I ricollocamenti dei migranti caso per caso non funzionano

Il meccanismo per cui ogni volta aspettiamo che gli altri paesi europei si facciano avanti riguarda solo il 5 per cento dei migranti che arrivano via mare

(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini si vanta spesso del fatto che la politica dei “porti chiusi” nei confronti delle ong che soccorrono le persone nel Mediterraneo costringa di fatto diversi paesi europei a farsi carico dei richiedenti asilo che arrivano con queste navi. «Missione compiuta!», ha twittato il 31 luglio dopo che Germania, Portogallo, Francia, Lussemburgo e Irlanda avevano accettato di accogliere metà dei 116 migranti bloccati da giorni sulla nave militare italiana Gregoretti (l’altra metà sarà accolta da strutture della Chiesa italiana). «Non siamo più il campo profughi di Bruxelles, Parigi e Berlino», aveva detto pochi giorni prima.

In realtà, secondo un’analisi del ricercatore dell’ISPI Matteo Villa, nell’ultimo anno Italia e Malta – i due paesi più esposti alla rotta che parte dal Nordafrica – sono riusciti a ricollocare negli altri paesi europei solo il 5,05 per cento dei migranti arrivati via mare, cioè 840 su 16.608. Tutti gli altri rimangono a carico di Italia e Malta. È una conseguenza di questa gestione caso per caso, che ha effetti irrisori sui ricollocamenti se confrontata con quello che produrrebbe un meccanismo automatico per ricollocare tutti gli arrivi via mare: era previsto dalla riforma del regolamento di Dublino discussa in sede europea nella scorsa legislatura, e mai approvata.

L’attuale sistema – il regolamento di Dublino, cioè le norme europee che regolano l’accoglienza dei richiedenti asilo – privilegia il cosiddetto criterio del “primo ingresso”, secondo cui ospitare e valutare ciascuna richiesta di protezione internazionale spetta al primo paese in cui entrano i richiedenti. In questo modo i migranti sono costretti a rimanere per mesi o anni nei paesi di frontiera – cioè Italia, Spagna Grecia, e Malta – in attesa che la loro domanda venga esaminata, con grave disagio per loro e oneri ingenti per il paese che li ospita.

La riforma proposta del Parlamento Europeo nel 2017 dopo due anni di dibattito prevedeva di sostituire questo criterio con un meccanismo obbligatorio di ripartizione dei nuovi richiedenti asilo fra i 27 stati dell’Unione. Il numero massimo di richiedenti asilo da ospitare veniva stabilito da una quota, diversa per ogni paese, in base al PIL e alla popolazione. La proposta – frutto di un compromesso che prevedeva altre misure più prudenti – era stata giudicata positivamente dalle associazioni per i diritti umani e godeva di un consenso trasversale in Parlamento. Fu però bloccata in sede di Consiglio dell’UE, l’organo che raduna i rappresentanti dei singoli stati, dai paesi dell’est Europa, storicamente contrari a una maggiore accoglienza dei migranti.

Già in Parlamento Europeo la Lega e il Movimento 5 Stelle, i due partiti che in Italia formano la maggioranza di governo, avevano criticato molto la riforma: nella votazione finale la Lega si astenne mentre il M5S votò contro, sostenendo che non fosse abbastanza ambiziosa. Nel primo importante Consiglio Europeo gestito dal governo Lega-Movimento 5 Stelle, quello del 28 giugno 2018, si trovò un accordo piuttosto svantaggioso per l’Italia che prevedeva un approccio ai ricollocamenti soltanto su base volontaria. Di fatto, fu la fine degli sforzi per riformare il sistema di Dublino.

I numeri dei ricollocamenti dall’Italia verso altri paesi europei sono così bassi anche perché la presunta politica dei “porti chiusi” voluta da Salvini si applica quasi soltanto alle navi delle ong, a cui secondo un’altra analisi dell’ISPI nel 2019 sono riconducibili soltanto l’otto per cento degli arrivi via mare.

La stragrande maggioranza dei migranti che arriva via mare in Italia lo fa con modalità meno visibili o perlomeno meno raccontate: in maniera completamente autonoma attraverso i cosiddetti “sbarchi fantasma”, cioè quegli sbarchi che avvengono a bordo di gommoni o piccole imbarcazioni difficilmente individuabili (in questo modo sono arrivate 737 persone dall’1 gennaio ai primi di giugno) oppure in maniera semi-autonoma; parliamo soprattutto di piccole barche arrivate fino ai confini delle acque italiane e poi trainate in porto dalle navi delle autorità italiane.

In sintesi: i ricollocamenti negli altri paesi europei sono così bassi anche perché Salvini sceglie di montare dei casi europei soltanto sulle navi delle ong, forse perché bersagli molto più visibili, anziché sugli sbarchi che quotidianamente avvengono un po’ in tutto il Sud Italia.