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  • Venerdì 21 dicembre 2018

La prima grossa conseguenza del ritiro degli Stati Uniti dalla Siria

Lo stimato segretario della Difesa Jim Mattis si è dimesso, in polemica con la decisione di Donald Trump

(AP Photo/Andrew Harnik)
(AP Photo/Andrew Harnik)

Il segretario della Difesa degli Stati Uniti, Jim Mattis, ha dato le sue dimissioni spiegando di non essere d’accordo con le scelte del presidente Donald Trump nella gestione delle alleanze internazionali, un riferimento piuttosto esplicito alla decisione di Trump di ritirare l’esercito statunitense dalla Siria. La notizia delle dimissioni di Mattis è stata data giovedì sera da Trump con un tweet in cui lo ha ringraziato per il suo lavoro e ha detto che a breve nominerà un successore. Mattis, un 68enne generale dei marine di grandissima esperienza, era considerato da molti un importante contrappeso alla nota instabilità di Trump, che in questi giorni ha anche deciso piuttosto repentinamente il ritiro di metà del contingente militare statunitense dall’Afghanistan.

I giornali scrivono che giovedì Mattis era andato alla Casa Bianca per provare a convincere Trump a cambiare idea sul ritiro completo dell’esercito dalla Siria, una decisione che Trump aveva annunciato inaspettatamente mercoledì e che avrà grandi ripercussioni sull’intera regione. Nonostante Trump sostenga che lo Stato Islamico sia stato sconfitto – ed era quella la principale ragione della presenza statunitense in Siria – la maggior parte degli esperti e degli alleati degli Stati Uniti la pensa diversamente. Il ritiro, in particolare, favorirà la Turchia, l’Iran e la Russia – che potrà guadagnare influenza nella zona – e complicherà la vita dei curdi, che sono stati i principali alleati degli Stati Uniti nella lotta allo Stato Islamico e che avevano ricevuto in passato rassicurazioni dai governi americani.

Mattis ha proposto a Trump un ritiro graduale, con la permanenza in Siria di alcune centinaia di uomini: sembra che avesse già con sé la sua lettera di dimissioni, che ha consegnato a Trump dopo il suo rifiuto di prendere in considerazione strategie alternative. Nella lettera ha scritto che «le mie idee sul trattare gli alleati con rispetto e sull’essere lucidi sulle forze maligne e i nostri rivali strategici sono forti e maturate in più di quarant’anni di lavoro su questi temi» e che le sue dimissioni avrebbero permesso a Trump di nominare un nuovo segretario della Difesa le cui idee siano «maggiormente allineate» con le sue. Lascerà il suo incarico alla fine di febbraio, dopo due anni.

Mattis era molto rispettato sia dai Repubblicani che dai Democratici ed era considerato da tantissimi alleati degli Stati Uniti nel mondo una garanzia della continuità dell’impegno statunitense rispetto al passato. I rapporti tra Mattis e Trump, tuttavia, si stavano deteriorando da mesi, proprio per la tendenza di Mattis a contraddire spesso Trump su grandi questioni di politica estera e militare. Le dimissioni di Mattis arrivano a poche settimane da quelle John Kelly, capo dello staff della Casa Bianca e considerato un altro elemento “stabilizzante” dentro l’amministrazione Trump. Il successore di Mattis dovrà essere scelto da Trump e la sua nomina confermata dal Senato, dove i Repubblicani hanno la maggioranza dei voti.

Lo stesso giorno delle dimissioni di Mattis, i giornali statunitensi hanno dato un’altra grossa notizia sul coinvolgimento degli Stati Uniti in Medio Oriente: la decisione di Trump di ritirare metà del contingente militare statunitense dall’Afghanistan, dopo quasi vent’anni di guerra (iniziata poco dopo l’11 settembre 2001). Anche questa decisione ha preso molti alla sprovvista, soprattutto perché l’impegno militare statunitense nel paese viene considerato per lo più irrinunciabile per evitare una nuova rapida espansione dei talebani.

Negli ultimi mesi in Afghanistan si è osservato un aumento delle violenze sia a Kabul, la capitale, sia in altre aree del paese. Nonostante i 17 anni di guerra, i talebani sono oggi più forti che mai, grazie per lo più alla debolezza del governo afghano e all’appoggio del Pakistan. Il rischio, sostengono molti analisti, è che il ritiro di metà delle truppe statunitensi possa lasciare la strada libera ai talebani per colpire con maggiore facilità le forze di sicurezza locali e possa metterli in una posizione di enorme forza nei negoziati in corso, che tra le altre cose prevedevano proprio il ritiro di parte delle forze straniere presenti in territorio afghano. Non è chiaro cosa succederà ora, anche perché la decisione di Trump è stata presa all’improvviso e, stando alla ricostruzione del New York Times, senza consultare il governo afghano.

Oltre a 14mila soldati statunitensi, in Afghanistan ci sono anche 8mila soldati della NATO, che hanno per lo più compiti di addestramento delle forze afghane. Se l’amministrazione Trump dovesse portare effettivamente a termine il ritiro di 7mila uomini, il numero si soldati americani in Afghanistan raggiungerebbe il suo livello più basso dal marzo 2002, quando iniziò la più grande operazione militare di terra della guerra cominciata qualche mese prima.