte performativa; li ricrea a pagamento e li conserva in un video o in una foto per il compratore.

Secondo il collezionista belga Tobias Arndt l’arte performativa si farà presto strada nel mondo dei collezionisti: «Ha il potenziale per diventare un evento. La performance è un’esperienza estetica diretta, e la puoi condividere sui social. Qui non si tratta solo di decorare la tua casa con buone opere d’arte. È qualcosa che può far schizzare Instagram».