Come si diventa italiani

«La cittadinanza arriva alla fine di un percorso di integrazione», ha detto Salvini, ma chi ha un antenato italiano può diventarlo anche senza parlare la lingua o aver mai visitato l'Italia

(AP Photo/Craig Ruttle)
(AP Photo/Craig Ruttle)

La proposta di dare la cittadinanza italiana ai due ragazzi stranieri (ma nati in Italia) che hanno contribuito a salvare i loro compagni sullo scuolabus a San Donato, mercoledì scorso, ha riaperto la polemica sul tema della cittadinanza e dello ius soli (o ius culturae): cioè l’idea di dare la cittadinanza a chi, nato in Italia o arrivato in giovane età, completa nel nostro paese un ciclo di studi scolastici.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha risposto in maniera particolarmente brusca ai due ragazzi, cittadini uno dell’Egitto e uno del Marocco, dicendo loro che se avessero voluto lo ius soli avrebbero dovuto candidarsi in Parlamento e farlo approvare (dimenticando che per candidarsi bisogna essere cittadini italiani), per poi commentare: «La cittadinanza è una cosa seria e arriva alla fine di un percorso di integrazione, non è un biglietto per il Luna Park».

Da un certo punto di vista Salvini ha ragione: l’Italia è uno dei paesi con i requisiti più severi per ottenere la cittadinanza. Per coloro che arrivano da fuori l’Unione Europea sono necessari almeno dieci anni di residenza nel nostro paese, più ritardi spesso lunghi mesi o anni. Nel caso di minorenni devono attendere fino alla maggiore età. Tutti i grandi paesi europei concedono la cittadinanza più rapidamente: in Germania il massimo sono otto anni, in Regno Unito e Francia cinque (e in Francia diventano due per chi si è iscritto all’università). Lo ius soli avrebbe reso più semplice questo processo, ma l’ultimo governo di centrosinistra preferì non cercare di approvarlo a causa della fragilità del suo sostegno parlamentare.

In Italia però c’è un altro percorso per diventare cittadini che, nel suo genere, è invece quello con le maglie più larghe d’Europa e probabilmente uno dei più aperti del mondo: quello che prevede la concessione della cittadinanza agli oriundi, coloro che hanno avuto negli ultimi 150 anni un avo italiano che non rinunciò alla sua cittadinanza italiana. La legge italiana è tra le più permissive in questo campo e stabilisce in sostanza un valore universale dello ius sanguinis (il “diritto del sangue”): cioè riconosce come cittadini italiani tutti coloro che hanno almeno un genitore italiano o che possano dimostrare di aver avuto un avo italiano, anche se non sono nati in Italia, non sono mai stati in Italia e non parlano italiano.

Significa che oggi un cittadino straniero in grado di dimostrare di aver avuto un avo italiano nel 1861 (il momento in cui nacque l’Italia) che non rinunciò alla sua cittadinanza potrebbe chiedere per sé la cittadinanza italiana e vedersela riconosciuta. Secondo le stime del ministero degli Esteri, in base a questa legge potrebbero esserci fino a 80 milioni di italiani nel mondo, quasi tutti concentrati in Sudamerica: insomma, ai sensi della legge ci sarebbero più oriundi italiani fuori dall’Italia che italiani in Italia (la cifra ricorre spesso in dichiarazioni e documenti, ma non è chiaro come sia stata calcolata). Sono pochi gli stati ad avere regole così ampie, e di solito ci sono criteri generazionali che limitano la possibilità di fare queste richieste. In Spagna, per esempio, è possibile chiedere la cittadinanza spagnola soltanto se si hanno genitori oppure nonni di nazionalità spagnola. Dalla generazione precedente il diritto si perde.

In Spagna possono quindi fare richiesta di cittadinanza solo le famiglie emigrate da qualche generazione e che con maggiore probabilità hanno mantenuto legami con il loro paese. In Italia invece questa possibilità è estesa anche a persone che molto probabilmente non sono mai state in Italia, che non parlano la lingua e le cui famiglie hanno da tempo perso ricordi o tradizioni italiane. Durante la polemica sull’approvazione dello ius soli, nel 2017, Delfina Licata, responsabile studi e ricerche della Fondazione Migrantes della CEI, disse alla Stampa: «È più italiano chi è nato all’estero, non parla la nostra lingua, non ha mai visto l’Italia, o un ragazzo che è nato e ha studiato qui?».

Sono moltissime le persone che fanno richiesta di questo percorso agevolato per ottenere la cittadinanza. Le richieste in attesa di essere esaminate al momento circa 300 mila e i consolati sparsi per il mondo faticano a gestirle (alcuni stanno valutando ora le richieste del 2006). Non tutti fanno richiesta di cittadinanza italiana per motivi sentimentali dopo aver “riscoperto” le proprie radici (anzi: si può immaginare che questi siano una percentuale residuale). Il passaporto italiano, tra i più forti del mondo e che permette di spostarsi liberamente in tutta l’Unione Europea, è molto ambito in particolare nei paesi poveri e in quelli con situazioni politiche ed economiche complicate, i cui cittadini hanno grosse difficoltà a viaggiare nel mondo.

Moltissime richieste, per esempio, provengono da paesi come il Venezuela, dove migliaia di persone cercano di fuggire alla gravissima crisi economica e soltanto grazie ai passaporti italiani possono espatriare verso Panama o Miami, negli Stati Uniti. La Stampa ha citato una fonte del ministero degli Esteri secondo cui gli Stati Uniti hanno protestato ufficiosamente per la facilità con cui gli italiani concedono la cittadinanza, rendendo i trasferimenti dal Sudamerica troppo semplici.

Il fatto che i passaporti italiani siano così ambiti ha fatto nascere un mercato di truffe e raggiri per ottenere la cittadinanza italiana, in cui agenzie di intermediazione si accordano con i comuni italiani per accelerare le pratiche per ottenere i documenti necessari alla richiesta di cittadinanza o addirittura le falsificano. Visto che le autorità incaricate di verificare i requisiti di cittadinanza sono quelle dove la persona che fa richiesta è residente, molto spesso gli intermediari aiutano il richiedente a ottenere la residenza in un comune italiano, così che a verificare le pratiche siano i dipendenti del comune (a volte in combutta con gli intermediari) e non quelli dei consolati (già sommersi di pratiche).

Un caso limite è quello di Ospedaletto Lodigiano, dove oltre metà dei duemila residenti sono cittadini brasiliani, mai nemmeno passati per la città, che hanno ottenuto la residenza al solo scopo di rendere più semplici le procedure per ottenere la cittadinanza. Due responsabili di un’agenzia di mediazione e due dipendenti comunali sono stati condannati per la truffa. Il comune sta ancora cercando di capire come risolvere la complicata faccenda, visto che adesso non è così semplice rimuovere dall’anagrafe gli oltre 1.300 brasiliani che sono stati iscritti negli ultimi anni.

A parte questi casi limite, ottenere la cittadinanza per ius sanguinis rimane complicato, specialmente per chi davvero la richiede per motivi affettivi e non ha intenzione di ricorrere a scorciatoie o truffe. Sulla carta infatti ci sono milioni, forse decine di milioni, di persone che ne hanno diritto, ma proprio per questo la burocrazia consolare e anagrafica non è in grado di far fronte alle richieste, bloccando il sistema.

Per fare richiesta, infatti, sono necessari una serie di documenti originali, come l’atto di nascita dell’avo italiano, che di solito sono sepolti negli archivi comunali e molto difficili da ottenere. Bisogna poi ricostruire l’albero genealogico generazione dopo generazione, per dimostrare una linea ininterotta dall’avo al richiedente, il che richiede documenti presenti negli archivi dei paesi di emigrazione, che spesso non sono più facili da consultare di quelli italiani. Una volta ottenuti i documenti è necessario inviarli al consolato competente che però, come abbiamo visto, spesso non ha né le risorse né il personale per processare rapidamente queste richieste. Il risultato, secondo l’ISTAT, è che coloro che nel 2017, ultimo anno disponibile, hanno acquisito la cittadinanza in questo modo sono stati appena 8.211.