Richard Gere ha settant’anni

Storia e carriera di un buon attore – e di un "sex symbol", come si dice – che si è fatto notare anche per quello che fa fuori dai film

(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)
(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

Richard Gere – «il sessantenne brizzolato più seducente di Hollywood» – da oggi ha 70 anni. Sebbene non sia mai nemmeno stato nominato per un Oscar, è un attore che tutti conoscono; e sebbene lui abbia detto di «non voler essere una celebrità», è noto a molti anche per quello che fa e che è in quanto figura pubblica, non solo come attore. Nella sua carriera c’è chiaramente un prima e un dopo: nel prima, che arriva fino a una decina di anni fa, ci sono tutti i suoi ruoli più famosi. Nel dopo ci sono ruoli più piccoli, un po’ per scelta sua e un po’, dice lui, per via delle sue critiche alla Cina, che ormai ha spesso voce in capitolo anche quando si parla di cinema statunitense.

Richard Gere è nato a Philadelphia, in Pennsylvania, il 29 agosto 1949, figlio di un assicuratore e di una casalinga, entrambi diretti discendenti dei 102 Padri pellegrini che nel 1620 lasciarono l’Inghilterra e approdarono in New England sul galeone Mayflower. Il cognome di famiglia era Geer, ma a un certo punto divenne Gere. Da ragazzo Richard Tiffany Gere (il secondo nome arriva dal nome della madre) si distinse nello sport e nella musica e iniziò a studiare filosofia in un’università pubblica. Ma lasciò gli studi molto prima della laurea, per dedicarsi al teatro. Negli anni Settanta, poco più che ventenne, recitò in Rosencrantz e Guildenstern sono morti, fu Danny Zuko in una rappresentazione di Grease e si fece notare a Broadway per un’opera, Bent, in cui interpretava una vittima gay dell’Olocausto.

Il primo, trascurabile, ruolo al cinema fu nel 1975 in Rapporto al capo della polizia, mentre il primo ruolo davvero degno di nota arrivò due anni più tardi, quando interpretò un italoamericano affascinante ma dissoluto nel film In cerca di Mr. Goodbar. Seguì un ruolo impegnato in I giorni del cielo di Terrence Malick e nel 1980 American Gigolò, il thriller dopo il quale spesso e volentieri se si parlava di Richard Gere si usavano le parole “sex symbol”. Richard Gere è uno di quelli che la rivista People a un certo punto decretò «l’uomo più sexy al mondo»; sempre People lo scelse – insieme all’allora moglie Cindy Crawford – come componente della «coppia più sexy del mondo».

Gli altri due film che contribuirono notevolmente a dargli questa fama furono Ufficiale e gentiluomo e Pretty Woman, del 1982 e del 1990. Nel primo Gere interpretò l’affascinante e romanticissimo Zack Mayo; nell’altro fu l’inizialmente cinico ma poi immancabilmente romanticissimo Edward Lewis. Ci sono pochi dubbi sul fatto che siano i due ruoli più noti di Gere, con due dei finali più zuccherosi della storia del cinema. In mezzo e poco dopo, Gere riuscì anche a recitare, tra gli altri, per Francis Ford Coppola, Sidney Lumet, Mike Figgis e Akira Kurosawa.

In seguito Gere fu Lancillotto nel Primo cavaliere, recitò in qualche thriller come Schegge di paura The Jackal e poi tornò ai ruoli romantici, anche se non necessariamente in commedie: Se scappi, ti sposo (con Julia Roberts e Gary Marshall, protagonista e regista di Pretty Woman), Il dottor T e le donne (di Robert Altman), Autumn in New York (romantico drammatico, con Winona Ryder) e Shall We Dance (con Susan Sarandon e Jennifer Lopez). Film che, spesso e volentieri, in maniera più o meno diretta, provavano a ricreare o rielaborare quello che, soprattutto grazie ai suoi vecchi film, Gere era nell’immaginario del pubblico.

Intanto nel 2002 era arrivato anche Chicago, un musical molto apprezzato che fu candidato a 13 Oscar (comprese le nomination per la recitazione di Renée Zellweger, John C. Reilly e Queen Latifah). Gere, che per il suo ruolo in questo film aveva vinto un Golden Globe, non fu nominato. Secondo qualcuno, c’entrò il fatto che l’ultima volta che era stato agli Oscar – nel 1993, per premiare altri – aveva colto l’occasione per criticare duramente la Cina per quel che aveva fatto e stava facendo in Tibet.

Quel discorso del 1993, la conversione di Gere (cresciuto frequentando una chiesa metodista) al buddismo tibetano e le sue sempre più forti prese di posizione contro la Cina sono secondo molti, e secondo Gere, il motivo per cui da almeno dieci anni recita solo in film relativamente piccoli e indipendenti (come La frode o Gli invisibili, in cui ha interpretato un senzatetto).

Gere, bandito a vita dalla Cina, un paio di anni fa ne parlò all’Hollywood Reporter: «Ci sono certi film che proprio non posso fare, perché dalla Cina qualcuno direbbe “No, lui no”». Aggiunse però che non gli spiaceva poi tanto, perché aveva avuto tre decenni di grande successo e «poteva permetterselo». Disse anche: «Non mi interessa fare lo Jedi rugoso in qualche blockbuster». La giornalista gli fece anche quelle solite domande su cosa pensasse dei suoi ruoli più famosi e lui rispose di avere ottimi ricordi di Pretty Woman, in cui tra l’altro, da buon musicista, compose e suonò la parte al pianoforte. «Gli attori erano quelli giusti. Julia fu magica. Gary Marshall fu uno Svengali. Era tutto giusto. Fu una di quelle cose chimiche che non possono essere pianificate o replicate».

Oltre che per il Tibet e contro la Cina, da anni Gere è molto impegnato per sensibilizzare nei confronti dell’AIDS e in aiuto dei popoli indigeni, soprattutto sostenendo l’associazione Survival International. Di recente si è parlato della presenza di Gere sulla nave Open Arms, in aiuto dei migranti, ma prima ancora era stato a Roma alla Comunità di Sant’Egidio, l’associazione cattolica di volontariato a sostegno dei poveri.