C’è un nesso tra gli sbarchi di migranti in Italia e gli 80 euro?

Lo sostengono certi complottisti e anche Emma Bonino, ma la tesi per cui Renzi accettò i migranti in Italia in cambio di "flessibilità" economica non ha grandi basi

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la trasmissione di Rai1 'L'Arena' condotta da Massimo Giletti. Roma, 9 ottobre 2016 (ANSA/ MASSIMO PERCOSSI)
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la trasmissione di Rai1 'L'Arena' condotta da Massimo Giletti. Roma, 9 ottobre 2016 (ANSA/ MASSIMO PERCOSSI)

Negli ultimi giorni si è parlato molto della vicenda Aquarius, la nave di una ong che ha soccorso oltre 600 migranti e a cui è stato impedito l’accesso ai porti italiani. Questo ha contribuito a riportare di attualità un’altra questione: perché l’Italia è la destinazione di così tanti migranti che vengono salvati nel Mediterraneo centrale? Proprio negli ultimi giorni sono tornati a circolare sospetti e teorie secondo cui la spiegazione non sono solo le banali ragioni geografiche.

Ieri, per esempio, l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino ha ripetuto un’accusa che circola da tempo: l’Italia avrebbe accettato di accogliere i migranti salvati nel Mediterraneo in cambio della concessione da parte dell’Europa di maggiore flessibilità nei suoi conti pubblici. Sono quasi le stesse accuse mosse da Luigi Di Maio in un video del luglio 2017 che è tornato a circolare molto in questi giorni. Nel video Di Maio fa accuse estremamente precise: secondo lui il governo Renzi avrebbe consentito di far sbarcare i migranti in Italia, e solo in Italia, in cambio del denaro necessario a finanziare il cosiddetto bonus IRPEF da 80 euro. Né all’epoca né successivamente Di Maio o Bonino hanno fornito prove o fonti per le loro accuse.

La teoria “immigrati in cambio di flessibilità” circola da molto tempo: almeno dall’aprile 2016, quando ne parlò l’allora presidente del Comitato di controllo Schengen, la deputata di Forza Italia Laura Ravetto. Il presunto accordo tra governo Renzi ed Unione Europea sarebbe stato formalizzato nel corso dell’estate e dell’autunno del 2014, mentre veniva negoziato il lancio dell’operazione Triton, la missione europea per la protezione delle frontiere marittime italiane guidata dall’agenzia Frontex.

Triton era il “successore” di Mare Nostrum, la missione esclusivamente italiana di ricerca e soccorso che aveva operato fino alla primavera del 2014 e che era stata chiusa tra varie polemiche alla fine del 2013. Con l’operazione Triton, vari paesi europei coordinati da Frontex hanno aiutato l’Italia fornendo mezzi, uomini, e finanziamenti utili a pattugliare il tratto di mare tra Italia e Libia. Triton differisce da Mare Nostrum non solo per la presenza di navi e personale internazionale, ma anche per altri due particolari. Il primo lo abbiamo già visto: era una missione di protezione dei confini e di lotta al traffico dei migranti, non di salvataggio come Mare Nostrum. Il secondo è quello che ha prodotto il maggior numero di critiche e continua a produrle anche in questi giorni: la missione prevede esplicitamente che le persone salvate vengano portate in Italia.

L’autorizzazione preventiva a sbarcare le persone salvate in Italia sembra essere motivata principalmente da ragioni di logica. La maggior parte delle operazioni di soccorso avviene in un tratto di mare su cui si affacciano:

– la Libia, il paese di partenza di gran parte degli immigrati e dove è in corso una guerra civile;
– la Tunisia, un paese relativamente povero e fragile che non ha mai mostrato intenzione di aprire i suoi porti ai migranti;
– Malta, un’isola molto piccola abitata da poche centinaia di migliaia di persone e che ospita già, in proporzione, molti più migranti dell’Italia.

Infine l’Italia, che appare quindi l’unica opzione ragionevole dal momento che le leggi navali obbligano le navi a sbarcare nel più vicino porto sicuro.

Secondo i critici, però, oltre a queste considerazioni abbastanza ovvie, ce ne sarebbero anche delle altre che all’epoca giustificarono l’idea di consentire sbarchi solo in Italia. La deputata Ravetto nell’aprile del 2016 disse al settimanale Panorama di avere questa “impressione”, senza fornire però prove:

«Io ho la netta impressione che i Paesi più forti, per intenderci quelli dell’Europa settentrionale, vogliano deliberatamente ridurre Italia e Grecia al ruolo di grandi “Centri profughi”. Il loro discorso, semplificando, è questo: noi vi concediamo un po’ di flessibilità in più sui conti e sulle spese pubbliche, e voi in cambio vi tenete gli immigrati. Ma è uno scambio vergognoso, inaccettabile»

Quindi, secondo Ravetto, nel 2014 il governo Renzi si accordò con l’Europa per ricevere la possibilità di spendere più soldi in deficit di quanto concesso dalle regole europee in cambio del via libera all’operazione Triton, che conteneva la clausola sui trasferimenti delle persone salvate in Italia. In altre parole, Ravetto stabiliva l’equazione più flessibilità in cambio di migranti. La deputata parlò del suo sospetto in diverse altre occasioni e sempre con toni ipotetici, ma senza riuscire mai a trasformarlo in un caso che arrivasse sulle prime pagine dei giornali.

Ci riuscì l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino nel luglio del 2017, quando disse al Giornale di Brescia che era stato il governo Renzi a chiedere che il centro di coordinamento dell’operazione Triton fosse gestito dalla Guardia costiera italiana e ad accettare la clausola sullo sbarco dei migranti in Italia. Secondo Bonino il governo Renzi accettò implicitamente una deroga al trattato di Dublino, quello che impone ai migranti di fare richiesta di asilo nel primo paese in cui mettono piede. L’accordo con Frontex, di fatto, faceva sì che i migranti facessero tutti richiesta in Italia invece che nei paesi originari delle navi che li aveva salvati che, secondo i trattati internazionali, sono considerati “territorio” di quel paese (un immigrato salvato da una nave croata, quindi, dovrebbe fare richiesta di asilo in Croazia).

Bonino non associò esplicitamente questa “concessione” del governo italiano alla richiesta di flessibilità, cioè il punto centrale della teoria di Ravetto e Di Maio, ma difese comunque la tesi e disse di essere stupita per la sorpresa con cui le sue dichiarazioni erano state accolte dal governo. A fare un collegamento esplicito tra flessibilità e Triton fu pochi giorni dopo Mario Mauro, ex ministro della Difesa del governo Letta, quello di cui Bonino era ministra degli Esteri. Mauro, che non era più ministro all’epoca della sottoscrizione dell’accordo con Frontex, disse che «trasformando il salvataggio in mare in un servizio taxi, Renzi ha alterato il rapporto fra il Pil e il debito pubblico». Lo stesso giorno Di Maio pubblicò il suo video ancora più esplicito, in cui collegava direttamente Triton agli 80 euro.

Da allora non è emerso nessun documento o testimonianza che colleghi in maniera esplicita la flessibilità concessa al governo Renzi con la questione dell’immigrazione. Come nell’aprile del 2016, quando se ne parlò per la prima volta, la teoria secondo cui il governo Renzi scambiò flessibilità con migranti rimane un sospetto non provato. Esistono però diversi elementi che fanno pensare che questa teoria si come minimo un po’ azzardata e che le cose non siano andate nella maniera meccanica e diretta sospettata da Ravetto, Mauro, Di Maio e anche Bonino.

La prima, come ha notato tra gli altri NextQuotidiano, è che sembra piuttosto normale l’inclusione negli accordi con Frontex di clausole che indichino il paese dove portare le persone salvate. Nel caso dell’operazione Poseidon, che svolge un ruolo simile a quella di Triton per nel Mediterraneo orientale, la Grecia viene indicata come luogo dove devono essere sbarcare le persone salvate. Non sembra però che la Grecia abbia ricevuto in cambio trattamenti di particolare favore dal punto di vista economico.

La seconda ragione è che non sembra esserci un collegamento diretto tra il testo dell’accordo tra Italia e Frontex e il fatto che i migranti facciano domanda di asilo in Italia. Nell’accordo infatti non è inclusa alcuna specifica deroga al trattato di Dublino. In teoria l’Italia potrebbe opporsi alle richieste di asilo di quei migranti salvati da navi straniere e chiedere che siano invece quei paesi ad occuparsi della loro accoglienza. Le ragioni che lo impediscono sembrano soprattutto politiche: i paesi in questione probabilmente ritirerebbero immediatamente le loro navi impegnate nell’operazione.

Va tenuto conto, inoltre, del fatto che le operazioni di soccorso di Frontex siano solo una piccola parte rispetto al totale: la maggior parte, almeno ai tempi del governo Renzi e Gentiloni, era compiuta dalle ong. Su 37.212 migranti sbarcati in Italia fra gennaio e aprile del 2017, ad esempio, Frontex collaborò a soccorrerne 5.752, cioè il 15,45 per cento (significa che in certi casi potrebbe non aver compiuto l’operazione principale, ma solo aver dato assistenza).

Insomma, appare ingenuo sostenere che siano state le parole contenute nell’accordo che ha dato il via Triton a impedire la redistribuzione dei migranti in Europa, un tema al quale si oppongono apertamente gran parte dei governi europei e che ha già causato profonde divisioni durante le riunioni dei capi di stato e di governo. Probabilmente non è mai esistita alcuna possibilità di sottoscrivere un accordo che prevedesse il trasporto dei migranti salvati nel paese d’origine della nave che aveva realizzato il salvataggio o in altri paesi come Francia o Spagna, sia per ragioni pratiche (i paesi di origine delle navi a volte sono molto lontani dalla zona dei soccorsi) sia per ragioni politiche: nessun paese avrebbe inviato navi se questo avesse comportato farsi carico di tutti i migranti salvati.

Infine, il racconto di questa vicenda sembra semplificare eccessivamente la questione della “flessibilità”, il lungo e tortuoso procedimento che negli ultimi anni ha permesso al nostro paese di fare un deficit maggiore rispetto a quello consentito dalle regole europee, se applicate alla lettera. Nel corso dei tre anni del governo Renzi, su questo tema ci sono state trattative, momenti di avvicinamento e rotture. Nel 2014, nel 2015 e nel 2016 Renzi ha sempre discusso con la Commissione e a volte con gli altri leader europei su quali fossero i margini di manovra che spettavano all’Italia e in più di un’occasione ha usato l’argomento dell’immigrazione, così come quello del terremoto, per chiedere la possibilità di fare più debito pubblico. Che Renzi, quindi, abbia usato Triton come leva per ottenere margini di spesa è certo, ma stabilire una relazione diretta e univoca tra le parole contenute nell’accordo con Frontex e la concessione della flessibilità – come se fosse stato possibile non introdurre quella clausola, flessibilità o no – sembra un tentativo di semplificare una questione molto più complessa e sfumata.