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  • Mercoledì 20 febbraio 2019

Secondo la Chiesa il problema sono gli abusi o i gay?

Da anni si cerca di risolvere la crisi degli abusi con una persistente omofobia: forse il problema è la rimozione stessa della sessualità, dice il New York Times

Confessionale, 1950 circa (Three Lions/Getty Images)
Confessionale, 1950 circa (Three Lions/Getty Images)

Il New York Times ha pubblicato una lunga inchiesta sulla sessualità e l’omosessualità nella Chiesa cattolica, cercando di capire quale spazio trovino nell’attuale dibattito sugli abusi. L’articolo, che contiene anche molte testimonianze di preti omosessuali, è stato pubblicato a pochi giorni dall’incontro su “La protezione dei minori nella chiesa”, che si terrà in Vaticano da domani, 21 febbraio, fino al 24. Parteciperanno tutti i presidenti delle conferenze episcopali nel mondo e i responsabili degli ordini religiosi: da lì usciranno probabilmente le linee guida su come gestire i casi di abusi sessuali interni alla chiesa.

L’articolo del New York Times racconta come l’omosessualità sia stata e sia tuttora molto spesso utilizzata come capro espiatorio degli abusi commessi all’interno dell’istituzione ecclesiastica. Questo meccanismo funziona non solo perché continua ad essere alimentato dallo stereotipo omofobo secondo cui gli uomini gay sono dei predatori sessuali, ma anche dalla pesante invisibilizzazione degli abusi commessi da sacerdoti e vescovi nei confronti delle donne sempre all’interno della Chiesa, e di cui si parla molto poco. “Uno stupro è uno stupro è uno stupro”, dicono con uno slogan le femministe, proprio per spiegare che un abuso sessuale prescinde da etnia, classe sociale e, si potrebbe dire in questo caso, dall’orientamento sessuale. Se l’orientamento sessuale non spiega, dunque, è vero però che l’ampiezza del problema nella Chiesa riguarda il modo in cui la sessualità viene vissuta in generale dentro l’istituzione. O meglio: come non viene affrontata in modo sereno e, anzi, radicalmente repressa.

La contraddizione
C’è una grande contraddizione all’interno della chiesa cattolica, scrive il New York Times: per anni le persone omosessuali sono state allontanate in quanto portatrici di disordine, «eppure migliaia di sacerdoti sono gay». Gli uomini gay probabilmente costituiscono almeno il 30 o il 40 per cento del clero cattolico statunitense; alcuni preti sostengono che la percentuale superi il 70 per cento, nonostante il numero di chi si è esposto pubblicamente sia molto basso.

Giovedì 21 febbraio uscirà nelle librerie di venti paesi (Italia compresa) un libro di cui si sta già discutendo molto: si intitola Sodoma ed è stato scritto dal giornalista, sociologo e attivista LGBTQI francese Frédéric Martel. Martel sostiene che il Vaticano sia la più grande comunità gay al mondo e che l’80 per cento dei sacerdoti sia omosessuale.

Da sempre, pensano alcuni, la Chiesa è stata luogo di richiamo per omosessuali chiaramente repressi (repressi già fuori dalla Chiesa). Uno dei preti intervistati dal New York Times per esempio ha detto: «Quando ero in terza media, c’erano tre cose che avrei potuto fare. Diventare un camionista, come mio padre. Diventare un dottore, ma non ero abbastanza intelligente. Ed ero gay, quindi l’unica cosa che mi rimaneva era farmi prete».

Il problema è l’omosessualità
L’articolo del New York Times inizia con il racconto di Gregory Greiten, un prete del Wisconsin che nel 2017 si presentò davanti ai suoi parrocchiani per dichiarare la propria omosessualità. Quando aveva 17 anni, nel 1982, ed era in ritiro con i compagni di seminario, aveva partecipato a un gioco. A lui e a gli altri era stato chiesto che cosa avrebbero preferito, nella vita: avere bruciature sul 90 per cento del corpo, essere paraplegici o essere gay. La maggior parte dei ragazzi scelse le ustioni o la paralisi e nessuno pronunciò la parola “gay”. Solo sette anni dopo, Gregory Greiten riuscì a prendere coscienza di sé e a dire, per la prima volta: «Io sono gay».

Per anni, però, Greiten ha vissuto nella vergogna: «Fin dai giorni del seminario negli anni Ottanta, mi è stato insegnato che l’omosessualità è qualcosa di disordinato, indicibile, qualcosa da punire. I compagni con “amicizie particolari” sono stati subito rimossi dalla scuola a causa di “problemi familiari”. Durante il mio ultimo anno, un frate condusse un’indagine per cercare di identificare e punire gli studenti sessualmente attivi. Dopo essere stato interrogato, mi fu detto direttamente che se fossi stato sorpreso a parlare di questo con altri, sarei stato congedato immediatamente dalla scuola. A causa della cultura della vergogna e della segretezza intorno alle questioni sessuali in seminario, gli studenti vivevano nella paura e si sentivano costretti a rimanere in silenzio. Era evidente che i vertici volevano che tutto fosse messo sotto il tappeto. È stato in questo ambiente pieno di segreti che sono cresciuto».

Nel dibattito interno alla chiesa e soprattutto nei circoli conservatori, sono persistenti le credenze secondo cui l’omosessualità – in quanto portatrice di “disordine” – abbia un ruolo significativo anche negli abusi sessuali. Ovviamente sono stereotipi alimentati dall’omofobia e non c’è alcuna connessione dimostrata tra l’omosessualità e l’abuso, come hanno spiegato anche diversi studi specifici sui casi interni alla Chiesa. Eppure ci sono state anche di recente dichiarazioni esplicite di questo tipo da parte dei vertici della Chiesa (poi immediatamente riprese, rilanciate e confermate dai media conservatori ossessionati dalla cosiddetta “lobby gay”).

Lo scorso anno, nel dossier in cui si chiedevano le dimissioni di Papa Francesco per aver ignorato le accuse di abuso sui minori nei confronti di Theodore McCarrick, l’ex cardinale dimesso dallo stato clericale la scorsa settimana, l’arcivescovo ed ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò aveva accusato le «reti omosessuali» interne alla chiesa («da sradicare») di proteggere gli abusanti. «Parlare di abusi sui minori da parte di sacerdoti ignorando che oltre l’80 per cento sono atti omosessuali significa non voler risolvere la questione», aveva detto invece il cardinale Gerhard L. Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Papa Francesco – che ha inquadrato il problema degli abusi nella prospettiva del “clericalismo” e degli squilibri di potere – ha comunque alimentato con diverse dichiarazioni il pensiero che alla radice del problema ci sia l’omosessualità. Ha raccomandato per esempio che gli uomini con «questa tendenza» non vengano accettati per il ministero o la vita consacrata, ha rivolto una particolare ammonizione ai preti gay perché siano «perfettamente responsabili, cercando di non creare mai scandali» e ha detto – lasciando intendere che le persone omosessuali siano “affette” da una particolare incontinenza sessuale – che soprattutto «i sacerdoti, i religiosi e le donne gay devono essere esortati a vivere pienamente il celibato».

Queste posizioni non sono certo una novità: nell’Istruzione elaborata nel 2005 dalla Congregazione per l’Educazione cattolica (e che contiene le regole per l’ammissione al sacerdozio) c’era scritto, con un indiretto riferimento ai casi di cronaca sui preti pedofili, che la «questione particolare» dell’ammissione o meno di omosessuali nei seminari era «resa più urgente dalla situazione attuale» e si invitava il direttore spirituale a dissuadere il seminarista che «pratica l’omosessualità o presenta tendenze omosessuali profondamente radicate […] dal procedere verso l’Ordinazione».

Molte organizzazioni internazionali che si occupano dei diritti delle persone LGBTQI denunciano da anni che la Chiesa usi i preti gay come capro espiatorio e tenti di bandirli dalla Chiesa stessa. La direttrice esecutiva della National Gay and Lesbian Task Force  nel 2002 aveva detto: «È mostruoso il sistematico insabbiamento da parte della gerarchia cattolica come lo sono i tentativi di spostare l’attenzione dalla vera natura di questo scandalo di abuso sessuale sui minori usando come capro espiatorio l’omosessualità e i preti gay. Il problema non è l’omosessualità. Il problema è l’abuso sui minori».

La rimozione della violenza di genere
L’idea che un determinato orientamento sessuale porti quasi automaticamente a comportamenti violenti continua a funzionare anche per la rimozione quasi totale degli abusi commessi sulle donne religiose all’interno dell’istituzione ecclesiastica: di cui si sa da inchieste approfondite fin dagli anni Novanta, ma che Papa Francesco ha ammesso, per esempio, solo di recente. Quando si parla di abusi sessuali all’interno della Chiesa si pensa infatti immediatamente ai casi di pedofilia e molto raramente agli stupri di suore e missionarie. La portata dell’abuso di genere non è insomma evidente e tutto il dibattito ruota intorno a omosessualità e pedofilia. Basti pensare al fatto che a capo dell’organo che cura i casi di molestie sessuali all’interno della Santa Sede era stato nominato Hermann Geissler, che si è dimesso qualche settimana fa dopo le accuse di molestie sessuali denunciate da un’ex suora.

Lo scorso novembre l’Unione Internazionale Superiore Generali (UISG, l’organizzazione mondiale di Superiore generali di Istituti di Religiose cattoliche, approvata canonicamente) aveva denunciato pubblicamente la «cultura del silenzio e della segretezza» della Chiesa intorno alle storie di molestie e di abusi sulle donne religiose.

Il Papa ha ammesso gli abusi sessuali sulle suore commessi da preti e vescovi

La sessualità e basta
Il New York Times, nel suo articolo, ha intervistato alcuni preti dichiaratamente omosessuali raccontando le conseguenze della criminalizzazione del loro orientamento sessuale e le difficoltà che vivono all’interno del loro mondo. «Questa è la mia vita. Ti senti come se tutti fossero a caccia di streghe per cose che non hai mai fatto», ha detto uno di loro. «C’è ancora troppa omofobia nella chiesa», ha dichiarato un altro. E ancora: «Ci sono stati molti anni durante i quali ho portato questo segreto. La mia preghiera non era quella che Dio mi cambiasse. Ma quella di morire prima che qualcuno lo scoprisse». Altri sacerdoti hanno parlato del totale isolamento in cui si trovano e del modo che hanno trovato per superarlo: condividono dei libri rivoluzionari sulla questione, alcuni hanno firmato petizioni contro i programmi per le terapie riparative sponsorizzate dalla chiesa, o si incontrano tra loro in ritiri privati. Qualcuno ha anche benedetto, in veste non ufficiale, il matrimonio di una coppia gay.

Il New York Times conclude col dire che uno dei problemi principali all’interno della chiesa non sia solo la colpevolizzazione di un determinato orientamento sessuale, ma la rimozione stessa della sessualità: «Oggi, negli Stati Uniti, la formazione per il sacerdozio inizia solitamente dopo il college. Ma fino al 1980 circa, la chiesa reclutava adolescenti ancora in preda alla pubertà. Per molti dei sacerdoti e dei vescovi che oggi hanno più di cinquant’anni, questo ambiente ha limitato uno sviluppo sessuale sano».

Padre Greiten, citato all’inizio dell’articolo, ha detto al New York Times di avere il desiderio di parlare con il Papa, di fargli ascoltare la sua storia e di fargli capire come la chiesa lo abbia «traumatizzato per essere gay»: «Non si tratta solo della crisi degli abusi sessuali. Stanno sessualmente traumatizzando e ferendo un’altra generazione ancora. Dobbiamo alzarci in piedi e dire “niente più abusi sessuali”, “niente più traumi sessuali” (…) E se a ogni prete fosse veramente permesso di vivere la propria vita liberamente, apertamente e onestamente? Questo è il mio sogno».