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  • Venerdì 14 dicembre 2018

L’Irlanda ha legalizzato l’aborto

Un momento storico, per un paese in cui la religione cattolica è molto influente e in cui il divieto di abortire era addirittura scritto nella costituzione

Spille a favore dell'autodeterminazione delle donne (Charles McQuillan/Getty Images)
Spille a favore dell'autodeterminazione delle donne (Charles McQuillan/Getty Images)

Il parlamento irlandese ha approvato una legge che autorizza l’interruzione volontaria di gravidanza. Ora manca la firma del presidente Michael D. Higgins a cui il testo verrà trasmesso dopo l’ultimo voto di giovedì: le prime interruzioni potrebbero essere eseguite nel gennaio del 2019. L’Irlanda è un paese in cui la religione cattolica è molto influente e radicata e in cui il divieto di abortire era addirittura scritto nella costituzione, nell’ottavo emendamento. Poi, lo scorso maggio, si era tenuto un referendum per abrogare quell’emendamento e il “Sì” aveva vinto con circa il 66 per cento dei voti.

La nuova proposta – approvata con 27 voti favorevoli e 5 contrari durante un dibattito durato dieci ore in cui ci sono stati anche momenti di tensione e accuse di sessismo – prevede la possibilità di abortire su richiesta fino alla dodicesima settimana di gravidanza. Prevede di poter interrompere la gravidanza anche in caso di «pericolo di vita» o «grave rischio per la salute» della donna incinta, e in caso di anomalie fetali che possono portare alla morte in utero. Prima di poter procedere, la donna sarà sottoposta al parere di due diversi medici. Rispetto al testo originario sono state fatte comunque alcune modifiche, come ad esempio la decisione di riesaminare la legislazione dopo tre anni, invece che cinque come inizialmente previsto.

Oggi il ministro della Salute Simon Harris ha voluto ringraziare «le attiviste che hanno lottato per 35 anni per cambiare la nazione, i cuori e le menti» e il primo ministro irlandese Leo Varadkar ha parlato di un «momento storico per le donne».

Deirdre Duffy, responsabile della campagna Together for Yes, ha dichiarato: «Questa è una giornata davvero importante per le donne in Irlanda. (…) Il male e la sofferenza che l’ottavo [emendamento] ha causato alle donne ora è solo un ricordo. Il 2018 sarà riconosciuto come un punto di svolta nel modo in cui questo paese rispetta e tratta le donne. Quest’anno ha scatenato un nuovo movimento femminista attraverso varie generazioni che ora sono determinate a superare tutte le sfide che restano per raggiungere un’uguaglianza di genere reale e duratura. (…) Le future generazioni di ragazze e donne irlandesi cresceranno sapendo che le loro scelte sono rispettate dalle nostre leggi e che i servizi di cui hanno bisogno saranno disponibili nelle cliniche e negli ospedali del paese».

Molte attiviste e femministe hanno comunque fatto sapere che la situazione andrà tenuta sotto controllo e che ci sono ancora molti margini di miglioramento, nel disegno di legge appena approvato: sostengono ad esempio che vadano aboliti i tempi di attesa obbligatori (fissati a tre giorni) e che l’espressione “grave danno per la salute della donna” sia troppo ambigua perché potrebbe facilmente diventare una ragione per non concedere l’interruzione da parte dei medici che, in paesi come l’Irlanda, ancora criminalizzano l’aborto. Dicono poi che non è ancora possibile accedere all’interruzione in caso di gravidanze con gravi malformazioni fetali che non prevedono la morte in utero.

L’Irlanda aveva deciso di abolire l’interruzione di gravidanza nel 1983 con un referendum costituzionale che aveva introdotto il cosiddetto “ottavo emendamento”. Nel 1992 la Corte Suprema aveva stabilito un’unica eccezione: che l’interruzione potesse essere praticata nei casi in cui fosse «reale e sostanziale» il rischio per la vita della donna. Nonostante quella sentenza, fu introdotto solamente un emendamento alla Costituzione (il tredicesimo) che permetteva alle donne di andare all’estero per abortire, ma non ebbe nessuna conseguenza pratica. Per queste ragioni nel 2010 l’Irlanda venne condannata da una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che chiese al paese di modificare la Costituzione in modo da garantire la protezione della salute della donna.

Nel 2013, il Parlamento aveva approvato una legge che consentiva l’aborto nel caso in cui la gravidanza mettesse a rischio la vita della donna. Il provvedimento era stato chiamato “Protection of Life During Pregnancy Bill”, norma per la protezione della vita in gravidanza, ed era stato considerato molto importante, ma la legge aveva trovato da subito forti opposizioni sia da parte di chi è genericamente contrario all’aborto, sia da parte di chi lo considera un diritto. La legge finora in vigore aveva infatti un’applicazione molto limitata e migliaia di donne ogni anno, per abortire, andavano all’estero.