Non c’è un’inchiesta sullo stadio della Roma

Lo dicono i magistrati e lo dice il contenuto delle ordinanze d'arresto per la corruzione a Roma, nonostante quello che sembra dalle sintesi dei giornali

Un rendering del progetto del nuovo stadio della Roma.
Un rendering del progetto del nuovo stadio della Roma.

Le indagini e gli arresti che negli ultimi mesi hanno nuovamente coinvolto la politica e la pubblica amministrazione a Roma – gli ennesimi: nel frattempo il caso “Mafia Capitale” è arrivato in appello – sono stati descritti quasi sempre dalla stampa e dalle tv come indagini e arresti “per il nuovo stadio della Roma”. Nella sintesi e semplificazione giornalistica, infatti, si è parlato spesso di “inchiesta sullo stadio della Roma” o “corruzione sul caso dello stadio della Roma”, mentre i lanci di agenzia con gli ultimi sviluppi giudiziari vengono regolarmente preceduti dalle parole “Stadio Roma”, a indicare la questione generale. Eppure non c’è nessuna indagine in corso sul nuovo stadio della Roma, non ci sono dirigenti o dipendenti della Roma indagati né dubbi sulla regolarità dell’iter seguito dal nuovo stadio fin qui.

Lo stesso pubblico ministero di Roma a capo delle indagini, Paolo Ielo, ha detto all’inizio del caso, a giugno, che «la Roma non c’entra nulla», e ha ripetuto pochi giorni fa che «non ci sono atti amministrativi relativi allo stadio per cui si ravvisano alterazioni». Dalle parole dei magistrati e dal contenuto delle ordinanze di arresto – di cui il Post è in possesso – le inchieste di cui parliamo si possono descrivere come inchieste sulla corruzione a Roma, e non “inchieste sullo stadio della Roma”.

Breve riassunto delle puntate precedenti
La squadra di calcio della Roma è controllata dal 2011 da una proprietà statunitense, che si è consolidata nel 2012 attorno all’imprenditore italoamericano James Pallotta. Nello stesso anno la nuova proprietà della Roma ha avviato gli studi per costruire uno stadio nuovo e di proprietà della società, come hanno già le altre migliori squadre d’Europa e la Juventus in Italia, nell’ambito di un più ampio “business park” – necessario per rendere l’investimento sostenibile – che avrebbe compreso tre grattacieli progettati da Daniel Libeskind, un parco, un centro sportivo, un centro commerciale. Un investimento da un miliardo e mezzo di euro, tutto fornito da capitali privati, comprensivo di oneri di urbanizzazione e quindi dei costi per le infrastrutture e le opere pubbliche, che coinvolgerebbe una zona della città oggi degradata e senza un realistico piano di sviluppo.

Nel contesto romano, un miliardo e mezzo è una cifra molto rilevante: come ha ricordato di recente Stefano Costantini su Repubblica, gli investimenti stranieri a Roma sono fermi a 200 milioni di euro l’anno, contro i 3,5 miliardi di Milano. Uno studio dell’università La Sapienza [pdf] aveva stimato all’epoca la creazione di 1.500 posti di lavoro in fase di costruzione e un aumento dell’occupazione, una volta a regime, di 12.500 unità, con un incremento del PIL di 5,7 miliardi dopo tre anni, 12,5 miliardi dopo sei anni e 18,5 miliardi dopo nove anni. “In termini di valore aggiunto”, diceva il rapporto, “l’impatto economico del progetto dello Stadio sulla città di Roma sarebbe pari a circa due volte e mezzo quello prodotto dall’Expo 2015 sulla città di Milano e superiore del 68% a quello del Giubileo”.

Il progetto iniziale del nuovo Stadio della Roma e del “business park”.

Il primo passo è stato un’analisi commissionata a una delle più grandi società al mondo che si occupino di consulenza e sviluppo immobiliare, Cushman & Wakefield. In quel momento a Roma governava il centrodestra, il sindaco era Gianni Alemanno: dopo aver pubblicato un annuncio pubblico e aver valutato 83 luoghi potenziali, la Roma con Cushman & Wakefield aveva scelto un terreno abbandonato a Tor di Valle, periferia sudovest della città, che ospitava un ippodromo dismesso (l’area era stata indicata dalla giunta Alemanno come una delle tre con le migliori caratteristiche, tra quelle valutate). Non era stato l’imprenditore romano del settore immobiliare Luca Parnasi, arrestato a giugno, a proporre l’area di Tor di Valle, ma il suo precedente proprietario: Parnasi è diventato proprietario dei terreni di Tor di Valle a giugno del 2013. I proponenti del progetto sarebbero quindi stati due, la società Eurnova di Parnasi e la Roma. Si era discusso molto, in quei mesi, del fatto che la Roma non avesse deciso di costruire lo stadio con le società dei Caltagirone, influentissima famiglia di costruttori romani ed editrice del Messaggero (che è stato da sempre molto ostile al progetto).

A sinistra, l’annuncio pubblicato sul Messaggero per la proposta e valutazione delle aree; a destra, una mappa delle aree proposte e valutate.

Il progetto ha raccolto il sostegno della giunta di centrosinistra di Ignazio Marino, che nel frattempo era diventato sindaco e aveva concordato con la selezione delle tre migliori aree, ed è stato presentato a marzo 2014 al Campidoglio. A dicembre del 2014 il consiglio comunale di Roma ha approvato la delibera di pubblico interesse relativa al progetto. A giugno del 2015 la Roma ha presentato al comune il suo primo dossier tecnico, integrandolo a maggio del 2016 con un totale di 55.000 pagine tra disegni e relazioni, e il comune ha confermato la dichiarazione di pubblico interesse. Nel frattempo Ignazio Marino si è dimesso e a Roma sono arrivati prima un commissario e poi Virginia Raggi, con una giunta controllata dal Movimento 5 Stelle, contrario al progetto. A novembre del 2016 è cominciata la Conferenza dei servizi, cioè quell’istituto in cui – per evitare procedure troppo lunghe – varie amministrazioni pubbliche e uffici tecnici coinvolti in un progetto si esprimono in modo collegiale e con tempi comuni.

Vista la nuova giunta del Movimento 5 Stelle, il comune e la Roma nel frattempo hanno discusso e trattato cambiamenti al progetto, e un nuovo piano è stato presentato a febbraio del 2017 con il sostegno della sindaca Raggi: lo stadio si sarebbe fatto ma senza grattacieli e dimezzando le cubature, cosa che avrebbe portato però anche a un dimezzamento degli oneri di urbanizzazione e quindi delle opere pubbliche collegate. L’investimento privato sarebbe rimasto comunque molto alto: oltre un miliardo di euro. A giugno del 2017 sia la giunta che il comune hanno approvato una nuova delibera di pubblico interesse sul nuovo progetto, e a novembre si è aperta una nuova Conferenza dei servizi che a dicembre 2018 ha trovato esito positivo con i pareri favorevoli del comune di Roma, della città metropolitana, della regione Lazio e dello Stato. L’iter è sostanzialmente fermo da allora: il consiglio comunale deve approvare la variante e la convenzione urbanistica per mandare così di nuovo il progetto in regione per alcuni adempimenti minori, prima di far partire le gare e i cantieri.

Il progetto come modificato dalla giunta Raggi, senza grattacieli.

Perché si riparla di questa storia?
Si sta riparlando di questa storia perché mercoledì 20 marzo la procura di Roma ha disposto l’arresto di Marcello De Vito, importante politico del Movimento 5 Stelle e soprattutto presidente del consiglio comunale della città, con l’accusa di corruzione. Secondo l’accusa, De Vito avrebbe ricevuto tangenti dall’imprenditore Luca Parnasi, proprietario dei terreni su cui dovrebbe sorgere il nuovo stadio della Roma, a sua volta arrestato a giugno 2018. Insieme a De Vito è stato arrestato Camillo Mezzacapo, un avvocato che secondo l’accusa era il suo complice nelle attività corruttive attraverso una società, riconducibile a entrambi, nella quale confluiva il denaro ricevuto dai presunti corruttori (Mezzacapo, ha detto il suo avvocato, si dichiara innocente, dice di non aver ricevuto tangenti e di non avere il controllo su alcuna “società-cassaforte”).

Com’è possibile, allora, che ci siano dei presunti corruttori, dei presunti corrotti, e nonostante questo sia valido e regolare l’iter amministrativo che li coinvolge? Sulla base della lettura di entrambe le ordinanze di arresto, quella di giugno 2018 e quella di marzo 2019, le risposte a questa domanda sono sostanzialmente tre.

“Un format corruttivo”
La prima è il comportamento di Parnasi, che viene descritto dai magistrati come “sistemico”, “un format corruttivo”, con lo scopo di ungere tutti i passaggi politici e amministrativi che potessero essere potenzialmente utili alle sue attività, anche al di là di immediate esigenze concrete sui singoli atti (per dirla come la dicono i magistrati, era volto “all’ottenimento di provvedimenti amministrativi favorevoli alla realizzazione sia del Nuovo Stadio della Roma sia di altri progetti imprenditoriali che la compagine riferibile ai vertici del sodalizio aveva in corso di trattazione sviluppo o pianificazione”). Un esempio su tutti, particolarmente noto, permette di capirlo: dopo l’arresto di Parnasi si parlò a lungo di un episodio preciso descritto nell’ordinanza, cioè del tentativo di corrompere l’assessore all’Urbanistica del comune di Milano, Pierfrancesco Maran, che quest’ultimo respinse con nettezza («Qui non si usa»). L’ordinanza mostra che quel tentativo di corruzione avvenne “al fine di ottenere entrature per la realizzazione dello stadio di Milano”, quando in realtà all’epoca non esisteva – né esiste oggi – un progetto per costruire un nuovo stadio a Milano, al di là di generiche intenzioni verbali che si susseguono da anni (peraltro poi Maran avrebbe smentito il tentativo di corruzione).

In un’altra ormai famosa telefonata intercettata dai magistrati, è Parnasi stesso a descrivere il suo comportamento generale, che nell’ipotesi dell’accusa si muove tra la corruzione e il finanziamento illecito ai partiti: «Ci sono le elezioni. Io spenderò qualche soldo sulle elezioni […] È un investimento che io devo fare. Molto moderato rispetto a quanto facevo in passato, quando ho speso cifre… che manco te le racconto. Però la sostanza è che la mia forza è quella che alzo il telefono e…». Il finanziamento alla politica non è l’unico strumento che Parnasi adotta per costruire queste relazioni, secondo l’accusa: ci sarebbero anche il trasferimento di denaro attraverso fatturazioni per prestazioni lavorative mai avvenute, donazioni, promesse di posti di lavoro, bozze di progetti urbanistici redatti gratuitamente. La cosa che Parnasi cerca di ottenere è la capacità di «alzare il telefono» e far succedere le cose, soprattutto in un contesto politico mutato con l’arrivo al potere del Movimento 5 Stelle. In un’altra telefonata intercettata, Parnasi dice di sé parlando in terza persona: «Parnasi ha un buon rapporto, se fa lo stadio della Roma col mondo Cinque Stelle: allora tutti vogliono prendere un taxi, non so se mi spiego». Costantini su Repubblica ha sintetizzato così: “L’imprenditore Parnasi era diventato il tramite di tutti i colleghi che avevano necessità di scendere a patti — a volte spericolati — con il governo grillino della Capitale”.

Ai tentativi di Parnasi – sempre dall’ordinanza: “una manovra di accerchiamento che riguarda tutti gli organi a vario titolo coinvolti” – corrispondono le azioni di politici, funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione, che “mettono a disposizione” le loro funzioni “offrendo servizi a una serie di costruttori”. Insomma, Parnasi secondo l’accusa aveva un “modus operandi” che utilizzava in ogni contesto, ma questo non basta a rendere di per sé irregolare e illecito ogni contesto che toccasse.

I rendering del progetto del nuovo stadio della Roma.

La corruzione non è tutta uguale
La seconda risposta riguarda cosa secondo la legge è perseguibile come corruzione, e poi la differenza tra “corruzione propria” e “corruzione impropria” secondo il codice penale e le successive interpretazioni e applicazioni di queste norme. Innanzitutto, come spiega la seconda ordinanza, non è necessario “l’effettivo compimento di atti ai fini della configurabilità di entrambe le ipotesi di reato incentrate primariamente sul patto illecito”: basta appunto il “patto”, il tentativo di corruzione da una parte e l’essersi messi a disposizione dall’altra.

Come spiega la stessa ordinanza, poi, si parla di “corruzione impropria” quando “si realizza una violazione del principio di correttezza e del dovere di imparzialità del pubblico ufficiale senza che però la parzialità si trasferisca sull’atto”, mentre si parla di “corruzione propria” quando “la parzialità si rivela nell’atto, segnandolo di connotazioni privatistiche perché formato nell’interesse esclusivo o prevalente del privato corruttore e rendendolo pertanto illecito e contrario ai doveri d’ufficio”. Semplificando: è “corruzione impropria” se la corruzione porta all’emissione di un atto che sarebbe comunque stato emesso in quella forma, è “corruzione propria” se la corruzione porta a un atto “illecito” o che altrimenti sarebbe stato emesso in un’altra forma.

I magistrati contestano entrambi i reati alle persone accusate, ma spiegano – sulla base di precedenti sentenze e interpretazioni – di giudicare “corruzione propria” anche “lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi che si traduca in atti che, pur formalmente legittimi in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali”, e aggiungono che “per l’integrazione del delitto di cui all’art. 319 [cioè la “corruzione propria”, ndr] non è necessaria l’individuazione di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio per il quale il pubblico ufficiale abbia ricevuto somme di denaro o altre utilità non dovute, a condizione che dal suo comportamento emerga comunque un atteggiamento diretto in concreto a vanificare la funzione demandatagli e dunque a violare i doveri di fedeltà di imparzialità e di perseguimento esclusivo degli interessi pubblici che sullo stesso incombono”.

Le presunte attività illecite descritte dalle ordinanze coinvolgono diverse persone legate al progetto dello stadio: tra queste Luca Lanzalone (presidente di Acea considerato informalmente “l’uomo-stadio” della giunta Raggi), Adriano Palozzi (consigliere regionale eletto con Forza Italia), Davide Bordoni (consigliere comunale eletto con Forza Italia), Michele Civita (ex assessore regionale, oggi consigliere regionale eletto col Partito Democratico), Daniele Leoni (funzionario del dipartimento Urbanistica del comune di Roma), Paolo Ferrara (consigliere comunale e presidente del gruppo del M5S), Giampaolo Gola (assessore allo Sport del X Municipio in una giunta M5S).

Sulla base del contenuto delle ordinanze però – che non riguardano la Roma e i suoi dirigenti, che vengono solo saltuariamente nominati in quanto parti in causa nella prima ordinanza e mai nella seconda – e delle dichiarazioni rese ripetutamente dai magistrati sulla regolarità dell’iter amministrativo del nuovo stadio della Roma, si deve concludere che nel giudizio dei magistrati questi episodi non abbiano viziato o alterato nessun atto e quindi il processo che ha seguito fin qui il progetto stadio. Come ha detto il pm Ielo: «De Vito è stato arrestato perché da presidente dell’Assemblea Capitolina si è messo a disposizione di Mezzacapo, che faceva capo al gruppo Parnasi, ma al momento non ci sono atti amministrativi che riportano anomalie. Il semplice fatto che si sia messo a disposizione ha fatto scattare l’arresto».

C’è chi pensa peraltro che le note e gigantesche lentezze burocratiche del comune di Roma, unite ai tentennamenti politici della giunta Raggi, abbiano creato il contesto ideale per la proliferazione di comportamenti corruttivi: e cioè che presunti corrotti e presunti corruttori avrebbero approfittato delle lentezze di un progetto che altrimenti sarebbe andato avanti con più rapidità. Il popolare blog Roma fa schifo ha scritto il 22 marzo, dopo l’arresto di De Vito:

“Abbiamo spiegato oltre due anni fa come i Cinque Stelle stavano trasformando una operazione immobiliare finalmente ben congegnata (la prima volta o quasi a Roma) in una perfetta occasione di illegalità e speculazione. […] La strategia è tanto lineare quanto semplice. Semplice perché è la stessa strategia che si adopera a Roma da anni e anni: rendere le cose complicate, inutilmente arzigogolate e complesse, lente fino allo sfinimento, paralizzare tutto, prendere delle decisioni e poi cambiarle e cambiarle ancora. Se crei il caos generi spazio per la corruzione. Se generi spazio per la corruzione ci sarà un certo numero di politici che ne beneficeranno in termini economici per il solo fatto di porsi come facilitatori, come aiutanti, come traghettatori in questa valle nebbiosissima. Peccato che la nebbia sia creata artificialmente proprio per rendere indispensabile, utile (o fintamente utile) chi ti ci accompagna per mano attraverso”.

L’ordinanza di giugno racconta (tra molte) una storia esemplare di questo genere di fenomeno – comportamenti opachi, ove non illeciti, allo scopo di ottenere risultati formalmente regolari e legali – e in generale del peculiare contesto romano attorno a cui sono avvenuti i fatti, in cui si perdono i confini tra pubblico e privato, controllati e controllori.

A febbraio del 2017 la Soprintendenza aveva deciso tra molte polemiche di apporre un vincolo su una vecchia e abbandonata struttura – una tribuna – presente sul terreno oggetto del progetto, un vecchio ippodromo dismesso. Secondo quanto racconta l’ordinanza di giugno, Parnasi si era mosso allora per ottenere la rimozione del vincolo e lo aveva fatto innanzitutto affidando l’incarico di occuparsene a Claudio Santini, ex capo di gabinetto al ministero dei Beni Culturali, per via dei suoi contatti. Santini – che è indagato per traffico di influenze illecite – aveva organizzato allora un incontro con Francesco Prosperetti, soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma. Secondo l’ordinanza, era stato lo stesso Prosperetti a indicare a Parnasi come arrivare alla rimozione del vincolo: facendo redigere un progetto per il trasferimento della tribuna dell’ippodromo e facendolo redigere da un architetto suo amico, Paolo Desideri, presso il cui studio lavorava la figlia di Prosperetti. Il progetto era stato quindi commissionato a Desideri e realizzato come apparentemente indicato da Prosperetti, e il 15 giugno del 2017 il ministero ha archiviato il procedimento di apposizione del vincolo all’ippodromo su richiesta di Prosperetti.

Nella tesi dell’accusa ci sono insomma vari elementi che fanno pensare che l’obiettivo di alcune delle persone coinvolte in questa storia non fosse arricchirsi grazie al progetto dello stadio, quanto in realtà arricchirsi grazie al suo rallentamento. Lo stesso Mezzacapo, il presunto sodale di De Vito, anche lui accusato di corruzione in questa storia, in una telefonata intercettata dice una cosa bizzarra per essere qualcuno che dovrebbe voler fare gli interessi della Roma e del suo presidente Pallotta: «Pallotta se ne deve andare, lui deve capire che qua lo stadio non lo fa… via. Io sono contro lo stadio da sempre».

L’iter amministrativo dello stadio fin qui
Infine, è plausibile pensare che i magistrati siano arrivati alla conclusione che l’iter amministrativo del nuovo stadio non sia stato alterato dalle attività delle persone indagate sulla base dei moltissimi passaggi politici e amministrativi che ha superato in sette anni. È un progetto che ha attraversato tre giunte comunali (Alemanno, Marino e Raggi) e un commissario straordinario, e che due giunte e due consigli comunali di Roma hanno giudicato – votando – di interesse pubblico per la città; è un progetto che è stato vagliato da due Conferenze dei servizi, concluse con pareri favorevoli motivati ed esito positivo dopo il coinvolgimento della regione Lazio, dello Stato e di tutti gli uffici tecnici interessati.

Inoltre, dopo gli arresti di giugno la sindaca Raggi aveva preso la decisione – politica, non amministrativa – di sospendere l’iter per effettuare un surplus di verifiche soprattutto riguardo la viabilità, affidando un’analisi e un parere non vincolanti a un ente terzo di sicura indipendenza e affidabilità: il Politecnico di Torino. La decisione di Raggi ha allungato ulteriormente i tempi, ma a febbraio del 2019 è arrivato il parere favorevole del Politecnico. In una conferenza stampa con il relatore del Politecnico e il presidente dell’agenzia “Roma Servizi per la Mobilità” la sindaca Raggi ha illustrato il parere favorevole del Politecnico e ha annunciato che «lo stadio si fa», aggiungendo che i cantieri sarebbero stati aperti «entro la fine dell’anno».

La sindaca di Roma Virginia Raggi in Campidoglio presentando il parere del Politecnico di Torino, il 5 febbraio 2019. (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Durante il periodo di congelamento del progetto la giunta Raggi ha anche commissionato un parere all’avvocatura del comune di Roma, per capire quali conseguenze avrebbe avuto l’annullamento del progetto e il rischio di dover pagare delle penali. Il parere dell’avvocatura non è mai stato diffuso, ma la sindaca Raggi ha detto – lo ha ripetuto anche domenica sera intervistata da Massimo Giletti su La7 – che l’avvocatura avrebbe evidenziato un rischio erariale per il comune in caso di stop al progetto («hanno detto “se annullate, il comune è soggetto a richieste risarcitorie da parte dei proponenti”»). In quei mesi il Fatto aveva scritto, basandosi sulle sue fonti, che “l’avvocatura capitolina sta predisponendo un parere in cui si afferma che le procedure sarebbero state rispettate senza elementi di possibile illiceità, e come il largo coinvolgimento di soggetti “altamente qualificati” nella conferenza dei servizi possa garantire l’assenza di soluzioni perpetrate indebitamente a vantaggio del proponente”.

Cosa succede adesso
La Roma – che ha già speso 75 milioni di euro per il progetto e i dossier tecnici sul nuovo stadio in questi sette anni – ha detto di considerare «acquisito» il diritto di costruire lo stadio, sulla base dell’iter e delle decisioni prese fin qui dalle pubbliche amministrazioni, lasciando intendere di essere pronta a fare causa al comune se dopo sette anni, l’iter percorso fin qui e le parole dei magistrati, il progetto dovesse arenarsi. La Roma peraltro ha già trovato un accordo per acquisire i terreni di Tor di Valle, diventando così il proponente unico, comprandoli da Eurnova (che nel frattempo dopo l’arresto di Parnasi ha un nuovo management, come previsto dalla legge: l’amministratore delegato oggi è Giovanni Naccarato, lontano dalla precedente gestione e apprezzato nei suoi precedenti incarichi). L’acquisizione dei terreni sarà finalizzata quando (e se) il comune procederà con i prossimi passi necessari, gli ultimi: il voto in consiglio comunale della variante e della convenzione urbanistica.

Dopo l’arresto di De Vito, la giunta Raggi aveva fatto trapelare che ci sarebbero stati nuovi controlli sui cantieri e progetti di cui si parla nell’ordinanza di arresto (i Mercati generali, l’ex Fiera di Roma, l’ex stazione di Trastevere) ma non sullo stadio, viste le verifiche già eseguite al tempo degli arresti di Parnasi e Lanzalone. Domenica sera però la sindaca di Roma, Virginia Raggi, parlando a La7 ha lasciato intendere che potrebbero esserci controlli supplementari anche sullo stadio: «Io ho fatto una due diligence [uno specifico approfondimento, ndr] e alla luce di quanto accaduto ne sto facendo fare un’altra». Il Post ha chiesto chiarimenti all’ufficio stampa della sindaca ma non ha ancora ottenuto risposta.