Il golpe in Brasile, 50 anni fa
La storia del colpo di stato che instaurò una dittatura meno conosciuta di quella cilena o argentina, ma altrettanto traumatica per la storia del paese
In Brasile, il primo aprile di 50 anni fa, un golpe militare mise fine al governo di João Goulart, detto “Jango”, instaurando una dittatura che durò 21 anni, che fu forse meno conosciuta di quella cilena o argentina ma altrettanto traumatica per la storia del paese. Ieri, lunedì 31 marzo, durante una conferenza stampa a Brasilia, la presidente Dilma Rousseff – che in quanto ex membro di un gruppo di guerriglieri di sinistra è stata imprigionata e torturata durante la dittatura – ha ricordato le vittime del colpo di stato dicendo che il presente richiede soprattutto di «parlare di quello che è successo». Quest’anno dunque, a differenza del passato, non ci sarà alcuna commemorazione ufficiale, ma in tutte le principali città del paese sono state organizzate proiezioni di film, conferenze e dibattiti.
Prima del golpe
Alla fine degli anni Cinquanta il presidente socialdemocratico Juscelino Kubitshek aveva avviato una serie di riforme che avevano favorito lo sviluppo industriale, economico e intellettuale del Brasile, e contribuito a migliorare la condizione soprattutto della classe media del paese. Alle presidenziali del 1961, con una campagna elettorale basata sulla lotta alla corruzione e forte del malcontento della popolazione più debole e povera, venne eletto Jânio Quadros con quasi il 50 per cento dei voti.
La politica di Quadros si rivelò però fallimentare, poco incisiva e populista: rifiutò il blocco di Cuba, decorò il guerrigliero comunista Che Guevara, promise di replicare la riforma agraria cubana anche in Brasile, cercò l’appoggio dei progressisti, ma venne ben presto abbandonato sia dai partiti moderati e conservatori che dall’opinione pubblica. E venne ostacolato anche dal Congresso, che propose di chiudere per governare da solo minacciando di rinunciare al mandato. Poiché nessuno lo sostenne, dopo soli 207 giorni di governo si dimise davvero.
Le dimissioni di Quadros aprirono una profonda crisi politica. Teoricamente sarebbe toccato al vicepresidente Goulart assumere la guida del governo ma al momento dell’abbandono di Quadros, Goulart si trovava in Cina per incontrare Mao Tse Tung. In sua assenza, crebbe l’ostilità delle forze armate brasiliane e di quei partiti politici, appoggiati da banchieri e latifondisti, che vedevano in Goulart una “minaccia comunista” a causa della sua vicinanza a lavoratori e sindacati. Si cercò dunque di impedire il suo insediamento e fu imposto al Congresso di trasformare il sistema politico brasiliano da presidenzialista a parlamentarista, pur di indebolirlo.
João Goulart e il golpe
Per aggirare il veto al suo insediamento e ottenere il riconoscimento del Congresso, Goulart accettò una modifica costituzionale che riduceva le prerogative del presidente della Repubblica e prevedeva l’istituzione di un primo ministro. Fu eletto Tancredo Neves, ma la crisi economica e l’instabilità politica permisero al presidente Goulart di indire un referendum. Nel gennaio del 1963 oltre l’80 per cento dei votanti disse “no” al parlamentarismo e il presidenzialismo fu restaurato. Il presidente Goulart, tornato ad avere pieni poteri e appoggiato dall’opinione pubblica, avviò la riforma agraria e quella dell’istruzione, difese i diritti sindacali dei lavoratori e in un celebre discorso del 13 marzo 1964, durante una manifestazione di circa 100 mila persone, annunciò la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere.
Il mondo, intanto, era in piena Guerra fredda. Goulart fu considerato sempre di più una minaccia per gli Stati Uniti, che portavano avanti una politica di influenza aggressiva in tutto il continente americano: alla fine di marzo il governo del presidente Lyndon Johnson ordinò di posizionare navi e aerei lungo la costa brasiliana, pronti se necessario a entrare in azione. Tra il 31 marzo e il primo aprile del 1964 i carroarmati dell’esercito brasiliano ricevettero l’ordine di dirigersi verso Brasilia e Rio de Janeiro. Il presidente decise di non reagire, fu deposto e fuggì in Uruguay. Il 3 aprile del 1964 il presidente del Congresso dichiarò vacante la presidenza. Il 15 aprile il maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco divenne presidente del Brasile.
La dittatura militare
Il nuovo presidente intervenne immediatamente contro i sindacati e vietò gli scioperi. Nel 1965 mise fuorilegge tutte le forze politiche: creò al loro posto un partito governativo, l’Aliança renovadora nacional (ARENA), e uno di opposizione ufficiale, il Movimento Democrático Brasileiro (MDB). Il nuovo regime militare fu formalizzato da due nuove Costituzioni: vennero concessi al presidente poteri straordinari, vennero sospese le garanzie costituzionali e crebbero le persecuzioni degli oppositori al regime.
Nel 1968 si intensificò in Brasile la lotta del movimento studentesco contro il regime militare, a seguito dell’uccisione di uno studente durante gli scontri con la polizia durante una manifestazione. Diversi leader politici, sindacali e degli studenti vennero licenziati, arrestati, torturati o fatti sparire. Nel dicembre 1968, a causa della loro collocazione politica e delle loro canzoni di protesta, anche i musicisti Gilberto Gil e Caetano Veloso vennero arrestati e rilasciati solo in cambio di un esilio “volontario” a Londra. Col passare dei mesi la resistenza al regime divenne lotta armata. Il Partito Comunista del Brasile organizzò una guerriglia sulle rive del fiume Araguaia e diversi movimenti in suo sostegno iniziarono a finanziare la guerriglia con rapine in banca e rapimenti: fu molto celebre quello nel settembre del 1969 dell’ambasciatore statunitense in Brasile, Charles Elbrik, catturato a Rio in cambio del rilascio di 15 prigionieri politici e della divulgazione di un manifesto. Si stima che dai 300 ai 400 oppositori del governo vennero uccisi e che a migliaia furono torturati.
Dopo Castelo Branco (1964-1967) si succedettero alla presidenza della Repubblica i militari Artur da Costa e Silva (1967-1969), Emílio Garrastazu Médici (1969-1974) ed Ernesto Beckmann Geisel (1974-1979), mentre il Brasile attraversò un periodo di sviluppo economico molto veloce ma squilibrato perché dipendente dall’estero e dall’afflusso di capitali stranieri, soprattutto statunitensi. Furono realizzate alcune grandi opere: la diga idroelettrica di Itaipú sul fiume Paraná al confine con il Paraguay, la Trans-Amazzonia e il ponte Rio-Niterói. Il calcio e la Coppa del Mondo del 1970 in Messico furono sfruttati dal governo per dare un’immagine vincente del paese.
Verso la democrazia
Alla fine degli anni Settanta la sinistra iniziò a riorganizzarsi politicamente. Il sindacalista Luiz Inácio da Silva fondò il Partito dei Lavoratori, la crisi economica (recessione, inflazione, esplosione del debito estero fin dagli anni Ottanta) e la crescita delle tensioni sociali portarono i militari ad avviare il ritorno graduale a un governo civile: nell’agosto del 1979 il nuovo presidente João Figueiredo promulgò una legge di amnistia per i reati politici, sciolse ARENA e MDB e consentì la formazione di nuovi partiti politici. Nel 1985 si tornò all’elezione diretta del presidente della Repubblica (Tancredo Neves divenne il primo presidente non militare dopo più di 20 anni), il diritto di voto fu esteso agli analfabeti e tutti i partiti furono legalizzati. Nel 1986 fu eletto il nuovo Congresso, che assunse anche la funzione di Assemblea costituente. La nuova Costituzione fu promulgata nel 1988.
E oggi?
Sono in molti a sostenere che il periodo della dittatura abbia lasciato dei segni evidenti anche nella storia più recente del Brasile: per esempio nella risposta violenta della polizia alle proteste che hanno colpito le città brasiliane lo scorso anno, nei metodi utilizzati nelle zone più povere del paese e nell’impunità in cui spesso restano i reati da loro commessi. Col tempo centinaia di documenti della CIA sono stati resi pubblici e mostrano, soprattutto, l’entità del sostegno logistico e politico degli Stati Uniti al colpo di stato. Il Washington Post, in un articolo dedicato ai 50 dal golpe, racconta di una giovane studentessa universitaria brasiliana che ha acquistato una rivista che aveva in prima pagina il racconto del coinvolgimento degli Stati Uniti nell’instaurazione del regime: «Non è una sorpresa che gli Stati Uniti l’abbiano sostenuto», ha detto la ragazza, «ma è una sorpresa che la notizia sia su una rivista brasiliana».
Foto: carroarmati in viaggio vero Rio de Janeiro, 1 parile 1964 (AP Photo)