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  • Venerdì 13 settembre 2019

I molti problemi delle indagini anticorruzione in America Latina

I giudici hanno forzato accuse e manipolato informazioni per interessi politici, racconta l'Atlantic, nell'enorme scandalo che ha coinvolto soprattutto il Brasile

Jair Bolsonaro (AP Photo/Eraldo Peres)
Jair Bolsonaro (AP Photo/Eraldo Peres)

Da qualche settimana diverse inchieste giornalistiche stanno rivelando particolari sorprendenti sull’enorme indagine anticorruzione “Lava Jato” (o “Car Wash”, il suo nome in inglese), iniziata in Brasile diversi anni fa e poi estesa a quasi tutta l’America Latina. L’indagine, che tra le altre cose svelò un’estesissima rete di corruzione che coinvolgeva governi latinoamericani e società private che pagavano tangenti per accaparrarsi appalti pubblici, portò alla detenzione dell’ex presidente brasiliano Luiz Inácio “Lula” da Silva e rese popolarissimi i giudici e i magistrati che se ne incaricarono, tra cui il giudice brasiliano Sérgio Moro, che iniziò una specie di crociata anticorruzione modellata sull’inchiesta italiana di “Mani Pulite” e che ora è un membro importante del governo brasiliano di estrema destra guidato da Jair Bolsonaro.

Le inchieste giornalistiche delle ultime settimane, soprattutto quelle pubblicate dal sito The Intercept, hanno cominciato però a raccontare un’altra storia: quella di giudici non imparziali che hanno forzato accuse e manipolato informazioni per interessi politici, e che sono arrivati a usare mezzi illeciti per mettere pressione alla Corte suprema. Le ultime rivelazioni della stampa brasiliana sono state seguite con grande attenzione in tutti i paesi latinoamericani coinvolti nell’indagine (Argentina, Colombia, Messico, Panama, Perù e Venezuela) e hanno cominciato ad avere conseguenze rilevanti sulla sfiducia di molti stati del continente verso la democrazia, ha scritto il giornalista Vincent Bevins sull’Atlantic.

Le numerose inchieste pubblicate nelle ultime settimane da The Intercept e da diversi giornali brasiliani, tra cui Folha de S. Paulo (il più grande quotidiano brasiliano), Veja (magazine conservatore) e País Brazil (l’edizione brasiliana del principale quotidiano spagnolo) si sono basate su una grande quantità di materiali e documenti forniti da una fonte anonima al giornalista Glenn Greenwald, che nel 2014 vinse il premio Pulitzer per le inchieste basate sui documenti sottratti al governo statunitense da Edward Snowden.

Tra le altre cose, hanno rilevato diverse conversazioni tra il giudice Sérgio Moro e Deltan Dallagnol, il capo del gruppo di magistrati brasiliani che si stava occupando dello scandalo: conversazioni che secondo diversi osservatori superarono le linee etiche che definiscono il ruolo di un giudice. In particolare Moro avrebbe aiutato i magistrati dell’accusa a mettere in piedi il caso contro Lula, nonostante il suo ruolo imparziale non lo permettesse e nonostante le prove raccolte fossero considerate dagli stessi magistrati poco solide. A causa del processo e della successiva condanna, a Lula fu impedito di candidarsi alle ultime elezioni, quelle poi vinte da Bolsonaro (fine 2018), quando i sondaggi lo davano in vantaggio; Moro divenne molto popolare – come successe all’inizio ai giudici di Mani Pulite in Italia – e fu poi nominato “super ministro della Giustizia”, un incarico con enormi poteri che era stato creato per la prima volta proprio da Bolsonaro.

Le rivelazioni pubblicate nelle ultime settimane da The Intercept e dagli altri giornali hanno mostrato come Moro e diversi magistrati abbiano agito per ragioni politiche, e in particolare per ostacolare la vittoria di Lula e del suo partito alle ultime elezioni. Secondo alcuni osservatori, tra cui Bevins dell’Atlantic, hanno anche messo in evidenza la fragilità dei regimi democratici di molti paesi latinoamericani, che nella maggior parte dei casi hanno avuto esperienze piuttosto recenti di governi autoritari e giunte militari al potere.

Matias Spektor, docente di Relazioni internazionali all’Università Fundação Getúlio Vargas di San Paolo, ha detto all’Atlantic: «Per decenni ci siamo raccontati che negli anni Ottanta passammo dalla dittatura alla democrazia, rompendo nettamente con il passato. “Lava Jato” ha rivelato quanto imperfetta sia stata questa transizione, quanto nel cuore della nostra democrazia siano ancora molto diffuse le pratiche endemiche di corruzione dei regimi autoritari; e ora la tragica ironia di tutto questo è che stiamo imparando che un piccolo gruppo di imprenditori burocrati attivisti [come Moro e Dallagnol] ha usato le caratteristiche di questo sporco sistema per mettersi in politica».

Donatella Della Porta, docente di Scienze Politiche della Scuola Normale Superiore di Pisa ed esperta di corruzione, ha aggiunto: «Gli scandali che coinvolgono i giudici sono ancora più pericolosi per le democrazie rispetto agli scandali che coinvolgono altri attori istituzionali, perché la legittimità del potere giudiziario si basa solo sulla sua pretesa di neutralità». Secondo Della Porta, nella storia delle campagne anticorruzione guidate da giudici e magistrati molto in vista non ci sono molti esempi di successo: «[Queste campagne] dividono l’opinione pubblica e i politici si difendono dicendo che i giudici sono politicizzati».

Come in gran parte dei paesi dell’America Latina, ha scritto Bevins, la democrazia in Brasile ha solo qualche decennio. Durante gli anni della Guerra fredda in diversi paesi latinoamericani ci furono colpi di stato appoggiati dagli Stati Uniti che portarono al potere regimi autoritari di destra, spesso responsabili di gravi crimini. Oggi molte forze di sinistra della regione si chiedono se giudici e magistrati non siano diventati il nuovo strumento delle élite conservatrici per mantenere il potere e per indebolire le democrazie. In un’intervista data a The Intercept, lo stesso Lula ha detto di sospettare che il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti fosse dietro a tutta l’inchiesta giudiziaria di “Lava Jato”, pur senza presentare alcuna prova che sostenesse le accuse.

Lo scandalo legato al comportamento di giudici e magistrati nel caso “Lava Jato” potrebbe diventare ancora più grande nelle prossime settimane. Sia The Intercept che i giornali che hanno lavorato fin qui all’inchiesta hanno detto di stare lavorando su molto altro materiale che finora non è stato diffuso.