Il film tedesco girato in un unico piano sequenza che avrete voglia di vedere

Si intitola "Victoria", se ne parla benissimo ed è appena uscito in alcuni cinema italiani

("Victoria")
("Victoria")

Victoria è un film del 2015 ma in Italia è arrivato solo in questi giorni: in realtà in pochissimi cinema, ma se abitate nei pressi di uno di questi, ne vale la pena. Secondo diversi critici cinematografici è uno di quei film che conviene vedere al cinema oppure procurarselo su Amazon. La prima cosa da dire su Victoria è che ha ottenuto delle grandi recensioni un po’ da tutti. La seconda da dire è che è riuscito ad ottenerle nonostante sia davvero particolare, girato in un modo in cui sono stati girati pochissimi altri film. È stato girato di notte, a Berlino, in 22 location differenti, in un unico e lunghissimo piano-sequenza; cioè tutto in una volta, senza tagli tra un’inquadratura e l’altra e quindi senza necessità di montaggio.

Eppure è difficile descrivere di cosa parli Victoria, perché è sia un esercizio di stile sia un film che racconta una storia movimentata e complessa. Si può però dire – senza spoiler: ce ne sono alcuni più avanti, ma sarete avvertiti a tempo debito – che inizia in un locale underground di Berlino, più o meno alle quattro di notte, con una ragazza spagnola (Victoria, appunto, interpretata da Laia Costa) che balla e ordina da bere. Poi esce e fuori dal locale incontra quattro ragazzi che le dicono di essere veri berlinesi, di conoscere la vera Berlino e di volergliela mostrare. Quello che le dà più attenzioni (e a cui lei ne dà di più) è Sonne, interpretato da Frederick Lau, che potreste aver già visto in Oh Boy – Un caffè a Berlino e in L’onda. Victoria non parla tedesco, i ragazzi si parlano tra loro in tedesco e con lei in inglese, a volte facendo qualche errore (il film è sottotitolato in italiano). Da quel momento in poi, succede una serie notevole di cose.

Il regista è Sebastian Schipper, che era stato aiuto-regista di Tom Tykwer – il regista di Lola corre – ma alla fine del film il suo nome esce dopo quello dell’operatore della cinepresa: Sturla Brandth Grøvlen, che per due ore è andato (usando una Canon C300) ovunque andassero gli attori – in giro per le strade, dentro e fuori da stanze e locali, su e giù dalle scale e dalle macchine – stando attento a non intralciarli mai, a riprenderli sempre nel giusto modo e con la giusta luce, a non far vedere che è lì, magari riflesso in un vetro o in uno specchietto retrovisore.

Victoria era stato scelto come possibile candidato tedesco al premio Oscar per il Miglior film in lingua straniera, ma era stato poi squalificato perché c’erano troppe parti in inglese, quindi in una lingua non straniera. Per capirci: un film canadese può andare in quella categoria solo se in francese, un film britannico solo se in scozzese. Ai principali premi del 2015 del cinema tedesco però Victoria ha stravinto: ha ottenuto il premio per il Miglior film, la Miglior regia, la Miglior attrice protagonista, la Miglior fotografia e la Miglior colonna sonora, e Grøvlen ha vinto un orso d’argento al Festival del cinema di Berlino.

Prevedibilmente, forse: perché è un film che ha scelto la difficilissima strada del piano sequenza e ce l’ha fatta. Il fatto è che, seppur oggettivamente girato in modo strano e raro, è anche un film che, secondo molti critici, si fa vedere, e piace, perché il piano sequenza diventa un modo per raccontare bene quella storia, e non un astruso tecnicismo fine a se stesso.

Victoria è stato girato nella notte del 27 aprile nei quartieri berlinesi di Kreuzberg e Mitte, dalle 4 e mezza alle 6.54, quando è arrivata la luce (era voluto, non è che hanno fatto tardi girando). Prima di quella notte ci avevano provato altre due volte – provandolo e preparando i movimenti chissà quante altre volte, prima – ma a un certo punto qualcuno aveva sbagliato qualcosa e allora tutto a monte, che si doveva riprovare un’altra notte. La sceneggiatura era di 12 pagine, che sono pochissime per qualsiasi film, specie per questo che è pieno di dialoghi: vuol dire che gran parte di quello che sentirete vedendo il film è stato improvvisato dagli attori.

Il film è stato girato con pochi soldi ma ha comunque avuto bisogno di finanziamenti (ci sono per esempio sei aiuto-registi, tre team per la presa diretta dell’audio e 150 tra attori e comparse, gente che passa per strada, o gente nel locale in cui inizia il film, per esempio). Servivano soldi e Schipper ha spiegato che era difficile farseli dare perché quasi nessuno voleva rischiarli in un progetto così complicato e dall’esito imprevedibile. Schipper dovette quindi promettere e garantire un “piano B”: disse quindi che prima avrebbe girato, raccontando la stessa storia, un film normale – o meglio meno strano – fatto da tanti diversi piani sequenza da una decina di minuti ciascuno. E lo fece: girò una prima versione in dieci giorni, giusto per avere qualcosa da dare ai produttori, ma poi ha detto che «non era buona» e che l’unica cosa che gli interessava era procedere col “piano A” con un unico piano sequenza. Ha anche spiegato che i primi due tentativi fallirono perché nel primo gli attori erano poco spontanei e bloccati, spaventati dal rovinare con un errore tutto il film e, nel secondo perché erano invece troppo esagerati, e quindi poco credibili. Ha detto che fece un discorso al cast – «non uno di quelli gentili che finiscono con una stretta di mano» – in cui li sgridò e alzò la voce.

Se le premesse vi incuriosiscono, ma avete paura di un film pesante, complicato, d’autore e da mal di testa assicurato, diversi critici hanno scritto che così non è. Gabriele Niola ha scritto su Wired che in Victoria ci sono «le due ore più incredibili a cui vi capiterà di assistere quest’anno», e ha aggiunto:

Esiste nella testa degli spettatori, e molto spesso anche nella realtà delle produzioni, uno steccato tra i film commerciali (quelli che divertono molto, non sempre sono svegli, di certo non annoiano) e d’autore (quelli che sono sempre un po’ depressi, hanno tante idee curiose e spunti intriganti, di sicuro possono essere noiosi). […] Questo film di due ore unisce la capacità di sintetizzare il cinema di genere con qualcosa di complicato da riassumere a parole e che incrocia la narrazione, la musica, la recitazione, la fotografia e il montaggio finendo per dare vita a sensazioni inedite.

Parlando invece di riferimenti cinematografici: Stephen Dalton di Hollywood Reporter ha detto che Costa «è ammirevolmente partecipe» della storia e che Lau «irradia un carisma pericoloso, di strada e spaccone» che ricorda quello del giovane Marlon Brando, che non è un brutto paragone per uno che di lavoro fa l’attore. Dalton ha anche paragonato il film a Irreversible – «il vivido thriller sulla vendetta di Gaspar Noe» e a Lola corre. 

Nella storia del cinema i film girati in un unico piano sequenza sono pochissimi: qualcuno ha fatto finti piani sequenza (usando per esempio scene in cui tutto è nero per tagliare, staccare, andare a casa e tornare il giorno dopo per riprendere da quella inquadratura tutta nera). Di questa categoria fanno parte Birdman e Nodo alla gola, un film di Alfred Hitchcock degli anni Quaranta. Fino a prima di Victoria il film che si tirava fuori quando si parlava di film girati con un unico piano sequenza era Arca russa, un film – di cui si parla tuttora – di 96 minuti ambientato nel Palazzo d’inverno di San Pietroburgo e girato in un unico piano-sequenza, tutto in Steadicam.

Peter Bradshaw del Guardian ha invece fatto notare che il film ricorda per certi versi Bande à part, il film nouvelle vague di Jean-Luc Godard, che tra le altre cose ha ispirato il nome della casa di produzione di Quentin Tarantino. Simone Porrovecchio di Cinematografo ha scritto invece che guardando il film «non può non venire in mente Jean Seberg al fianco di Jean Paul Belmondo in Fino all’ultimo Respiro». Guy Lodge ha scritto su Variety che Victoria è quello che ci si sarebbe potuti aspettare se Luc Besson fosse stato il terzo fratello Dardenne». Nigel M. Smith ha scritto sul Guardian che «Victoria riesce a sorprendere e stupire così come pochissimi altri film sanno fare».

Da qui in poi: per chi l’ha già visto, o vorrà tornare dopo averlo fatto

 

victoria

Ora che siamo tra gente che sa come finisce, molti critici hanno anche paragonato il film al sottogenere del thriller in cui c’è una rapina, in particolare a certi film americani anni Settanta. Parlando di come gli è venuta l’idea Schipper ha detto che «pochissimi film ti danno l’idea di cosa voglia dire davvero fare una rapina, ed è qui che mi è venuta l’idea di girare un film che raccontasse cosa succede nell’ora prima e nell’ora dopo, in un unico piano sequenza». Ha anche detto che «di amico in amico è entrato in contatto con dei veri rapinatori di banche», per farsi dare qualche dritta su come girare le scene e che uno dei rapinatori gli avesse pure detto di andare a fare una rapina con loro per tirare su un po’ dei soldi necessari per il film. Ha detto di essersi rifiutato ma che i rapinatori gli hanno comunque dato alcuni utili consigli su cose che poi ha messo nel film. Schipper ha detto che il suo film preferito con rapina è Quel pomeriggio di un giorno da cani.

Sempre a proposito della rapina, mentre i quattro scappano in macchina a un certo punto Victoria sbaglia strada, e tutti si mettono a urlare ancora di più per dirle dove andare. Non sono solo bravi attori, sono attori spaventatissimi dal fatto che, come è stato poi spiegato, l’attrice che interpreta Victoria avesse sbagliato strada, rischiando di passare davanti a membri della troupe o di finire in una zona non prevista, compromettendo così tutto il piano sequenza. Ci sono anche un paio di situazioni in cui, stando molto attenti, si può vedere il riflesso del cameraman (per esempio nel finestrino del taxi) o in cui si sente una portiera di un’auto chiudersi quando sono già scesi tutti (è quella da cui è sceso il cameraman).