L’occupazione nazista della Cecoslovacchia

Fu l'ultimo fortunato colpo di mano di Hitler prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale: avvenne oggi 80 anni fa

Hitler in visita al castello di Praga, la mattina del 16 marzo 1939 (CTK via AP Images)
Hitler in visita al castello di Praga, la mattina del 16 marzo 1939 (CTK via AP Images)

Il 15 marzo del 1939 l’esercito tedesco occupò la Cecoslovacchia senza quasi sparare un colpo. La notte precedente, il presidente del paese era stato preso in ostaggio da Hitler ed era stato costretto a firmare la capitolazione del paese. La mossa fu così rapida e inaspettata che gli alleati della Cecoslovacchia non fecero nemmeno in tempo a protestare prima che il fatto fosse compiuto. Fu l’ultima volta in cui Hitler riuscì a realizzare i suoi piani senza opposizione. Sei mesi dopo, quando cercò di fare la stessa cosa con la Polonia, il risultato fu lo scoppio della Seconda guerra mondiale.

L’invasione del 15 marzo fu lungamente pianificata e fu eseguita con premeditazione e cinismo dai leader nazisti. Era dalla primavera del 1938 che avevano alzato la tensione con la Repubblica Cecoslovacca ingigantendo, e spesso inventando, soprusi e angherie subite dalla minoranza tedesca che all’epoca viveva nel paese, nella regione dei Sudeti, mentre in realtà finanziavano sottobanco e incitavano a compiere azioni sempre più aggressive il locale partito filonazista.

La Cecoslavacchia era uno stato molto vulnerabile a questo tipo di pressioni. Era un paese giovane, che alla fine della Prima guerra mondiale era stato ritagliato dai territori che in precedenza facevano parte dell’Impero Austro-ungarico. Al suo interno convivevano due principali gruppi linguistici: i cechi, che formavano la maggioranza e che erano stati sistematicamente discriminati ai tempi dell’Impero, e gli slovacchi, minori di numero, ma trattati in maniera relativamente privilegiata negli anni precedenti. Entrambi erano popoli di lingua slava e con parecchie cose in comune.

Il paese era stato creato come unica entità grazie agli sforzi di intellettuali e politici secondo cui due piccoli stati separati sarebbero stati troppo vulnerabili nell’Europa del tempo. Ma nel clima di tensioni economiche e internazionali di quegli anni, fu facile per giornalisti e leader politici nazionalisti sfruttare le divisioni linguistiche, le ingiustizie del presente e i torti del passato per destabilizzare il paese e accrescere il loro potere. A questi problemi si aggiungeva la presenza di altre minoranze, come ucraini, ungheresi e polacchi, la cui “liberazione” attirava gli interessi dei vicini della repubblica.

Mappa linguistica della Cecoslovacchia nel 1938 (WIkimedia Commons)

Anche se apparentemente debole e divisa, la Cecoslovacchia era comunque una noce relativamente difficile da rompere. All’epoca dell’Impero era una delle regioni più industrializzate dell’Europa centrale e questa vocazione si era accresciuta negli anni successivi. Il paese aveva una florida industria militare, un esercito piccolo, ma ben armato ed equipaggiato (per buona parte del primo anno di guerra, tra i migliori carri armati a disposizione del famigerato esercito tedesco ci furono quelli prodotti nelle fabbriche Skoda della Cecoslovacchia).

Per Hitler la Cecoslovacchia rappresentava anche un altro problema: geograficamente somigliava ad una freccia puntata al cuore della Germania, profondamente incuneata tra la vecchia Austria, che era stata annessa alla Germania, a Sud, e la regione tedesca della Sassonia, a Nord. Hitler, che all’epoca aveva già deciso che entro pochi anni avrebbe scatenato una guerra europea, non poteva procedere con i suoi piani senza prima aver neutralizzato questa minaccia. Se la Germania fosse entrata in guerra con la Francia, ad esempio, la Cecoslovacchia rappresentava un potenziale punto di partenza per colpire il paese alle spalle e, per di più, i suoi confini erano a poche centinaia di chilometri dalla capitale Berlino.

Nel corso del 1938, Hitler continuò ad alzare il livello della tensione fino al punto di minacciare apertamente l’invasione della Cecoslovacchia con la scusa di “liberarne” gli abitanti di lingua tedesca. Il governo cecoslovacco, che in quegli anni era rimasto l’unico governo democratico di tutta l’Europa centrale, si era premunito contro questa eventualità e aveva siglato da tempo un’alleanza difensiva con i vincitori della Prima guerra mondiale, Francia e Regno Unito. Ma i due paesi non avevano nessuna intenzione di scatenare un conflitto in nome della piccola repubblica.

Alla conferenza di Monaco, organizzata all’ultimo momento per persuadere Hitler a rinunciare alla guerra, Regno Unito e Francia, con l’aiuto e la mediazione di Benito Mussolini, persuasero i leader cecoslovacchi ad accettare la cessione dei Sudeti alla Germania. Convinti di aver evitato una nuova guerra mondiale, i leader francesi e britannici tornarono a casa tra le acclamazioni dei loro cittadini.

L’annessione dei Sudeti alla fine del 1938 aveva trasformato profondamente il paese: priva delle sue frontiere naturali, senza più le fortificazioni costruite negli anni precedenti e trasformata dagli accordi di Monaco in una repubblica federale in cui il governo centrale di Praga aveva un potere molto ridotto, la Cecoslovacchia era oramai indifesa, pronta per essere occupata.

Non trascorse molto prima che Hitler decidesse di terminare il lavoro iniziato a Monaco. Non appena il clamore per la Conferenza si fu attenuato, Hitler assicurò il suo appoggio alla destra nazionalista della minoranza slovacca che rispose prontamente alle sue offerte e il 14 marzo proclamò unilateralmente l’indipendenza dalla Cecoslovacchia. Lo stesso giorno, Hitler convocò d’urgenza a Berlino Emil Hácha, nuovo presidente della repubblica federale. In teoria l’incontro sarebbe dovuto servire a discutere come la Germania avrebbe potuto mediare tra il governo federale e gli indipendentisti slovacchi. In realtà si trattava una trappola.

Non appena arrivarono a Berlino, Hácha e il suo seguito furono chiusi dentro la Cancelleria tedesca, senza possibilità di comunicare con l’esterno, mentre le truppe tedesche si ammassavano alle frontiere della Cecoslovacchia. Dopo averlo tenuto in attesa per ore, Hitler incontrò personalmente il presidente cecoslovacco e lo aggredì con violenza, minacciandolo e dicendogli che gli aerei tedeschi avrebbero distrutto Praga quella notte stessa se Hácha non avesse firmato la capitolazione. Hácha ebbe un attacco di cuore e dovette essere rianimato. Tenuto in piedi dalle iniezioni dei medici di Hitler, Hácha firmò con le mani tremanti l’atto di capitolazione.

All’alba del 15 marzo le truppe tedesche varcarono i confini ed occuparono il paese, quasi senza sparare un colpo. Hitler salì a bordo di un treno alla stazione di Berlino e insieme ad Hácha si recò a Praga dove annunciò la dissoluzione della Repubblica Cecoslovacca e la nascita del Protettorato di Moravia e Boemia il cui governo fu affidato a un dirigente del partito nazista. La Slovacchia rimase indipendente, anche se di fatto divenne uno stato burattino della Germania di Hitler, mentre gli ungheresi, alleati della Germania, riuscirono a rosicchiare qualche altro pezzo del paese.

La Cecoslovacchia aveva cessato di esistere ed Hitler si impossessò dell’enorme quantità di armamenti accumulati dal piccolo paese e delle sue preziose riserve di valuta estera, necessarie per acquistare materie prime sui mercati internazionali. Fu l’ultima vittoria incruenta per il dittatore nazista. Con l’occupazione totale del paese, anche i più ingenui compresero che l’obiettivo di Hitler non era semplicemente quello di riunire in un unico paese tutti gli europei di lingua tedesca: era invece qualcosa di più grande e allo stesso tempo più oscuro. Quando sei mesi dopo, nel settembre del 1939, Hitler aggredì la Polonia, le potenze europee gli dichiararono guerra.