Le storie dei ragazzi sull’autobus incendiato

Cosa hanno raccontato a giornali e tv su quello che è successo a San Donato Milanese e come hanno fatto a chiamare il 112 e i genitori

ANSA/DANIELE BENNATI
ANSA/DANIELE BENNATI

I giornali di oggi hanno dedicato molto spazio all’autista dell’autobus incendiato ieri a Milano in quello che sembra un tentativo di attentato, ma anche alle storie raccontate da alcuni dei ragazzini che erano a bordo del mezzo. I ragazzi frequentano il secondo anno della scuola media Vailati di Crema e si sono potuti salvare, senza che nessuno si facesse male, perché alcuni di loro sono riusciti a telefonare al 112 e ai genitori.

Tre di loro hanno parlato alle telecamere e ai giornalisti: sono i tre che hanno contribuito a dare l’allarme e salvare tutte le altre persone a bordo (i loro compagni di classe, ma anche due insegnanti e un’altra accompagnatrice adulta), anche se – come vedremo tra poco – è stato un lavoro di squadra. I tre ragazzi si chiamano Adam, Ricky e Rahmi (o, a seconda dei giornali, Rami o Ramy). I rispettivi genitori hanno detto che Rahmi e Adam, per quanto nati e vissuti in Italia, non hanno la cittadinanza italiana.

Le informazioni su di loro e i loro resoconti non sono sempre chiarissimi: un po’ per la comprensibile tensione a cui sono stati sottoposti, un po’ per l’approssimazione con cui – a caldo, subito dopo l’evento, parlando con minori comprensibilmente scossi – molti giornalisti hanno raccolto le loro testimonianze.

Rahmi
A seconda dei giornali ha 13 o 14 anni e Repubblica lo descrive così: «È di un anno più grande di tutti, di una spanna più lungo, sembra il fratellone buono». Secondo quanto raccontato dagli altri ragazzi, è lui che ha chiamato il 112 senza che l’autista se ne accorgesse. Il ragazzo ha detto: «Ho nascosto il telefono, facendo finta di consegnarglielo ma poi tornando indietro. Così ho chiamato i carabinieri». AGI scrive che nella chiamata, arrivata alla centrale operativa di Lodi, ha detto: «Ci sta portando via con un bus, ci vuole uccidere». Il ragazzo ha raccontato di aver riconosciuto la strada sulla quale viaggiava l’autobus (la Paullese) e di averla detta al 112.

Qualcuno gli ha anche chiesto se si sentisse un eroe, e lui ha risposto: «Un po’ sì, ma non l’ho fatto per sentirmi un eroe, l’ho fatto per salvare i miei compagni». Sempre AGI ha scritto che dopo aver chiamato il 112 ha anche chiamato «a casa». Il ragazzo ha detto di aver anche parlato con gli altri ragazzi a bordo dell’autobus dirottato: «Dicevo loro di stare tranquilli, che non ci avrebbe fatto del male». Ha anche detto di aver provato a parlare con l’autista: «Gli ho chiesto perché stava facendo quella cosa, ma lui mi ha guardato e non mi ha risposto». Parlando invece di quanto successo sull’autobus, Rahmi ha detto:

«Arrivati sulla Paullese ha rovesciato un’ ultima tanica di benzina e ci ha fatto appendere delle salviette impregnate di benzina alle finestre, così che il fuoco bruciasse tutto. I carabinieri hanno fatto un posto di blocco in modo che il pullman non passasse. E stavano per sparare al pullman, ma abbiamo fatto vedere le taniche di benzina e hanno capito che se avessero sparato sarebbe esploso il pullman».

Oltre al ragazzo ha parlato anche il padre, Khalid Shehata. Ha spiegato di essere egiziano e di essere in Italia dal 2001. Ha detto che fa l’operaio e che Rahmi è nato nel 2005 e ha un fratello maggiore che frequenta le scuole superiori. Né il padre né i due figli hanno la cittadinanza italiana, motivo per cui il padre ha detto, come riporta il Corriere della Sera: «Mio figlio ha fatto il suo dovere, sarebbe bello se ora ottenesse la cittadinanza italiana». Sempre al Corriere, ha detto: «Non sono mai riuscito a mettere insieme le carte necessarie per fare la domanda, ma questo Paese lo sento come mio. Anche per questo sono così orgoglioso di mio figlio che lo ha difeso». Secondo la versione di AGI: «Sono orgoglioso di mio figlio, spero che l’Italia gli dia la cittadinanza, e spero di prenderla anche io, perché a me piace questo paese, è la mia seconda patria». Alcuni giornalisti hanno chiesto a Rahmi se si sentisse italiano e lui ha risposto: «Sì, metà e metà».

Nel pomeriggio del 21 marzo alcuni giornali hanno scritto che il ministero dell’Interno ha fatto sapere di essere pronto a «velocizzare al massimo le procedure per riconoscere la cittadinanza italiana a Ramy». Sky TG 24 scrive: «Il ministero, secondo quanto si apprende, sta accertando la situazione del ragazzino ed è pronto a farsi carico delle spese e di tutte le procedure burocratiche per accelerare al massimo la concessione della cittadinanza». È infatti possibile, in Italia, riconoscere a chiunque la cittadinanza per meriti speciali.

Adam
È un ragazzo marocchino, che sembra essere il secondo ad aver chiamato qualcuno fuori dall’autobus, sempre con il cellulare di Rahmi. Adam ha detto al Corriere: «Sì, ho telefonato alla polizia e ai miei genitori. Tre volte. Perché le prime due volte ho dovuto mettere giù perché sembrava che l’autista mi avesse scoperto». Adam ha raccontato di aver detto alla madre «cosa stava succedendo e che quello voleva ucciderci tutti cospargendoci di carburante», e ha aggiunto sulla madre: «All’inizio non ci credeva, perché in effetti io faccio spesso degli scherzi e poi attorno a me tutti gridavano e parlavano ad alta voce e non si capiva bene». Ha detto che però alla fine la madre gli ha creduto e il padre «ha chiamato i carabinieri», mentre i compagni parlavano ad alta voce per evitare che l’autista potesse sentirlo chiamare i soccorsi.

Adam ha detto che l’autista ha fermato due volte l’autobus per controllare cosa facevano e «ha ordinato di appendere alle finestre delle coperte, che erano giù bagnate di benzina, per impedirci di comunicare con l’esterno». Secondo il Corriere della Sera, il bambino ha detto che «l’odore era nauseabondo». Parlando nei minuti passati nell’autobus ha detto:

«Noi abbiamo provato a dare dei calci ai vetri per vedere se potevamo romperli e gridare aiuto, poi abbiamo provato a indicare i numeri del 112 con le dita contro i finestrini, facevamo il segno della pistola puntata contro di noi, ma nessuno ha capito».

Il Corriere della Sera scrive che il padre di Adam è in Italia dal 2002 e ha detto, riguardo alla domanda di cittadinanza: «Non ho fatto domanda perché per un anno ho lasciato l’Italia e quindi la mia residenza non risulta continuativa: mi servirebbe un avvocato ma abbiamo sempre cercato di risparmiare». Non ci sono al momento informazioni sulla volontà da parte del governo di riconoscere anche a lui la cittadinanza italiana.

La telefonata di Adam diffusa da AGI

L’intervista al ragazzo (oppure un’altra intervista più lunga)

L’intervista al padre

Riccardo
Riccardo (di cui i giornali parlano come “Ricky”) ha detto, parlando dell’amico Rahmi: «A un certo punto gli è caduto [il cellulare] per terra, senza farmi vedere sono andato a raccoglierlo e l’ho passato ad Adam, dietro di me». Ha detto di essere riuscito ad alzarsi perché le fascette (con cui sembra fossero stati legati i polsi di alcuni ragazzi a bordo del mezzo) «non erano legate bene, quindi sono riuscito a togliermele, anche se facevano male». Riccardo ha parlato di ciò che è successo con il Corriere della Sera: «Eravamo tutti terrorizzati perché lui [l’autista] ha vuotato le taniche di benzina lungo il corridoio, tra i sedili, ci ha legati e ha sequestrato i telefoni per impedirci di chiedere aiuto». Repubblica riporta altre parole del ragazzo: «L’autista ci ha legato con delle fascette di nylon, o plastica. Ho provato a toglierla per recuperare un telefono caduto, per chiamare i carabinieri, perché li aveva ritirati prima tutti i telefoni. E allora mi sono liberato, facendomi un po’ male ma niente di che».