Cani su Marte

Un poster della NASA immagina un futuro in cui esploreremo il pianeta accompagnati da loro, ma sarebbe una pessima idea

(NASA)
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Entro la fine dei prossimi anni Trenta, un primo gruppo di esseri umani potrebbe fare compagnia ai numerosi robot che abbiamo inviato su Marte. Marte continua a rimanere tra le priorità della NASA per le esplorazioni con astronauti, ma a oggi le indicazioni sui piani e i progetti per farlo restano vaghe. Anche per questo motivo l’ente spaziale statunitense cerca periodicamente di rilanciare l’interesse con iniziative di comunicazione di vario tipo, compresa la pubblicazione di grafiche e poster da condividere online o stamparsi in casa.

Tra gli ultimi da poco pubblicati sulle esplorazioni marziane, ce n’è uno che ha attirato l’attenzione di molti: mostra un’astronauta intenta a osservare il panorama, a proprio agio con le mani in tasca, accompagnata da un cane, protetto da una tuta spaziale appositamente pensata per lui.

La NASA non ha nei piani l’invio di un cane su Marte, almeno non con le sue prime spedizioni, ma l’illustrazione fa venire comunque qualche domanda: come se la caverebbe un cane su un pianeta diverso dal nostro? Cosa potrebbe fare? Sarebbe un’esperienza spaventosa e miserabile o potrebbe divertirsi?

(NASA)

I cani che sono già stati nello Spazio
I cani hanno avuto in effetti un ruolo importante nella storia delle esplorazioni, per lo meno nella fase pionieristica della cosiddetta “corsa allo Spazio”, il periodo tra gli anni Cinquanta e Sessanta in cui Stati Uniti e Unione Sovietica si sfidavano per mostrare la loro superiorità tecnologica nell’ambito della Guerra Fredda (un razzo spaziale è pur sempre un missile). Furono i sovietici a pensare che fosse una buona idea usare i cani per sperimentare le prime capsule spaziali, in vista del loro utilizzo per i lanci con esseri umani. I cani utilizzati per quei lanci sperimentali non erano frutto di una grande selezione: erano spesso cani randagi, che venivano in seguito addestrati per affrontare un’esperienza che per loro si sarebbe rivelata terrificante e in alcuni casi letale.

Durante la fase dell’addestramento, i cani potevano familiarizzare con le speciali tute spaziali che avrebbero poi dovuto indossare e con speciali contenitori, simili alle incubatrici che oggi si utilizzano per i nati prematuri, con caratteristiche analoghe a quelle che avrebbero trovato nelle capsule spaziali vere e proprie. Sui cani venivano inoltre eseguiti numerosi test, comprese alcune simulazioni per sottoporli agli stress fisici che avrebbero dovuto sopportare nelle fasi di lancio.


I primi cani a compiere un volo suborbitale – cioè a raggiungere gli strati più alti dell’atmosfera e a tornare poi indietro senza compiere un intero giro (orbita) del nostro pianeta – furono Dezi e Tsygan. Il 22 luglio del 1951 raggiunsero una quota massima di 110 chilometri, compiendo poi un ritorno sulla Terra sani e salvi. Nell’autunno dello stesso anno Bobik, un altro cane addestrato, intuì che stesse per succedergli qualcosa di rischioso e riuscì a scappare poche ore prima del lancio. Non potendo rimandare il volo sperimentale, gli ingegneri sovietici recuperarono un cane randagio nei paraggi del centro spaziale e lo utilizzarono per il lancio. Fu chiamato ZIB, acronimo delle parole russe “sostituto del fuggiasco Bobik”. Anche ZIB tornò indietro sano e salvo.

Il primo vero volo spaziale orbitale – quindi compiendo almeno un giro completo intorno alla Terra – con un cane fu effettuato nel 1957 con Laika, destinata a diventare l’esploratrice spaziale canina più famosa della storia. La capsula che la trasportava rimase in orbita per circa cinque mesi, ma Laika morì poche ore dopo il lancio a causa del forte stress subìto e dell’alta temperatura all’interno della capsula; le vere cause della morte furono comunicate solo nel 2002. Non era comunque previsto che Laika potesse tornare indietro, considerato che l’ossigeno a sua disposizione poteva durare al massimo una settimana.


Gli ingegneri avevano applicato a Laika sensori per rilevare il suo battito cardiaco e altri parametri vitali, in modo da comprendere i livelli di stress raggiunti durante il lancio e le capacità di adattamento del suo organismo all’assenza di peso. Durante il lancio, quando anche gli astronauti ricevono le maggiori sollecitazioni, Laika era probabilmente terrorizzata: il suo battito cardiaco era tre volte quello normale, e respirava affannosamente. Altri suoi colleghi furono lanciati negli anni seguenti dall’Unione Sovietica per ulteriori voli orbitali, riuscendo poi a tornare sulla Terra sani e salvi. Gli Stati Uniti sperimentarono i loro sistemi spaziali utilizzando soprattutto primati non umani.

Viaggio interplanetario
Un cane in partenza per Marte non vivrebbe un’esperienza molto diversa da quella che vissero i suoi simili quando divennero loro malgrado pionieri delle esplorazioni spaziali. Al momento del lancio, su un grande razzo, si sentirebbe 4 volte più pesante a causa della forte accelerazione e non capirebbe che cosa gli sta accadendo intorno. Sarebbe uno stress molto forte, come quello vissuto da Laika, che potrebbe essere solo in parte ridotto con un buon addestramento o l’utilizzo di qualche sedativo. Rumori e colpi improvvisi durante l’ascesa oltre l’orbita terrestre lo terrorizzerebbero, aggiungendo ulteriori stress.

Il viaggio verso Marte avverrebbe inoltre all’interno di una capsula spaziale molto piccola e con spazi angusti. A oggi non ci sono infatti astronavi grandi a spaziose come quelle dei film di fantascienza, né con sistemi per riprodurre l’effetto della gravita terrestre. La cosa più simile a un’astronave fantascientifica a oggi esistente è la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), che però non è dotata di motori per i viaggi interplanetari e che resta “parcheggiata” in orbita a una distanza di circa 450 chilometri dalla Terra.

Per raggiungere Marte con le attuali tecnologie sono necessari circa 9 mesi di viaggio, un lungo periodo nello Spazio interplanetario dove gli astronauti e i loro cani fluttuerebbero in assenza di peso proprio come gli abitanti della ISS. Le missioni di lunga durata sulla Stazione hanno dimostrato che è fattibile restare per un anno nello Spazio, anche se con qualche effetto collaterale. L’assenza di peso induce il nostro organismo ad adattarsi ai minori sforzi, riducendo la massa muscolare e la densità delle ossa: per questo motivo gli astronauti sulla ISS devono fare ginnastica ogni giorno, contrastando la perdita di tono muscolare. Si dovrebbero quindi studiare attrezzi e sistemi per consentire ai cani di fare altrettanto, tenendosi allenati durante il lungo viaggio. Ma ci sarebbero anche altri problemi.

L’atmosfera e il campo magnetico terrestre ci proteggono dalle radiazioni più pericolose del Sole e più in generale da quelle presenti nell’ambiente spaziale. La loro presenza fa aumentare il rischio di sviluppare particolari malattie, a cominciare dai tumori. Il rischio aumenta all’aumentare del tempo di esposizione alle radiazioni e la NASA, come altre agenzie spaziali, studia da tempo il fenomeno per comprendere la portata del rischio e sviluppare soluzioni per ridurla il più possibile.

Vita da cani
Su Marte le cose per i cani non si metterebbero molto meglio, soprattutto se i loro compagni di viaggio umani decidessero di portarli con sé nelle esplorazioni sul pianeta, come suggerisce il poster della NASA. L’aria marziana non è respirabile e il suolo è tossico. La forza di gravità su Marte è circa un terzo rispetto a quella terrestre: sarebbe un po’ meglio dell’assenza di peso provata durante il viaggio, ma comunque insufficiente per restare in salute senza esercizio fisico e altri accorgimenti.

Durante le sue passeggiate con gli astronauti, il cane dovrebbe sempre indossare una tuta per consentirgli di rimanere isolato dall’ambiente circostante e avere ossigeno a sufficienza per sopravvivere. Costruirgli una tuta spaziale non sarebbe un grande problema, viste le conoscenze che hanno ormai accumulato le agenzie spaziali nel realizzarle: dai primi voli sperimentali alle attività di costruzione e manutenzione eseguite all’esterno della ISS, senza contare le esplorazioni della Luna con le missioni Apollo.

Per comunicare tra loro via radio, gli astronauti utilizzano auricolari e microfoni integrati nella tuta spaziale. Il nostro cane marziano dovrebbe avere un sistema simile per sentire e rispondere ai comandi verbali. Il totale isolamento dall’ambiente esterno potrebbe essere inoltre la fonte di ulteriori stress. Il cane dovrebbe respirare più volte la stessa aria fornita dal sistema di riciclo interno della tuta, e non potrebbe mai fiutare nulla di ciò che lo circonda. L’olfatto è fondamentale per i cani, in un certo senso “vedono” con il loro naso, e sarebbero quindi privati di un sistema molto importante che usano per muoversi nel mondo che hanno intorno.

Gli astronauti Robert L. Curbeam Jr. e Christer Fuglesang durante un’attività extraveicolare per l’assemblaggio di un nodo della Stazione Spaziale Internazionale nel 2006 (NASA.gov)

Resterebbe infine il problema di come consentire a un cane su Marte di fare i propri bisogni. Per ogni evenienza, gli astronauti indossano un pannolone quando effettuano le loro attività in orbita fuori dai veicoli spaziali, e probabilmente lo dovrebbero utilizzare anche durante una passeggiata marziana. Un pannolino potrebbe essere la soluzione anche per un cane su Marte, che dovrebbe fare i conti con un ulteriore fastidio oltre quello della tuta spaziale. L’utilizzo del pannolino potrebbe essere problematico se il cane cercasse di marcare il territorio, come è abituato a fare sulla Terra.

Diversi di questi problemi potrebbero essere evitati se i cani fossero ospitati nei moduli usati dai primi esploratori per vivere su Marte, senza partecipare alle escursioni all’esterno. Non ci sarebbero gli inconvenienti della tuta, le limitazioni per il loro olfatto e quelle per le loro altre esigenze. Sarebbe però necessario dedicare degli spazi appositi per loro, sottraendone in ambienti che saranno almeno all’inizio molto piccoli e angusti.

Colonizzare Marte
Considerati i tempi per raggiungere Marte e per tornare indietro, i primi esploratori di Marte saranno costretti a restare molti mesi lontani dalla Terra, con il rischio concreto di non potere tornare indietro. Possiamo immaginare che le spedizioni seguenti siano gestite da coloni, un po’ come avvenne con le Americhe dopo la loro scoperta da parte degli Europei. Saranno loro a costituire una prima colonia e a vivere in modo permanente su Marte: per quanto questa idea possa ancora sembrarci assurda e impraticabile, ci sono piani e progetti piuttosto articolati per realizzarla nella pratica. Proprio come fecero i coloni europei, anche quelli marziani avranno bisogno di portarsi dietro oggetti personali, un ricordo della loro terra di origine e – perché no – qualche animale domestico.

Psicologicamente, avere con sé il proprio cane potrebbe contribuire ad alleviare il forte stress di vivere in un posto che in media è distante 58 milioni di chilometri dalla Terra, dove un sacco di cose potrebbero andare storte e ucciderti. Non avendo sperimentato la vita sul nostro pianeta, le generazioni di cani nate direttamente su Marte avrebbero meno problemi di adattamento e probabilmente vivrebbero con minori stress la loro condizione.

Marte è l’unico pianeta che conosciamo a essere abitato da robot (rover), che abbiamo inviato nel corso degli ultimi decenni per esplorarlo senza prenderci troppi rischi. Nell’immaginario collettivo, Curiosity, Opportunity e gli altri rover sono diventati qualcosa di più di macchine di metallo a sei ruote. La fine di Opportunity è stata vissuta con grandi dimostrazioni di affetto, paragonabili a quelle che si dedicano a un animale domestico. I primi “animali” da compagnia marziani potrebbero essere i loro discendenti: robot resistenti e volenterosi, con buona pace dei cani qui sulla Terra.