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  • Venerdì 22 febbraio 2019

La voce dei video dell’ISIS

Appartiene a un jihadista canadese di nome Mohammed Khalifa, la cui storia è stata raccontata dal New York Times

Una scena di "Flames of War"
Una scena di "Flames of War"

Il New York Times ha raccontato la storia di Mohammed Khalifa, il jihadista canadese che per anni fece da voce inglese narrante a diversi video di propaganda dello Stato Islamico. Khalifa, ricercato da tempo dall’FBI e oggetto delle ricerche di molti addetti ai lavori, è stato catturato lo scorso mese in Siria dalle Forze democratiche siriane, la coalizione di arabi e curdi (soprattutto curdi) appoggiata dagli Stati Uniti che combatte contro l’ISIS. Anche se non è mai diventato un leader di primo piano dello Stato Islamico, Khalifa è stato per molti anni un simbolo: la voce dell’ISIS ascoltata da moltissimi simpatizzanti stranieri che entravano in contatto con l’ideologia dello Stato Islamico attraverso i video diffusi su Internet. «No, non mi pento di niente», ha detto Khalifa alla giornalista Rukmini Callimachi, esperta di terrorismo e ISIS.

Khalifa, 35 anni, è nato a Gedda, in Arabia Saudita, da genitori di origini etiopi. Arrivò a Toronto quando era bambino e imparò fin da subito a parlare inglese con l’accento canadese. Studiò tecnologia informatica e lavorò per una società del settore, prima di lasciare il Canada e andare in Siria per combattere insieme all’ISIS. Si radicalizzò ascoltando i discorsi del noto predicatore statunitense-yemenita Anwar al Awlaki, ma decise di partire dopo avere visto un video di propaganda su YouTube, simile a quelli che poi avrebbe raccontato con la sua voce negli anni successivi.

Arrivò in Siria nel 2013 e si unì al gruppo guidato dal miliziano ceceno Omar al Shishani, che avrebbe poi fatto carriera diventando ministro della Guerra dello Stato Islamico. Khalifa ha raccontato al New York Times di avere inizialmente lavorato per l’ISIS come interprete, aiutando a tradurre in inglese discorsi e documenti scritti in arabo, e di avere poi chiesto di diventare il narratore dei video del gruppo.

La sua voce divenne nota per la prima volta a forze di sicurezza e analisti con il video “Flames of War”, diffuso il 19 settembre 2014, pochi mesi dopo la proclamazione del Califfato islamico in Siria e in Iraq da parte del leader dell’ISIS, Abu Bakr al Baghdadi. Il video, lungo 55 minuti, attirò molte attenzioni per la qualità delle sue immagini: mostrava diverse scene di guerra, alcune molto crude, minacciava direttamente gli Stati Uniti ed era stato in parte girato da un miliziano equipaggiato di GoPro. “Flames of War” fu considerato una specie di punto di svolta della propaganda dell’ISIS: era molto più ambizioso di tutti i video diffusi fino a quel momento. Divenne anche il filmato di riferimento di molte potenziali reclute dei paesi anglofoni, tra cui Australia, Regno Unito e Stati Uniti.

Dopo il primo video, Khalifa prestò la sua voce a diversi altri filmati di propaganda dell’ISIS. Uno dei primi analisti ad accorgersi della provenienza canadese di quella voce fu Amarnath Amarasingam, ricercatore di Toronto che studia i processi di radicalizzazione islamista in Canada. Amarasingam riconobbe l’accento in un video dell’ISIS che parlava degli attentati a Parigi del novembre 2015: «Pensai, questo tizio parla come le persone con cui sono cresciuto». Tempo dopo Amarasingam andò in Siria per alcune ricerche e incontrò un miliziano canadese dello Stato Islamico che aveva conosciuto Khalifa, che descrisse come un canadese di origini africane che usava il nome di guerra “Abu Ridwan”.

La conferma che la voce dei video dell’ISIS è quella di Khalifa è arrivata solo di recente, dopo che diversi esperti hanno confrontato la voce dei video dell’ISIS con quella di Khalifa registrata in un breve filmato dopo la sua cattura in Siria da parte delle Forze democratiche siriane.

Tra le altre cose, Khalifa ha raccontato al New York Times come funzionava la produzione dei video: la sofisticata “divisione media” dello Stato Islamico preparava la messa in scena delle uccisioni usando telecamere, GoPro e droni, e caricava il materiale su una scheda SD che mandava all’ufficio che si occupava del montaggio, all’interno di una villa sul fiume Eufrate a una ventina di chilometri da Raqqa, la città siriana che per diverso tempo fu considerata la capitale del Califfato. Lì il filmato veniva analizzato e montato seguendo un preciso arco narrativo, e venivano aggiunti gli effetti sonori e la voce narrante. Khalifa ha raccontato che inizialmente le registrazioni avvenivano in uno studio professionale con le pareti insonorizzate, usando il software Magic Samplitude per modificare il suono, e il prodotto finito veniva trasmesso attraverso un’antenna satellitare portatile.

Poi però, alla fine del 2014, le cose cambiarono a causa degli attacchi aerei statunitensi: il gruppo che si occupava di registrare dovette trasferirsi nei centri urbani, tra cui Raqqa, spostandosi di casa in casa per sfruttare la vicinanza con i civili che avrebbe reso meno probabili i bombardamenti. Negli ultimi anni, con l’avanzata delle Forze democratiche siriane e le continue sconfitte militari dell’ISIS, anche il gruppo che si occupava del montaggio dei video si dovette adattare alla nuova situazione e fu costretto a lasciare Raqqa, pur rimanendo attivo e continuando a trasmettere. Khalifa ha detto che nelle settimane precedenti alla sua cattura, i miliziani del team media erano rimasti una ventina ed erano concentrati negli ultimi territori rimasti sotto il controllo dell’ISIS in Siria, vicino al confine con l’Iraq.

Khalifa si trova ora in una prigione del nord della Siria gestita dai curdi, insieme ad altre centinaia di miliziani dell’ISIS catturati durante la guerra. Ha detto al New York Times di non avere ricevuto la visita di alcun funzionario governativo canadese e di non avere ricevuto offerte di aiuto dal suo consolato. Sia la polizia che il ministro degli Esteri del Canada non hanno voluto commentare la sua cattura. Il Canada è uno dei molti paesi del mondo riluttanti a riprendersi i propri cittadini partiti per combattere con l’ISIS e catturati dai curdi, per il timore di non avere sufficienti prove da usare in tribunale per una loro eventuale condanna.