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  • Mercoledì 10 aprile 2019

Le elezioni in Israele sono andate bene per Benjamin Netanyahu

Il Likud, il suo partito, ha ottenuto gli stessi voti di quello del suo avversario politico Benny Gantz, ma dovrebbe comunque riuscire a formare il nuovo governo

Amir Levy/Getty Images
Amir Levy/Getty Images

Il Likud, il partito di centrodestra del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha ottenuto il 29 per cento dei voti alle elezioni legislative e con ogni probabilità sarà ancora la forza che esprimerà il governo. Netanyahu dovrebbe così ottenere il suo quinto mandato da primo ministro, il quarto consecutivo. Nel voto che si è tenuto ieri per rinnovare la Knesset, il Parlamento unicamerale israeliano, anche il principale partito avversario del Likud – il centrista “il Blu e il Bianco”, dell’ex militare Benny Gantz – ha ottenuto circa il 29 per cento dei voti, ma il Likud e i suoi alleati di destra, secondo quanto riferiscono i media locali, hanno le migliori chance di riuscire a formare una coalizione che arrivi ad almeno 61 seggi e coinvolga quindi la maggioranza della Knesset (che è composta da 120 membri).

L’infografica di Haaretz con i seggi attribuiti sulla base dei risultati parziali.

Alle elezioni del 2015 il Likud aveva ottenuto il 23 per cento dei voti e 30 seggi, e anche per questo Netanyahu ha commentato i risultati parlando di una «magnifica vittoria», promettendo di formare un «governo di destra» ma anche di servire come primo ministro di tutti gli israeliani, di destra e di sinistra, ebrei e non ebrei. Nella notte, anche Gantz ha rivendicato la vittoria dicendo esplicitamente: «Nelle elezioni ci sono dei perdenti. Nelle elezioni ci sono vincitori: e noi siamo quelli che hanno vinto». Un po’ come succede in Italia, una volta concluse le operazioni di scrutinio e ufficializzati i risultati, il presidente israeliano Reuven Rivlin inizierà le consultazioni con i partiti i cui membri sono stati eletti in Parlamento. Il presidente, poi, affiderà a un partito e al suo leader la possibilità di formare un nuovo governo: e non si tratterà necessariamente del partito che ha ottenuto il maggior numero di voti, ma del partito che ha più probabilità di ottenere il sostegno di altri per arrivare a una maggioranza.

È molto probabile che l’incarico verrà affidato a Netanyahu che ha ampio margine di trovare il supporto di diversi partiti nazionalisti di centrodestra con cui aveva governato peraltro fino a oggi: secondo i risultati i cinque possibili alleati del Likud, di destra e ultra-ortodossi, hanno ottenuto circa 32 seggi e il primo ministro, nella notte, ha già detto di aver iniziato a parlare con i suoi «partner naturali». I negoziati per la creazione di una nuova coalizione di governo, scrive Associated Press, potrebbero comunque durare delle settimane.

Il voto di ieri ha confermato anche la completa marginalità della sinistra: il Partito Laburista, storica forza politica al governo per decenni, che tra le altre cose guidò Israele alla firma degli Accordi di Oslo con i palestinesi, nel 1993, ha ottenuto appena il 5 per cento dei voti. Non sono andati bene, perdendo almeno tre seggi, nemmeno i partiti arabi israeliani, che rispetto al voto del 2015 non si erano presentati tutti uniti sotto un’unica lista. In Israele gli arabi israeliani sono circa il 17 per cento della popolazione, ma da sempre la loro partecipazione alle elezioni è molto più bassa di quella del resto degli aventi diritto al voto. Commentando i risultati un rappresentante dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina ha detto che gli israeliani hanno scelto il razzismo e il conflitto permanente votando per candidati «impegnati inequivocabilmente» per il mantenimento di uno «status quo basato sull’oppressione».

Quelle di ieri erano elezioni anticipate, convocate da Netanyahu nel dicembre 2018 a causa della fragilità della maggioranza di governo e delle indagini avviate dalla magistratura sul suo conto. Alla fine di febbraio il procuratore generale israeliano aveva annunciato la decisione di accogliere la richiesta della polizia di incriminare il primo ministro, accusandolo formalmente di corruzione e frode in uno dei tre casi in cui è coinvolto e di violazione di fiducia negli altri due. Fino ad ora gli scandali non sembrano avere indebolito più di tanto Netanyahu, che però potrebbe cominciare a pagare le conseguenze di tutti i suoi guai giudiziari al momento di fare alleanze post-elettorali per poter governare: in cambio dell’appoggio a una legge retroattiva che impedisca a un primo ministro in carica di essere processato – una legge che servirebbe per mettere al sicuro Netanyahu – il Likud potrebbe dover fare concessioni importanti ad alcuni partiti minori molto nazionalisti e ancora più conservatori.