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  • Giovedì 23 agosto 2018

Anche gli europei chiedono asilo

Nel 2017 quasi centomila fra albanesi, ucraini e armeni hanno chiesto protezione in uno stato della UE, smentendo qualche luogo comune

di Lorenzo Ferrari – @lorferr

(MANU BRABO/AFP/Getty Images)
(MANU BRABO/AFP/Getty Images)

Tutte le discussioni e le reazioni che negli ultimi anni si sono scatenate in Europa sul diritto di ricevere protezione internazionale si basano sull’idea che i richiedenti asilo siano quelli che arrivano attraverso il Mediterraneo, provenienti dall’Africa e dall’Asia. In realtà lo scorso anno tra coloro che hanno fatto domanda d’asilo nei paesi dell’Unione Europea c’erano quasi 100.000 persone europee o provenienti da nazioni storicamente e culturalmente associate all’Europa: albanesi, ucraini, georgiani, armeni e così via.

Questa massa di persone tende a sfuggire all’attenzione dell’opinione pubblica e delle forze politiche: forse perché tra loro ci sono moltissimi minorenni, con cui è più difficile prendersela, ma probabilmente perché hanno la pelle bianca. Questi richiedenti asilo vengono percepiti come meno minacciosi rispetto alle presunte orde di giovani uomini dell’Africa subsahariana che avrebbero invaso le nostre città – e dunque si prestano meno a essere additati e strumentalizzati.

La Francia ha rappresentato una delle poche eccezioni a questo generale atteggiamento di disattenzione. Lo scorso anno gli albanesi sono risultati in assoluto la più corposa comunità di richiedenti asilo nel paese, e la stampa e la politica hanno dovuto accorgersene. Gli albanesi in effetti hanno un peso notevole nel complesso delle domande di asilo presentate da europei nell’Unione Europea. Nel 2017 sono stati in più di 22mila a chiedere asilo, di gran lunga il numero più alto rispetto a tutte le altre nazionalità, sia in termini assoluti sia in proporzione alla popolazione (significa che quasi l’1 per cento dei cittadini albanesi ha chiesto asilo nell’Unione Europea nel corso di un solo anno).

Nonostante gli stretti legami tra l’Albania e l’Italia – o forse proprio per quelli – meno di 500 albanesi hanno fatto richiesta d’asilo nel nostro paese nel 2017, e solo un centinaio l’ha ottenuta. La più grossa comunità di richiedenti asilo di origine europea in Italia è formata dagli ucraini, o meglio dalle donne ucraine. Sulle 8.950 domande presentate da cittadini ucraini lo scorso anno, quasi un terzo sono state avanzate in Italia.

(Numero di domande d’asilo presentate nel complesso dei paesi UE nel 2017, per paese d’origine; fonte Eurostat)

Diffidenza e scoraggiamento
La grande maggioranza degli europei che fanno domanda d’asilo nell’Unione Europea si rivolge in realtà alla Germania o alla Francia, ma negli ultimi anni entrambi i paesi hanno adottato una politica sempre più rigida nei loro confronti. Le conseguenze sono state l’inserimento dei paesi di provenienza nell’elenco dei “paesi sicuri”, procedure rapide di valutazione delle domande e percentuali molto basse di accoglimento, rimpatri forzati, accordi coi governi dei paesi d’origine per limitare i flussi in uscita e minacce di reintrodurre i visti per l’area Schengen.

«In Francia le autorità ormai partono dal presupposto che domande come quelle presentate dagli albanesi siano infondate, e dunque a questi richiedenti asilo non viene nemmeno offerto un alloggio. L’idea di fondo è che non si debba essere troppo gentili con loro», sostiene Oliver Peyroux, un sociologo che studia l’immigrazione europea in Francia. «Manca del tutto una riflessione sulle cause che spingono queste persone a partire, e su cosa si potrebbe fare per aiutarli. Ma molto spesso manca anche una conoscenza di base: per moltissimi francesi, ad esempio, gli albanesi rimangono piuttosto misteriosi».

È vero che i paesi dell’Unione Europea respingevano la maggioranza delle domande di asilo presentate da cittadini europei anche prima della recente stretta, ed è vero che in molti casi a chiedere l’asilo non sono persone esposte a pericoli e minacce specifiche, bensì migranti economici con poche altre opzioni a disposizione per riuscire a trasferirsi all’estero. Come conferma la giornalista albanese Fatjona Mejdini, tra i suoi connazionali che partono molti sono giovani e famiglie che non riescono a trovare lavoro nel loro paese.

Sempre più domande accolte, nonostante tutto
Anche se le autorità tendono a considerare strumentali le domande d’asilo presentate dagli europei, i numeri raccontano una storia un po’ diversa. Nel 2017 i paesi dell’Unione Europea hanno accolto circa il 18 per cento di queste domande, mentre cinque anni prima avevano deciso di concedere l’asilo solo all’8 per cento di coloro che avevano fatto richiesta. Il minore tasso di rigetto delle domande d’asilo non è certo da attribuirsi a una maggiore generosità dei governi, quanto a un riconoscimento delle corti locali dell’oggettiva precarietà delle condizioni di vita in vari paesi europei. A trovare più spesso un esito positivo non sono solo le richieste di asilo di turchi e ucraini – esposti evidentemente a gravi rischi – ma anche quelle presentate da quasi tutte le altre nazionalità.

Ad esempio, anno dopo anno i richiedenti asilo albanesi vedono accolte sempre più domande: all’interno dell’Unione nel suo complesso, le concessioni di asilo nei loro confronti sono passate in cinque anni da 500 a 1600. Le motivazioni alla base dell’accoglimento delle richieste di asilo sono perlopiù legate ai pericoli costituiti dalla vendetta di sangue, alla violenza domestica, alle discriminazioni contro le persone LGBT e la comunità rom. Come hanno evidenziato anche alcuni casi di cronaca, si tratta di pericoli concreti e reali.

(Numero di domande di asilo accolte dai paesi UE nel corso degli anni; i paesi di provenienza si trovano qui; fonte Eurostat)

Non è insomma possibile ignorare il fatto che in molti paesi europei esistono problemi seri di violazione dei diritti umani, e dunque i paesi UE non dovrebbero partire dal presupposto che le decine di migliaia di domande d’asilo che ricevono ogni anno da cittadini europei siano solo strumentali. Per governare il fenomeno, ed eventualmente ridurre i numeri degli arrivi, servirebbe piuttosto una riflessione sulle ragioni che spingono così tante persone a lasciare paesi che nel nostro immaginario sono ormai spesso delle accoglienti mete turistiche e dei futuri partner all’interno dell’Unione Europea.

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L’articolo originale è stato pubblicato dall’European Data Journalism Network, lo trovate qui