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  • Sabato 24 agosto 2019

La guerra commerciale di Trump non va benissimo

L'aveva iniziata dicendo che sarebbe stata "facile da vincere" ma un anno e mezzo dopo sembra aver finito le idee su come uscirne

(Scott Olson/Getty Images)
(Scott Olson/Getty Images)

Nel marzo 2018, quando gli Stati Uniti annunciarono l’introduzione dei primi dazi sulle merci importate dalla Cina, il presidente Donald Trump scrisse: «Le guerre commerciali sono una buona cosa, e sono facili da vincere!». A più di un anno di distanza da quelle dichiarazioni, però, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è ancora in corso e non sembra essere vicina a finire. Venerdì, Trump ha annunciato un nuovo aumento dei dazi e in una serie di tweet è arrivato a ordinare alle imprese statunitensi di non fare più affari in Cina e ha accusato il presidente della Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, di essere un nemico del paese per non aver fatto abbastanza per sostenere l’economia statunitense. Due cose che hanno fatto pensare che Trump abbia un po’ perso il controllo della guerra commerciale, che non sta andando come sperava lui.

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina era iniziata nei primi mesi del 2018 per volontà di Trump, che accusava la Cina di avere incentivato il furto di brevetti e proprietà intellettuali dalle aziende statunitensi, per trarne vantaggi economici e produttivi di vario tipo. Gli Stati Uniti, quindi, avevano cominciato a imporre dazi sull’importazione di merci prodotte in Cina, nella convinzione che i danni economici all’economia cinese avrebbero costretto il governo a trattare e interrompere le pratiche scorrette. Nonostante l’avvio di trattative e diversi incontri diplomatici di alto livello, la Cina non si era “arresa” e aveva da subito risposto ai dazi statunitensi con misure uguali e contrarie, creando di fatto una spirale negativa di dazi e contro-dazi che continua ancora oggi.

La rabbiosa serie di tweet pubblicata venerdì da Trump è arrivata poche ore dopo l’annuncio che la Cina avrebbe introdotto dazi del 5 o del 10 per cento su beni importati dagli Stati Uniti, per un valore complessivo di 75 miliardi di dollari all’anno. Il tutto in risposta ad altri dazi annunciati poche settimane prima dagli Stati Uniti. Nei tweet, Trump ha detto che l’1 ottobre alzerà al 30 per cento i dazi su beni per 250 miliardi di dollari all’anno e che i nuovi dazi  –previsti per dicembre su beni per 300 miliardi di dollari – passeranno dal 10 al 15 per cento.

(I messaggi pubblicati ieri da Donald Trump in cui minaccia nuovi dazi)

In altri messaggi, Trump si è spinto ancora più in là. Ha detto che gli Stati Uniti non hanno bisogno della Cina e ha aggiunto: «Ordino alle società statunitensi di cercare subito delle alternative alla Cina, inclusa la possibilità di portare A CASA  le vostre fabbriche e produrre negli USA». Poi ha scritto che avrebbe chiesto a tutti i servizi postali privati statunitensi di ispezionare tutti i pacchetti provenienti dalla Cina per bloccare il contrabbando di Fentanyl – un potente farmaco oppioide che ha contribuito all’enorme crisi di abuso di oppiodi degli Stati Uniti – e ha infine attaccato molto apertamente Jerome Powell, il capo della Federal Reserve, nominato da lui stesso nel 2018: lo ha accusato di non aver fatto abbastanza per proteggere l’economia statunitense e ha chiesto se fosse un peggiore “nemico” degli Stati Uniti lui o il presidente cinese Xi Jinping.

Dietro ai messaggi di venerdì, ha scritto il New York Times, c’è probabilmente la consapevolezza che la guerra commerciale con la Cina non sarà «facile da vincere» come pensava Trump e che fino a ora i danni più gravi li sta pagando proprio l’economia statunitense. David French, vice presidente della National Retail Federation, un’associazione di commercianti, ha spiegato venerdì che fare affari e programmare il futuro è complicatissimo se ogni mese si aggiungono nuovi dazi, che di fatto si trasformano in costi più alti per le tantissime compagnie statunitensi che producono o acquistano beni in Cina. A maggio, un autorevole studio aveva sostenuto che tra le società statunitensi e quelle cinesi, a perdere a causa della guerra commerciale erano le prime, perché i ricavi prodotti dai dazi non erano sufficienti a coprire le perdite dovute al calo di vendite che gli stessi dazi hanno causato.

Il problema è che ora non si capisce nemmeno come uscire da questa guerra commerciale. Nelle prossime settimane dovrebbero cominciare le nuove trattative tra Cina e Stati Uniti per trovare un accordo che metta fine allo scambio di dazi, ma lo scontro delle ultime settimane non sembra aver creato un ambiente favorevole a una soluzione. Trump, dalla sua, sembra anche aver finito le opzioni a disposizione: può continuare a imporre dazi, ma dovrà fare sempre maggiormente i conti con il malcontento di molte aziende e settori produttivi statunitensi (come gli agricoltori, tra i più colpiti). L'”ordine” alle aziende statunitensi di non fare più affari con la Cina, infine, non ha alcun fondamento ed è evidentemente contrario ai principi del libero mercato.

Se è vero che alcune grandi aziende hanno cercato nell’ultimo anno di spostare la loro produzione fuori dalla Cina – verso altri paesi asiatici, per lo più – è vero anche che molte altre, specialmente quelle più piccole, hanno spesso detto di non poterlo fare, perché costa troppo e rischierebbe di farle chiudere. La guerra commerciale, infine, non sta producendo danni solo all’economia statunitense, ma anche a quella mondiale, ed è considerata una delle cause del recente crollo dei mercati e dei diffusi timori di una nuova recessione.