E quindi ci sono tre candidati a capo del PD

Forse anche tre e mezzo, e sembra che ne non sia finita qui: a tre mesi dalle primarie, le cose cominciano a farsi interessanti

Francesco Boccia, Nicola Zingaretti, Matteo Richetti (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI, Vincenzo Livieri - LaPresse, ANSA/ANGELO CARCONI)
Francesco Boccia, Nicola Zingaretti, Matteo Richetti (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI, Vincenzo Livieri - LaPresse, ANSA/ANGELO CARCONI)

Il congresso per scegliere il nuovo segretario del Partito Democratico (PD), il partito che in Italia è stato al governo negli ultimi sette anni prima della sconfitta alle elezioni del 4 marzo, è diventato improvvisamente più affollato. Al presidente del Lazio Nicola Zingaretti, che per primo aveva reso pubblica la sua intenzione di partecipare al congresso, negli ultimi giorni si sono affiancati altri due candidati: Matteo Richetti, l’ex portavoce del partito durante la segreteria di Matteo Renzi; Francesco Boccia, deputato pugliese e alleato del presidente della Puglia, Michele Emiliano.

In tutto questo, sabato è arrivata un’altra quasi-candidatura: l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano ha detto di essere “in campo” ma disposto a ritirarsi in alcune circostanze. A tre mesi dalle primarie, fissate per il prossimo gennaio, in corsa per la segreteria del PD ci sono quindi tre candidati e mezzo; e nessuno esclude che ne arrivi almeno un altro o un’altra, visto che l’area politica che ha sostenuto l’ultimo segretario, Matteo Renzi, sembra ancora non aver deciso chi sostenere davvero.

Chi sono i candidati
Il presidente del Lazio Nicola Zingaretti, 52 anni, è considerato oggi il favorito, dato che al momento non ha rivali che appaiano in grado di ostacolarlo. Ex presidente della provincia di Roma e due volte del Lazio, Zingaretti è il candidato che al momento può vantare la maggiore esperienza. Proviene dalla sinistra del partito, è un ex dirigente dei Democratici di Sinistra (DS) che ha fatto carriera in modo molto disciplinato – a più di cinquant’anni ha sempre avuto solo incarichi locali – ed è sostenuto dalla vecchia minoranza del partito, l’area oggi guidata da Andrea Orlando di cui un tempo faceva parte anche Pier Luigi Bersani. Le sue posizioni non sono radicali – anche se ultimamente dice che il PD è stato «subalterno al capitalismo» – e ha ottenuto l’appoggio anche della parte più moderata e centrista del partito, quella guidata da dirigenti come Dario Franceschini, che all’ultimo congresso era alleata con Matteo Renzi, e dall’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.

Anche se non è particolarmente noto fuori dal Lazio – se non come fratello del più famoso Luca, attore popolarissimo – Zingaretti si è costruito la fama di leader che riesce a vincere anche in condizioni avverse. La sua vittoria alla provincia di Roma nel 2008, per esempio, fu concomitante con la sconfitta subita da Francesco Rutelli nella corsa a sindaco e alla sconfitta del centrosinistra alle elezioni politiche; la sua vittoria alle regionali in Lazio nel 2013 fu netta rispetto al pareggio ottenuto dal centrosinistra alle politiche degli stessi giorni. Infine, alle regionali dello scorso 4 marzo è riuscito a ottenere centomila voti più rispetto a quelli raccolti in tutto il Lazio dal PD alle elezioni politiche che si svolgevano lo stesso giorno.

Il primo a candidarsi dopo Zingaretti è stato Matteo Richetti, modenese, 44 anni, oggi senatore e nella scorsa legislatura deputato del PD. Richetti era stato a lungo uno dei principali alleati di Matteo Renzi, ma il suo desiderio di ritagliarsi un ruolo politico autonomo ha spesso portato i due allo scontro. Dopo la vittoria di Renzi al congresso del 2017, Richetti è stato nominato portavoce del partito, ruolo che ha ricoperto durante tutta la campagna elettorale per le elezioni dello scorso marzo. Oggi Richetti e Renzi sembrano di nuovo in un momento di “freddezza” nei loro rapporti. La sua candidatura, che segue una particolare fase di attivismo successiva alle elezioni del 4 marzo, al momento è da considerarsi solitaria e non apertamente sostenuta dall’area “renziana” né da nessun’altra delle principali correnti del partito.

Il terzo candidato è Francesco Boccia, 50 anni, pugliese, dal 2008 deputato del PD. Ha una formazione in economia e in passato ha trascorso diversi anni ad insegnare in diverse facoltà. È noto in particolare per la sua battaglia a favore della “web tax”, un’imposta che vorrebbe obbligare le grandi società di internet a pagare in Italia una parte maggiore dei loro guadagni, e per la sua avversione ai progetti dell’ex ministro Carlo Calenda sull’ILVA. Come Richetti e Renzi anche lui proviene dalla Margherita – è stato a lungo uno dei più fedeli parlamentari “lettiani”, nel senso di Enrico Letta – ma nel tempo si è spostato su posizioni meno moderate. Oggi è un alleato del presidente della Puglia, Michele Emiliano, che al congresso del 2017 raccolse il 10 per cento dei voti. Uno dei principali punti che Boccia ed Emiliano hanno in comune è l’apertura politica al Movimento 5 Stelle.

Sabato scorso anche Cesare Damiano, anche lui ex DS ed ex ministro del Lavoro nel secondo governo Prodi, ha detto che potrebbe presentare la sua candidatura al congresso. Damiano ha 70 anni ed è stato a lungo dirigente sindacale della FIOM e della CGIL. In passato è stato molto critico nei confronti della segreteria di Matteo Renzi e ha chiesto spesso l’abolizione del Jobs Act e una diminuzione dell’età pensionabile introdotta dalla legge Fornero. Oggi presenta la sua candidatura come quella più “di sinistra” in campo, e dice di essere pronto a ritirarsi nel caso in cui Zingaretti prenda forti impegni di discontinuità con il passato più liberale del partito.

Quello che ancora manca, però, è un candidato espressione della precedente maggioranza del partito, cioè semplificando un “candidato renziano” (Richetti, come abbiamo visto, non ha l’appoggio ufficiale di Renzi e dei suoi). Matteo Renzi ha detto più volte che non intende partecipare al congresso (i pochi sondaggi che circolano indicano che corre il serio rischio di essere battuto da Zingaretti), e il resto dei renziani è diviso tra chi vorrebbe accordarsi con Zingaretti e chi invece vuole comunque un proprio candidato (i nomi che circolano periodicamente sono sempre gli stessi: l’ex ministro Graziano Delrio, l’ex capogruppo Ettore Rosato, l’ex viceministro Teresa Bellanova, pochi altri ancora meno quotati).

Tempi e modi del Congresso
Il congresso del PD è un procedimento che dura mesi, passa per la nomina di una commissione incaricata di stabilire le regole e prevede consultazioni di tutti gli iscritti all’interno di tutti i circoli territoriali. In questo processo, che dura settimane, gli iscritti selezionano i candidati che potranno partecipare alle primarie: quelli che tra gli iscritti otterranno almeno il 5 per cento di voti e, in ogni caso, tutti quelli che hanno raccolto almeno il 15 per cento dei voti in almeno cinque regioni diverse.

– Leggi anche: Come si fa il segretario del PD

Alle primarie potranno votare tutti i simpatizzanti del PD, non solo gli iscritti. Il segretario del PD Maurizio Martina ha detto che vuole organizzare le primarie per la fine di gennaio. Al momento però la prima fase del congresso, quella che prevede la nomina di una commissione per deciderne le regole, non è ancora cominciata.