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  • Domenica 3 giugno 2018

La linea difensiva degli avvocati di Trump

In una lettera ottenuta dal New York Times, sostengono che il presidente americano non può avere ostacolato la giustizia perché ha un potere illimitato su tutte le indagini federali

(Olivier Douliery-Pool/Getty Images)
(Olivier Douliery-Pool/Getty Images)

Il New York Times ha ottenuto e pubblicato una lettera di 20 pagine in cui gli avvocati del presidente americano Donald Trump spiegano al procuratore speciale Robert Mueller, che sta indagando sulla presunta collusione fra il governo russo e il comitato elettorale di Trump, perché il presidente americano non può aver commesso il reato di ostacolo alla giustizia, l’accusa principale su cui si stanno concentrando gli investigatori. Diversi analisti sostengono che Trump potrebbe averlo commesso quando licenziò il capo dell’FBI James Comey, che stava sovrintendendo a un’indagine federale proprio sulle relazioni fra il comitato Trump e la Russia.

La lettera è stata scritta a gennaio dagli avvocati John M. Dowd e Jay A. Sekulow: sostiene che Trump non può essere accusato di avere ostacolato la giustizia, in estrema sintesi, perché in qualità di presidente degli Stati Uniti può avere una autorità senza limiti su tutte le indagini federali. Gli avvocati hanno scritto che la Costituzione americana dà a Trump il potere di «terminare l’indagine, o persino di esercitare il suo potere di grazia» in qualunque momento. Hanno anche aggiunto che «ovviamente, il presidente non è al di sopra della legge, ma è allo stesso tempo ovvio e vero che il presidente non può essere soggetto a forzate interpretazioni e estreme applicazioni di norme chiaramente irrilevanti».

L’interpretazione degli avvocati sull’illimitata autorità del presidente statunitense non è estesamente condivisa, e il New York Times ha scritto che se Mueller decidesse di incriminare davvero Trump, «potrebbe dare via a una battaglia legale per capire se un presidente possa essere obbligato a rispondere alle domande» di un interrogatorio, e che «è difficile dire cosa potrebbe succedere dopo». Secondo diverse inchieste giornalistiche, Mueller sta ragionando da tempo dell’ipotesi di interrogare Trump, e di citarlo in giudizio se si rifiutasse di farlo.

Nella lettera – la cui autenticità è stata confermata da Rudy Giuliani, avvocato di Trump da aprile – gli avvocati Dowd e Sekulow sostengono anche che, grazie a migliaia di pagine di documenti e testimonianze, Mueller abbia già tutte le informazioni di cui ha bisogno, e che di conseguenza la sua inchiesta dovrebbe finire al più presto. Alcune ore dopo la pubblicazione della lettera da parte del New York Times, Giuliani ha detto, a un giornalista che gli ha chiesto se secondo lui Trump potrebbe fermare ogni indagine: «Mi sembra piuttosto evidente». Ha anche detto che Mueller non ha per ora risposto alla lettera.

Se Mueller lo citasse davvero in giudizio, Trump sarebbe costretto a presentarsi davanti a una giuria e rispondere a una serie di domande. Potrebbe scegliere di avvalersi della facoltà di non farlo, come previsto dal quinto emendamento della Costituzione americana, ma dovrebbe comunque attendersi conseguenze politiche e legali. Finora nessun presidente in carica è mai stato citato in giudizio: sia perché è molto raro che una figura del genere subisca un processo durante il suo mandato, sia perché secondo l’interpretazione più condivisa delle leggi statunitensi un presidente non può essere incriminato durante il suo mandato.