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  • Mercoledì 6 giugno 2018

Anche l’Indonesia ha il suo indipendentismo

Da anni le province orientali di Papua e Papua occidentale – tra le più povere del paese – chiedono di rifare un referendum per separarsi dallo stato indonesiano, senza successo

Una manifestazione anti-governativa di papuani a Giacarta (BAY ISMOYO/AFP/Getty Images)
Una manifestazione anti-governativa di papuani a Giacarta (BAY ISMOYO/AFP/Getty Images)

L’Indonesia ha da anni un problema con l’indipendentismo nelle sue province più orientali, Papua e Papua occidentale, da non confondere con Papua Nuova Guinea, che invece è uno stato indipendente. Qui negli ultimi anni decine di persone sono state arrestate con l’accusa di tradimento o di voler rovesciare il governo, perché sostenitrici di idee indipendentiste. Il caso indonesiano è particolare: nonostante siano le due province dell’Indonesia più ricche di risorse naturali, Papua e Papua occidentale sono anche le più povere. Il governo centrale di Giacarta ha provato a reprimere le spinte indipendentiste usando sistemi molto criticati dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani – arresti arbitrari, uccisioni extragiudiziali, corruzione di funzionari pubblici, brogli elettorali e abusi di potere di poliziotti e soldati – senza però riuscire a eliminare quello che considera un enorme problema. È una storia che va avanti da tempo, che è stata ripresa in un recente articolo del New York Times.

La provincia di Papua fu colonia olandese fino al 1963, quando fu annessa dall’Indonesia. Dopo sei anni di atrocità e gravi violazioni dei diritti umani, la sovranità indonesiana su Papua fu sancita ufficialmente dal cosiddetto “Atto della libera scelta”, chiamato dai suoi detrattori “Atto della non scelta”: fu un referendum voluto dall’esercito indonesiano sul futuro della provincia di Papua, a cui parteciparono però poco più di mille persone su quasi un milione di abitanti della provincia. I votanti furono intimiditi e minacciati dall’esercito, e furono costretti a votare per rimanere parte dell’Indonesia. Nei decenni successivi decine di migliaia di persone furono uccise o sparirono, subendo la repressione del governo di Giacarta. Con il tempo la situazione si è normalizzata ma le tensioni non si sono risolte. Lo scorso anno, per esempio, 1,8 milioni di papuani, circa il 70 per cento della popolazione della provincia, hanno firmato una petizione per chiedere all’ONU di appoggiare una votazione libera sull’indipendenza – proposta che però l’ONU ha rifiutato.

La provincia indonesiana di Papua ha uno status particolare dal 2002, che le attribuisce un certo livello di autonomia (Papua Occidentale fu creata nel 2003, anche se all’inizio aveva un altro nome). Da allora, sostengono diversi gruppi per la difesa dei diritti umani, il governo indonesiano non ha saputo – o voluto – distinguere nel campo indipendentista di Papua tra gruppi armati e gruppi pacifici, trattando tutti allo stesso modo.

Il presidente indonesiano Joko Widodo, eletto nel 2014, aveva promesso nuove politiche per Papua e Papua occidentale, riguardo sia alla liberazione di prigionieri politici che alle riforme economiche. Le cose però non sono cambiate troppo rispetto al passato e ancora oggi le proteste, considerate dai sostenitori dell’indipendenza come espressioni legittime della libertà di espressione, sono viste dal governo centrale come tradimenti e minacce alla sua sopravvivenza.

Oltre alle tensioni dovute allo scontro tra gruppi indipendentisti e governo di Giacarta, Papua e Papua occidentale devono affrontare numerosi altri problemi. Anzitutto la distribuzione della ricchezza all’interno delle due province, che determina una enorme differenza tra le persone che vivono nelle aree costiere (circa il 5 per cento della popolazione totale) e quelli che vivono nelle isole più remote, che sono per lo più accessibili solo con l’aereo. La maggior parte dei papuani che vive nelle aree rurali ha indici di povertà tra i più alti di tutta l’Indonesia e non è alfabetizzata. Bobby Anderson, ricercatore della School of Oriental and African Studies all’Università di Londra, ha riassunto la situazione così: «L’Indonesia ha una politica dettagliata per l’estrazione mineraria, ma non ha una vera politica per la popolazione di Papua. È come se i suoi abitanti non fossero nemmeno cittadini».