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  • Venerdì 8 giugno 2018

I 12 minuti inevitabili e inarrestabili dei Golden State Warriors

Da anni la squadra campione NBA gioca "terzi quarti" incredibili, che lasciano gli avversari in balia di un basket quasi perfetto

Stephen Curry, Draymond Green e Kevin Durant dei Golden State Warriors durante gara 3 delle finali NBA. (Jason Miller/Getty Images)
Stephen Curry, Draymond Green e Kevin Durant dei Golden State Warriors durante gara 3 delle finali NBA. (Jason Miller/Getty Images)

Nella notte tra mercoledì e giovedì i Golden State Warriors, campioni in carica della NBA, hanno vinto la terza partita delle finali contro i Cleveland Cavaliers, portando la serie sul 3 a 0. Significa che ai Warriors basterà una vittoria per vincere il secondo titolo NBA consecutivo, il terzo in quattro anni, confermando di essere una delle più forti squadre che abbiano mai giocato a basket.

I Cavaliers, la squadra che si gioca la finale coi Warriors da quattro anni consecutivi e che vinse il titolo nel 2016, sono totalmente e irreparabilmente dipendenti da LeBron James, il più forte giocatore del mondo: sono arrivati all’inizio della serie da grandi sfavoriti, per l’evidente inferiorità di tutti gli altri giocatori rispetto ai Warriors, ma in gara 3, la prima delle finali giocata in casa, sono arrivati all’intervallo in vantaggio di 6: 58 a 52. Poi però è arrivato il terzo quarto dei Warriors, come sempre.

Da ormai qualche anno la squadra di Steph Curry, Kevin Durant e Klay Thompson mostra una caratteristica costante e in parte poco spiegabile: Golden State gioca dei terzi quarti incredibili, dove fa registrare dei parziali di punteggio a proprio favore come non se ne sono mai visti nella storia della lega. Il “terzo quarto” è uno dei quarti di gioco, ognuno di 12 minuti, in cui è divisa una partita NBA, ed è quello che viene dopo la fine del primo tempo, a metà della partita, quando le squadre vanno negli spogliatoi. Alla fine dell’ultima partita, LeBron James ha detto: «Sappiamo che la squadra contro cui giochiamo è la migliore, e prima di tutto è la migliore in tutta la NBA nel terzo quarto. Lo ha dimostrato di nuovo stasera, superandoci di otto punti dopo che eravamo arrivati in vantaggio all’intervallo».

Le partite di Golden State con dei “terzi quarti” incredibili sono state diverse nel corso degli anni: le ricordano non solo i commentatori sportivi, ma anche e soprattutto i giocatori avversari dei Warriors. Uno di loro è J.J. Redick, che ha sperimentato tutto questo con due squadre diverse, prima i Los Angeles Clippers e poi i Philadelphia 76ers. Nel primo caso, lo scorso anno, i Clippers erano andati negli spogliatoi avanti di 12 punti contro Golden State, giocando in casa loro. «C’è questa… sensazione. Come se a un certo punto Steph [Curry] si accenderà. A un certo punto faranno tre canestri da tre di fila, il pubblico impazzirà, e succederà», ha raccontato Redick a ESPN. In quella partita Curry segnò 17 dei suoi 35 punti in 3 minuti e 37 secondi, e i Warriors ne fecero addirittura 50 in un solo quarto, un record che per i Warriors era imbattuto dal 1989. Golden State recuperò 24 punti solo nel terzo quarto, e alla fine vinse la partita 123 a 113.

Redick ha rivissuto un’esperienza simile lo scorso 18 novembre, con la sua nuova squadra, i Philadelphia 76ers. Tra il primo e il secondo tempo, i Sixers erano sopra di 22 punti. J.J. Redick ha raccontato che sentiva che stava per succedere qualcosa. Una volta rientrati in campo, i Warriors segnarono 47 punti e ne concessero soltanto 15 agli avversari: vinsero la partita 124 a 116. Draymond Green, ala dei Warriors, ha detto a ESPN: «Eravamo tipo “che diavolo succede?” Eri lì seduto, ed era folle».

Alla fine della partita, un giornalista chiese a Steve Kerr, allenatore dei Warriors, perché i timeout chiamati nel corso del primo quarto della gara – finito 47-28 per i Sixers – non avessero provocato una reazione nei suoi giocatori. Kerr rispose che evidentemente serviva qualcos’altro, serviva sentire l’imbarazzo di uscire dal campo alla fine del primo tempo sotto di 22 punti.

Gli incredibili terzi quarti dei Warriors arrivano da lontano: sono una caratteristica che la squadra ha praticamente sempre avuto nell’era di Kerr da allenatore (cioè dalla stagione 2014-2015). Uno dei terzi quarti più famosi dei Warriors fu giocato nel 2015 durante una partita contro i Sacramento Kings, quando Klay Thompson mise a segno il record di punti individuali in un quarto: 37 (sì, 37 punti in 12 minuti). Altri terzi quarti notevoli: nel 2015, contro i New Orleans Pelicans, Curry segnò da solo più punti di tutti i giocatori dei Pelicans messi insieme; nel febbraio del 2017, contro i Sacramento Kings, i Warriors finirono il terzo quarto con un parziale di 22 punti a 0: avevano fatto la stessa cosa nel 2016 contro i Lakers. Lo scorso gennaio, contro i Chicago Bulls, fecero segnare un parziale di 19 a 0. E così via.

Con il terzo quarto di gara 3 delle finali di quest’anno, che è finito 17-6 e ha annullato il vantaggio ottenuto dai Cavaliers, i Warriors hanno messo una grossa ipoteca sul loro secondo titolo consecutivo, il terzo negli ultimi quattro anni. Secondo le statistiche elaborate dalla società Elias Sports Bureau, ai playoff di quest’anno, prima delle finali, i Warriors avevano accumulato un vantaggio totale sulle altre squadre di 130 punti nei terzi quarti: più di ogni altra squadra da quando la NBA funziona con il cronometro dei 24 secondi per ogni azione, cioè dal 1954. Nelle ultime quattro stagioni, i Warriors hanno tenuto nel terzo quarto la propria percentuale media di tiro dal campo più alta (49,8 per cento), così come quella da tre punti (42 per cento). In sette occasioni, un giocatore della squadra ha segnato 25 o più punti nel terzo quarto (sei volte si è trattato di Curry o Thompson).

Si, ma perché proprio il terzo quarto? Non c’è una spiegazione sola, ci sono tante cose insieme.

Secondo Steve Kerr, il motivo è che le squadre avversarie iniziano le partite contro Golden State con grandissima intensità, perché vogliono fare bella figura contro la migliore squadra della NBA. «Tendono a giocare molto, molto forte contro di noi fin dall’inizio. Negli ultimi anni siamo stati quelli da rincorrere. Penso che le squadre siano esaltate dal giocare contro di noi ed entrino in partita molto concentrate sulla difesa, cosa che richiede molte energie. Nel terzo quarto tendono a stancarsi un po’, e forse è per quello che noi spingiamo di più». Spesso i Warriors approfittano dei maggiori errori degli avversari per accumulare contropiede su contropiede, e in questo modo possono segnare una decina di punti in pochissimi minuti, senza concederne niente agli avversari. Un altro motivo dell’efficacia dei Warriors nel terzo quarto è che giocano quasi sempre i migliori giocatori della squadra, tutti insieme, riposati dopo l’intervallo.

Non è comunque una questione di grandi accorgimenti tattici proposti dagli allenatori nell’intervallo, ha spiegato Ron Adams, assistente di Kerr: nei 15 minuti di pausa tra un tempo e l’altro parlano spesso i giocatori, e a Golden State ce ne sono diversi di grande intelligenza cestistica (tempo fa si era discusso parecchio del fatto che Kerr avesse lasciato i suoi giocatori allenarsi da soli in una partita contro i Phoenix Suns). Kerr è noto tra le altre cose per evitare sfuriate contro i giocatori: parla con loro di politica, di società, di attualità, e preferisce mantenere l’ambiente sereno: «Tutti sono dei leader, o almeno hai quell’impressione» ha spiegato Zaza Pachulia, centro dei Warriors.

C’è comunque un lavoro di preparazione tecnica notevole, nell’intervallo. Fin dall’inizio della partita, l’assistente Willie Green segna il minuto esatto di ogni azione rilevante: periodicamente, un altro assistente consegna gli appunti a un montatore, che realizza un video da mostrare ai giocatori nell’intervallo, ha raccontato il New York Times. Prima del colloquio con i giocatori, Kerr e i suoi assistenti parlano per qualche minuto da soli, che è anche il momento in cui l’allenatore può sfogarsi senza mostrarsi ai giocatori, che nel frattempo possono fare quello che vogliono, A circa 11 minuti dalla fine dell’intervallo, Kerr inizia il suo discorso ai giocatori.

Comincia raccontando cosa è andato bene e male, e poi commenta il video, che vede per la prima volta: l’intesa con gli altri assistenti è tale che le azioni che vorrebbe rivedere sono praticamente sempre le stesse selezionate. Nel difficilissimo inizio della gara 7 delle finali di Conference contro gli Houston Rockets, gli assistenti selezionarono le buone azioni della squadra, nonostante quelle non brillanti fossero la maggioranza. Questo perché Kerr preferisce tenere alto il morale e mostrare cosa può essere fatto di buono. Nel giro di sei-sette minuti, Kerr e i giocatori finiscono di parlare, e la squadra torna in campo per il riscaldamento.

Prima di quell’intervallo contro i Rockets, i Warriors erano sotto di 11, nella partita decisiva della stagione (chi vinceva sarebbe andato in finale). Nel terzo quarto, i Warriors fecero un parziale di 33 a 15, e vinsero poi di 9 punti la partita. Green ha spiegato che quando le cose non vanno bene all’inizio di una partita, i giocatori in un certo senso aspettano il terzo quarto sapendo che la situazione migliorerà: come in una specie di profezia che si avvera da sola. È un po’ la stessa cosa che succede ai loro tifosi, del resto, che hanno imparato a non disperarsi nel caso in cui i primi due quarti delle partite siano sconfortanti, e ad aspettare il terzo per vedere le cose migliori.