Notre-Dame stava per crollare
Otto gigantesche campane stavano per venire giù come palle da demolizione, ha ricostruito il New York Times: i pompieri sapevano che potevano morire da un momento all'altro
Il pomeriggio di lunedì 15 aprile, alle 18.18, l’allarme antincendio della cattedrale di Notre-Dame segnalò la presenza di fumo nell’abbazia, e quindi la possibilità che ci fosse un incendio. Il dipendente che controllava il pannello era solo al suo terzo giorno di lavoro. Ricevuto l’allarme, avvisò con la radiotrasmittente uno dei guardiani che si trovava a pochi passi dall’altare, dove il reverendo Jean-Pierre Caveau stava celebrando la messa. «Vai a controllare», disse. Il guardiano lo fece, ci mise sei minuti, e non trovò nulla. Pensando a un falso allarme, alle 18.26 tornò indietro confermando che era tutto a posto.
Ci vollero quasi 30 minuti prima che ci si rendesse conto dell’errore: il guardiano era andato nel posto sbagliato, nella sagrestia. Quando l’allarme antincendio suonò per la seconda volta e il guardiano salì i 300 gradini per arrivare al sottotetto della chiesa – la cosiddetta “foresta”, fatta di enormi travi di quercia che si incrociano con scale e passatoie – le fiamme erano già troppo estese per poter intervenire. Alle 18.48 i vigili del fuoco vennero finalmente chiamati: per spegnere l’incendio ci sarebbe voluta tutta la notte e parte della mattina successiva.
Non è ancora stato stabilito di chi sia stata la colpa di quel che è accaduto a uno dei monumenti più importanti e famosi del mondo, né come sia iniziato l’incendio. L’indagine continuerà per mesi. Potrebbe essere stato un cortocircuito nel sistema elettrico delle campane o degli ascensori installati sulle impalcature per i lavori di ristrutturazione, o potrebbe essere stato un mozzicone di sigaretta. Per ora gli investigatori non hanno trovato prove di un’eventuale origine «criminale» dell’incendio.
Ma quell’errore iniziale, l’incapacità di identificare la posizione dell’incendio, il ritardo che ne seguì e che cosa accadde in quella prima mezz’ora è stato indagato e ricostruito da diversi giornali, tra cui Le Monde e Le Canard Enchaîné. Nelle ultime settimane ci ha lavorato molto anche il New York Times, che ha fatto decine di interviste e studiato centinaia di documenti. Quello che ha chiarito, in un lungo articolo pubblicato martedì 16 luglio, è che quando l’incendio è stato spento la cattedrale era davvero sul punto di crollare. Il fatto che non sia accaduto è dipeso unicamente dagli enormi rischi che si sono presi i vigili del fuoco.
Arrivati a Notre-Dame ma svantaggiati dal loro intervento tardivo, i vigili del fuoco avevano percorso i 300 gradini verso il sottotetto in fiamme, ma erano stati costretti a tornare subito indietro. Alla fine un piccolo gruppo di pompieri era stato inviato direttamente tra le fiamme, dopo che un’altra squadra si era rifiutata perché considerava l’intervento troppo pericoloso (lo era). «C’era la sensazione che ci fosse in gioco qualcosa di più grande della vita», ha detto Ariel Weil, sindaco del quarto arrondissement di Parigi dove si trova la cattedrale. «E che Notre-Dame potesse andare persa».
Le dimensioni e la velocità con cui l’incendio si è allargato sono state facilitate dal fatto che la struttura del tetto era costruita interamente in legno: ma molti, dopo quella notte, si sono comunque stupiti del fatto che un posto come Notre-Dame non fosse protetto da sistemi antincendio moderni ed efficaci. In parte, ha spiegato il New York Times in un precedente articolo, non avere un moderno sistema antincendio era stata una scelta consapevole, per non snaturare la complessa struttura del sottotetto dell’abbazia. Installare i cosiddetti muri tagliafuoco – costruiti con materiali ignifughi che impediscono la propagazione delle fiamme – avrebbe richiesto per esempio di tagliare le travi di legno. Allo stesso modo, installare sistemi automatici per lo spegnimento delle fiamme avrebbe rischiato di danneggiare il legno anche in caso di piccoli incendi o falsi allarmi. Per questo si decise per un sistema di prevenzione e allarme basato su sensori per il fumo e sul lavoro dei guardiani. I sensori, distribuiti a tappeto su tutta la cattedrale, venivano controllati tre volte al giorno e in ogni momento c’erano almeno due persone di guardia per un eventuale allarme. L’allarme però non allertava direttamente i vigili del fuoco, per evitare uscite inutili di mezzi e persone in caso di errore.
A questo sistema, che non si è rivelato efficace, si è probabilmente sommata l’inesperienza del dipendente alla sicurezza, che quando si è sviluppato l’incendio lavorava a Notre-Dame da appena tre giorni. L’uomo era in servizio dalle 7 del mattino, avrebbe dovuto staccare dopo un turno di otto ore, ma il suo sostituto era assente e quindi aveva iniziato un doppio turno. Il messaggio che segnalava la presenza di fumo era poi piuttosto complicato da leggere: comprendeva la descrizione stenografica di una delle zone in cui era stata suddivisa la cattedrale, seguita da una lunga serie di lettere e numeri che indicava uno specifico rilevatore di fumo tra i 160 presenti. Non è chiaro, scrive il New York Times, quanta parte di quell’intero avviso sia stata compresa o comunicata dal dipendente alla guardia.
Se era servita più di mezz’ora per chiamare i vigili del fuoco, c’erano voluti solamente pochi minuti dalla comparsa del fumo perché quelle immagini iniziassero a circolare in tutto il mondo. «Penso che Notre-Dame stia bruciando», aveva scritto qualcuno su Twitter alle 18.52. Nel giro di pochi minuti il fumo era così denso che aveva cominciato a oscurare le torri.
Myriam Chudzinski, 27 anni, caporale dei vigili del fuoco, è stata una delle prime a intervenire. Notre-Dame era circondata da centinaia di persone, sul tetto si vedevano già le fiamme. Il suo camion aveva parcheggiato in Rue du Cloître Notre-Dame, la strada stretta che percorre uno dei lati della cattedrale. L’edificio era così gigantesco che si non riusciva a vedere da dove si stesse diffondendo l’incendio: «Eravamo così piccoli che era difficile farsi un’idea adeguata. Ma potrebbe essere stato meglio così». Chudzinski aveva cominciato a salire la scala buia nel transetto sul lato nord della cattedrale: una volta in cima, lei e la sua squadra si erano fermati su un cornicione esterno. Il fuoco stava iniziando a circondarli, quindi si erano ritirati all’interno; l’aria era calda e le fiamme continuavano ad avanzare. Verso le 19.50, a quasi un’ora dall’inizio dell’intervento, la guglia era crollata. A lei e agli altri vigili del fuoco della sua squadra era stato ordinato di scendere e spegnere il fuoco da terra, attingendo acqua dalla Senna. Non funzionava: era ormai chiaro che il tetto non si sarebbe salvato.
La preoccupazione dei vigili del fuoco a quel punto era la torre settentrionale, quella di sinistra, all’interno della quale otto gigantesche campane erano appese in modo precario su travi di legno che potevano facilmente prendere fuoco. Se fossero crollate, le campane sarebbero diventate delle palle da demolizione: avrebbero distrutto la torre, e causato probabilmente il crollo dell’intera cattedrale. Al posto di comando si era deciso allora che alcuni vigili del fuoco avrebbero salito le scale della torre sud, quella di destra, trasportando due manichette da collegare direttamente a un camion e che da lì si sarebbero avvicinati alla torre nord. Era una strategia ad alto rischio: la torre e la cattedrale potevano crollare in qualsiasi momento e non c’erano vie d’uscita.
Durante il tempo necessario a prendere questa decisione, peraltro, le cose erano peggiorate ancora. Una squadra di vigili del fuoco si era rifiutata di andare, ma un’altra disse che sarebbe entrata. Una volta saliti sulla torre sud, i vigili del fuoco si erano spostati tra le due torri; avevano lasciato cadere i tubi da un lato per collegarsi a un camion dei pompieri a terra, sperando così di ottenere più pressione. Nel frattempo altri vigili del fuoco stavano cercando di spegnere le fiamme che minacciavano di far crollare il pavimento sotto di loro, e altri tenevano sotto controllo le fiamme sul tetto. Le gigantesche campane sopra le loro teste potevano cedere da un momento all’altro, quindi dovevano lavorare molto velocemente. Alle 21.45 le fiamme erano sotto controllo.
Verso le 23, il presidente Macron aveva pronunciato il suo discorso alla nazione, in diretta televisiva di fronte alla cattedrale. «Il peggio è stato evitato, anche se la battaglia non è ancora finita». Infine: «Ricostruiremo questa cattedrale insieme». Il progetto di legge per il restauro è stato approvato martedì scorso dall’Assemblea Nazionale, ma l’errata interpretazione di quel primo messaggio di allarme – che ha permesso al fuoco di divampare in modo incontrollato per così tanto tempo – è al centro di una disputa che il New York Times definisce “aspra”. Arnaud Demaret, l’amministratore delegato di Elytis, la società che a Notre-Dame si occupava della sicurezza, ha detto che il suo dipendente aveva comunicato correttamente la posizione dell’incendio, mentre i funzionari della chiesa sostengono il contrario. Monsignor Chauvet, rettore arciprete della cattedrale, si è rifiutato di dare il permesso al New York Times per intervistare i guardiani di Notre-Dame, citando l’inchiesta giudiziaria in corso. «Alcuni potrebbero perdere il lavoro. Ho chiesto loro di non parlare».