Chi è Giovanni Tria, il nuovo ministro dell’Economia

All'euro non dice né sì né no, il "reddito di cittadinanza" non lo convince, ma gli piace la flat tax e dice che bisognerebbe aumentare l'IVA

(ANSA/CLAUDIO ONORATI)
(ANSA/CLAUDIO ONORATI)

Giovanni Tria, professore di economia ed ex consulente economico di Forza Italia, è il ministro dell’Economia del nuovo governo di Giuseppe Conte. Scelto per sostituire il no-euro Paolo Savona, sui cui il presidente della Repubblica aveva messo il veto, Tria è un critico moderato della moneta unica e della Germania. In passato è stato molto vicino al centrodestra e in particolare agli ex ministri Renato Brunetta e Maurizio Sacconi. Nella sua carriera comunque ha sempre lavorato più nell’accademia che in politica, insegnando in diverse facoltà fino a diventare preside di quella di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata.

Tria è nato a Roma nel 1948 e il prossimo settembre compirà 70 anni. Per il momento non circolano molte notizie biografiche su di lui e oggi la Stampa è uno dei pochi quotidiani a riportare qualche informazione sulla sua vita. Secondo la Stampa, Tria negli anni Sessanta e Settanta ha militato in alcune organizzazioni di studenti maoisti, i cosiddetti “marxisti-leninisti” che sostenevano il leader della Cina comunista Mao Zedong. Di quell’epoca, secondo la Stampa, gli è rimasta la conoscenza della lingua cinese e un buon rapporto con le istituzioni di quel paese: oggi si possono trovare diverse sue interviste alla versione italiana della radio di stato cinese. Per esempio, quella in cui lo scorso aprile Tria commenta un intervento del presidente cinese a un congresso affermando che «il discorso del presidente Xi Jinping al Forum di Bo’ao per l’Asia dimostra la grande apertura e lungimiranza della Cina».

La formazione economica di Tria è quella di un neokeynesiano: cioè è un economista che dà grande importanza alla domanda nella formazione della crescita economica (questa scuola di solito viene considerata la più ortodossa e di “sinistra” nelle scienze economiche). In un rapporto del 2008, per esempio, sosteneva la necessità degli investimenti pubblici come motore della crescita. «È necessario un immediato rilancio degli investimenti e lo strumento dei governi sono gli investimenti pubblici», scriveva Tria parlando dell’Italia. Si è perfezionato alla Columbia University di New York dove insegnava Edmund Phelps, premio Nobel nel 2006 e uno dei principali fondatori della scuola neokeynesiana.

Se la sua formazione economica è tendenzialmente di sinistra, in politica Tria è sempre stato più vicino al centrodestra. È membro del comitato scientifico della Fondazione Magna Carta, che si ispira ai principi del conservatorismo britannico, è stato collaboratore di diversi ministri durante i governi Berlusconi, in particolare di Renato Brunetta, che nel 2009 lo mise in una squadra con il giornalista Oscar Giannino per elaborare il programma di Forza Italia per le Europee del 2009. Sempre Brunetta lo scelse nel 2010 come direttore della Scuola nazionale dell’Amministrazione, con sede nella Reggia di Caserta, un progetto molto caro all’allora ministro della Funzione pubblica ma abbandonato dai suoi successori.

Secondo gran parte delle ricostruzioni che circolano sui giornali, Tria sarebbe stato indicato al segretario della Lega Matteo Salvini proprio da Paolo Savona, il candidato ministro che avrebbe dovuto sostituire. Savona, 82 anni e una lunghissima carriera trascorsa tra l’università e le più grandi banche e società del paese, è un feroce critico della moneta unica e negli ultimi anni ha rilasciato dichiarazioni estremamente bellicose nei confronti della Germania. Per questa ragione il presidente della Repubblica non lo ha ritenuto compatibile con il ruolo di ministro dell’Economia. Tria è un moderato, rispetto a Savona, ma appartiene comunque al campo degli euroscettici.

La sua frase più citata in questi giorni è quella con cui l’anno scorso inaugurò il suo intervento al convegno “No euro? Costi diretti e indiretti per l’Italia”. Alla domanda che dava il titolo all’incontro rispose: «Penso che la domanda sia fuorviante, perché ritengo sbagliato rispondere sì, ma credo che non basti rispondere no». Nell’intervento Tria elaborava la sua posizione spiegando di non essere tra coloro pronti a un’uscita a sorpresa dall’euro (come sono diversi dirigenti della Lega e come sosteneva in passato lo stesso Savona), ma sosteneva anche che bisogna affrontare il rischio concreto di una «implosione» dell’euro. «Prima di dire perché penso che bisogna rispondere no alla domanda se usciamo dall’euro, io partirei dalla domanda su quali sono le condizioni per la sopravvivenza dell’euro e per andare nella direzione opposta a quella della disgregazione», sosteneva Tria.

Sul tema dell’euro Tria si era espresso anche pochi mesi prima, quando nel dicembre del 2016 aveva commentato un articolo in cui Savona e Giorgio La Malfa affermavano provocatoriamente che non era l’Italia a dover uscire dall’euro, ma che era la Germania a doverlo fare come soluzione agli squilibri nella sua bilancia commerciale. Tria commentava l’articolo definendolo «un’analisi economica seria, non una battuta di politici anti-euro, ma di due eminenti economisti con i quali peraltro concordo in pieno». Come ha commentato il Corriere della Sera nel profilo di Tria pubblicato oggi: «Insomma, se non è il piano B per uscire dall’euro studiato da Savona, il ministro dell’Economia proposto pochi giorni fa da Salvini e Di Maio e rifiutato dal presidente Mattarella, poco ci manca».

Per alcuni anni Tria ha avuto una rubrica di economia sul quotidiano il Foglio, insieme a un altro professore, Ernesto Felli (qui il Foglio ha raccolto alcuni dei principali interventi dei due). Insieme a Felli, nel 2007 Tria ricevette un premio di economia proprio dalle mani di Savona, lo “sponsor” che lo ha aiutato ad arrivare al governo. Il Foglio ricorda che, all’epoca della consegna, Savona:

era particolarmente convinto dalla tesi, esposta con vigore da Felli e Tria, che fosse opportuno spostare l’imposizione fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette. Cioè dall’Irpef all’Iva, idea non molto popolare, anzi considerata reazionaria, in un’Italia a bassissimi o nulli imponibili e ad amplissimi consumi. E che certamente oggi non troverebbe il gradimento dei due capi politici del governo, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. “Ma – concede sorridendo Ernesto Felli – eravamo in tutt’altro periodo. E lo stesso Savona ci premiò come ‘economisti giovani’, sorpreso che avessimo in fondo una quindicina di anni meno di lui”.

L’altro contributo di Tria su cui i quotidiani hanno concetrato la loro attenzione è un articolo pubblicato lo scorso 14 maggio sul sito internet Formiche, in cui Tria analizzava il programma di Lega e Movimento 5 Stelle e dal quale emergeva chiaramente la sua impostazione politica sensibile in particolare ai temi del centrodestra. A proposito della principale proposta del Movimento 5 Stelle, per esempio, Tria era molto critico.

Non sappiamo ancora cosa sarà questo reddito di cittadinanza e, quindi, le risorse richieste e l’ampiezza del pubblico dei beneficiari. Esso sembra oscillare tra una indennità di disoccupazione un poco rafforzata, (e tale da avvicinarla a sistemi già presenti in altri paesi europei, come ad esempio in Francia, certamente più generosa dell’Italia con chi perde il lavoro) e magari estesa a chi è in cerca di primo impiego, e un provvedimento, improbabile, tale da configurare una società in cui una parte della popolazione produce e l’altra consuma.

Tria era scettico sul cosiddetto “reddito di cittadinanza”, ma scriveva invece di essere molto interessato alla proposta di riduzione fiscale proposta dalla Lega (impropriamento chiamata “flat tax”) che definiva «più interessante», anche se precisava che «conterà anche in questo caso la sua declinazione specifica per valutarne la sostenibilità». Nell’articolo, Tria appare molto prudente quando scrive che la riduzione di imposta andrebbe attuata gradualmente, in modo da attenuare gli effetti negativi della perdita di gettito dovuta al taglio dell’imposizione fiscale. In altre parole, Tria non sostiene le teorie estreme di Salvini e di Silvio Berlusconi, secondo i quali la riforma fiscale e il taglio delle imposte si “ripagherebbero da soli” e quindi non avrebbero bisogno di coperture finanziarie.

Il punto più controverso dell’articolo arriva poco dopo, quando Tria illustra come secondo lui andrebbe finanziata la riduzione di imposte. La sua soluzione è la stessa che gli fece ottenere un premio nel 2007: aumentare l’IVA. Nell’articolo pubblicato su Formiche scriveva che il governo dovrebbe prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di far scattare la clausole di salvaguardia che entreranno automaticamente in vigore il prossimo gennaio, producendo (se non saranno disinnescate) un aumento automatico dell’IVA e delle accise.

Nessuna forza politica è a favore dell’aumento dell’IVA. Tria invece la pensa diversamente:

Vi è la “vulgata”, molto sostenuta anche a livello istituzionale, che serva subito un governo per impedire che queste clausole di aumento dell’IVA vengano attivate, perché ciò sarebbe recessivo. La tesi non mi sembra sostenibile a meno che si pensi di impedire l’aumento delle aliquote IVA creando altro deficit. Poiché non è questa, credo, l’intenzione di chi sostiene questa “vulgata”, impedire l’aumento dell’Iva recuperando risorse da un’altra parte, con tagli di spesa o aumenti di altre tasse, non muta di certo il presunto effetto recessivo. Al contrario, come ho sostenuto da oltre un decennio e non da solo, ritengo che in Italia si debba riequilibrare il peso relativo delle imposte dirette e di quelle indirette spostando gettito dalle prime alle seconde. Si tratta di una scelta di policy sostenuta da molto tempo anche dalle raccomandazioni europee e dell’Ocse perché favorevole alla crescita e non si capisce perché non si possa approfittare dell’introduzione di un sistema di flat tax per attuare un’operazione vantaggiosa nel suo complesso.

Riassumendo, Tria è un accademico con passati legami nel centrodestra, è un euroscettico che fino a oggi ha sempre adottato posizioni moderate in un campo dove le critiche sono spesso feroci. In passato ha dimostrato maggiore vicinanza ad argomenti tradizionalmente più di centrodestra, come la riduzione dell’imposizione fiscale, mentre è sembrato poco interessato alle misure sociali, come sussidi e trasferimenti. Le sue posizioni comunque sono fiscalmente conservatrici, cioè Tria è contrario a fare nuovo deficit e nuovo debito in grande quantità, preferendo un approccio prudente e graduale.

Come ministro dell’Economia avrà un ruolo importante nel decidere a quali suoi colleghi ministri concedere i finanziamenti che si renderanno disponibili. Non ha mai avuto precedenti esperienze politiche, amministrative o di gestione della pubblica amministrazione, e questo rischia di metterlo in una posizione di difficoltà se dovesse trovarsi ad avere opinioni divergenti rispetto ad altri membri del governo con maggior esperienza, come i due vicepresidenti del Consiglio Salvini e Di Maio.