Il montaggio cinematografico, mostrato
Questi video spiegano per bene cos'è quella cosa che, alla fine di tutto, è solo «senso del ritmo»
Nel 1968 Orson Welles, una delle persone che hanno segnato di più la storia del cinema, fece un libro-intervista con Peter Bogdanovich, in cui parlò della storia sua e del cinema. Riguardo al montaggio, la tecnica che permette di alternare inquadrature diverse, disse: «È senso del ritmo, tutto lì». Spiegò che montare «è come scrivere», un lavoro solitario in cui bisogna «sgobbare, sgobbare e sgobbare, dieci ore al giorno, tutti i giorni, un mese dopo l’altro». Aggiunse che «la vera forma di un film è musicale» e che il montaggio «si può insegnare fino a un certo punto». È una di quelle cose per cui servono competenze ma non bastano solo quelle; ed è una di quelle cose per cui, nonostante ci siano una sintassi e delle regole, non esiste in assoluto il giusto o lo sbagliato.
Diversi registi e movimenti cinematografici hanno avuto approcci diversi nei confronti del montaggio. Qualcuno sostiene che il miglior montaggio sia quello che non si nota, perché riesce a passare inosservato senza distrarre lo spettatore: molti film del neorealismo italiano tendevano per esempio a ridurlo al minino. Molti film della nouvelle vague francese provarono invece a rompere le regole del montaggio per colpire gli spettatori: l’esempio più citato è Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard, dal montaggio spesso discontinuo e volutamente straniante.
Il cinema russo di inizio Novecento – per esempio quello di La corazzata Potëmkin di Sergej Eisenstein – propose invece un montaggio analogico (o montaggio delle attrazioni), fatto per colpire gli spettatori con forti associazioni tra il soggetto di un’inquadratura e quello della successiva. Lo fece anche Charlie Chaplin in Tempi moderni, che passò dall’inquadratura di un gregge di pecore a quello di un gruppo di operai che entrano in fabbrica.
Ma il montaggio non è sempre connotativo, fatto per creare forti collegamenti tra due immagini diverse. A volte serve solo a dare continuità alla storia mostrata e raccontata; a mettere insieme inquadrature diverse, magari che raccontano due storie parallele in due spazi diversi, o, molto più semplicemente, a togliere le cose noiose e superflue, per partire da diverse ore di riprese e arrivare al film, che di solito non ne dura più di un paio.
“Love of Film” è un canale Vimeo e YouTube che, per spiegare il montaggio cinematografico, lo mostra. E visto che il montaggio non sempre si vede, lo divide in tante piccole inquadrature. Sul canale c’è per esempio un video che mostra la strafamosa scena della doccia di Psyco, in cui ci vollero diversi giorni di riprese per ottenere poche decine di secondi di materiale finale. Prima di vedere il montaggio mostrato da “Love of Film” provate a rivedere la scena così com’è nel film, provando a notare ogni taglio, ogni momento in cui c’è un’inquadratura diversa.
“Love of Film” l’ha spiegata così, bloccando ogni mini-scena fino al momento in cui un nuovo taglio non la fa ripartire.
Su “Love of Film” c’è anche la scena di un incontro di pugilato in Toro Scatenato, di Martin Scorsese. Il film, che inizia con una scena al rallentatore senza nessun taglio, dovette, come ogni altro film sul pugilato, trovare dinamismo ed epica in due pugili che si tirano pugni. Lo fece, tra le altre cose, alternando momenti piuttosto lenti ad altri molto intensi; giocando, in modo semplice ma non banale, sull’alternarsi dei punti di vista dei due pugili.
Come spiegò l’esperto di cinema e montatore Tony Zhou in un video del 2016, una delle regole del montaggio è che deve basarsi sull’empatia di chi guarda. E il modo migliore per crearla è seguendo gli occhi dei protagonisti. In generale, più tempo guardiamo un attore provare un’emozione, più è facile provarla a nostra volta. Non a caso una delle inquadrature su cui Scorsese resta per più tempo è quella di Jake LaMotta, il pugile interpretato da Robert De Niro, in affanno alle corde del ring.
La scena originale, se questa volta volete fare il gioco opposto.
Il più recente video pubblicato da “Love of Film” mostra la scena finale di Bonnie and Clyde, un film che cambiò il cinema. Per le prime decine di secondi racconta una scena normale: una coppia (in questo caso di fighissimi banditi) che accosta per aiutare un signore. Poi succede altro: e il montaggio serve a preparare quello che succede e a mostrarlo in modo per niente banale.
Il montaggio non è nemmeno indispensabile, nel cinema. Esistono film – pochi – che hanno scelto di non usarlo, girando tutto il film in un unico e lunghissimo piano sequenza.
Il film tedesco girato in un unico piano sequenza che avrete voglia di vedere