“Dogman” sta piacendo

Le recensioni del film di Matteo Garrone sono positive, soprattutto quelle italiane, ed è stato il secondo film più visto nel weekend

Dogman, il nuovo film di Matteo Garrone, è nei cinema dal 17 maggio: se ne sta parlando perché la storia che racconta si ispira a un noto delitto di fine anni Ottanta, perché l’attore protagonista è stato premiato a Cannes e perché, soprattutto in Italia, il film sta avendo buone recensioni. Dogman è stato il secondo film del weekend per incassi dopo Deadpool 2: da quando è uscito ha incassato più di 500mila euro, tanti per un film di questo tipo.

È meno importante del resto, ma Dogman ha anche vinto il Palm Dog, il premio per il miglior cane (in questo caso assegnato a tutto il cast canino) tra quelli dei film in concorso al Festival di Cannes. Si parla di cani perché Dogman parte dalla storia del cosiddetto “canaro della Magliana”: quella di un uomo, Pietro De Negri, che era detto “canaro” perché aveva un negozio di toelettatura per cani, che uccise brutalmente l’ex pugile dilettante Giancarlo Ricci, dopo averne subito per anni le vessazioni.

Garrone ha spiegato più volte che il “delitto del canaro della Magliana”, il quartiere di Roma dove abitavano Ricci e De Negri, è stato solo un punto di partenza, perché i personaggi del suo film hanno altri nomi e vivono in un altro tempo e in un altro posto. «Il fatto di cronaca rimane semplicemente uno spunto», ha detto Garrone: «non c’è stato nessun tentativo di ricostruire i fatti come sono andati» o di dire che i personaggi «corrispondono a quelli del fatto di cronaca». La sinossi ufficiale del film è:

In una periferia sospesa tra metropoli e natura selvaggia, dove l’unica legge sembra essere quella del più forte, Marcello [interpretato da Marcello Fonte] è un uomo piccolo e mite che divide le sue giornate tra il lavoro nel suo modesto salone di toelettatura per cani, l’amore per la figlia Sofia, e un ambiguo rapporto di sudditanza con Simoncino [interpretato da Edoardo Pesce], un ex pugile che terrorizza l’intero quartiere. Dopo l’ennesima sopraffazione, deciso a riaffermare la propria dignità, Marcello immaginerà una vendetta dall’esito inaspettato.

Dopo la prima proiezione a Cannes, Dogman ha avuto dieci minuti di applausi dai critici in sala. La gran parte dei critici lo ha giudicato un film sopra la media, ottimamente recitato, con diversi approcci interessanti e non comuni e con una notevole fotografia. In generale sembra che soprattutto ai critici italiani sia piaciuto davvero molto mentre ai più importanti critici stranieri sia piaciuto un po’ meno; ma ci sono eccezioni.

Tra le parole più ricorrenti nelle recensioni italiane ci sono: “western urbano”, per parlare dell’ambientazione e dell’approccio crudo ai fatti e alle scene; “essenzialità”, per parlare del lavoro di sottrazione di cose e parole fatto da Garrone; e “profondità”, in riferimento ai significati che, secondo molti, ci sono nella apparentemente piccola e semplice storia di Dogman.

Mattia Carzaniga ha scritto su Studio che Dogman è «il film più bello che potrete vedere al cinema in queste settimane, il film più bello da qui a molto del tempo che verrà» e «un film fuori dal nostro tempo, [che] forse proprio per questo nel tempo ci resterà». Gianmaria Tammaro ha scritto sulla Stampa che è «immenso per contenuti, messa in scena, per abilità registica e interpretativa» e perché «ogni immagine ha una forza e una potenza uniche. Sono particolari e totali avvolgenti ed intensi. Di una cura e di un minimalismo eccezionali».

Emanuele Rauco ha scritto su Il mucchio selvaggio che «in una storia che trasuderebbe vendetta, violenza, disagio mentale, Matteo Garrone scopre la dolcezza, la disperazione intima, un’insospettabile pietas sociale». Secondo Pietro Zardo di Internazionale Dogman è bellissimo perché Garrone «riesce a sbarazzarsi di tutta la grevità evocata dalla storia del “canaro”» e «riporta a un universo semplice, infantile, dove chi è più forte, senza eccezioni, mette i piedi in testa a chi è più debole». Una cosa simile l’ha scritta, tra gli altri, Giorgio Viaro su Best Movie: «Garrone prende un fatto di cronaca nera vecchio di 30 anni e ancora pieno di punti interrogativi, lo svuota di gran parte delle coordinate giornalistiche e accede di fatto a un registro surreale, una scatola sociale in cui i due protagonisti sono poco più che modelli psicologici sottoposti a una pressione crescente».

Alberto Piccinini ha scritto su Rolling Stone che Garrone cita Memorie del sottosuolo di Fedor Dostojevski (per «l’incapacità meschina del protagonista di essere uomo d’azione») e che il film parla del «nostro rapporto con la violenza, la “prepotenza”, il lato maschile, cattivo, animale (nel senso dell’etologia sociale). L’infinita forza di seduzione che questo emana». Leonardo Bianchi ha scritto su Vice che «è uscito dal cinema con una notevole angoscia esistenziale addosso». Gabriele Niola ha scritto che il film inventa «un genere nero-rosa che non esiste e che viene qui fondato, a metà tra crimine e melò, tra cocaina sniffata e abbracci cercati». Il film è piaciuto anche a Paolo Mereghetti del Corriere della Sera e, all’estero a Peter Bradshaw del Guardian (cinque stelle su cinque) e a Deborah Young di Hollywood Reporter, secondo la quale Dogman è il punto più alto dei temi cupi dei film di Garrone.

All’estero Dogman non è piaciuto molto a Maryn Conteiro di CineVu, che l’ha ritenuto «interessante e ben fatto, ma non grande e essenziale». Owen Gleiberman, noto critico di Variety, ha scritto che sembra l’incrocio tra Gomorra (film diretto da Garrone) e il cinema di Vittorio De Sica, ma che non riesce a essere nessuna delle due cose. David Ehrlich di IndieWire ha scritto che è un film «laconico e sonnolento», «meno convincente di un barboncino che si finge un incontrollabile randagio». Sul suo blog Luigi Locatelli ha dato 6 e mezzo a Dogman e ha scritto:

«Per una buona mezz’ora il film promette grandi cose, e già si immagina quanto di esplosivo uscirà da quella relazione tra incube e succube, tra carnefice e vittima (non priva di analogie con un’altra coppia maschile garroniana, quella del capolavorissimo L’imbalsamatore). Peccato che poi Dogman non dia corpo a tutte le suggestioni disseminate nella sua prima parte e si perda. Anziché concentrarsi su quel dannato interno e inferno, e su Marcello e Simone, il film esce dai confini dell’antro-negozio, inglobando piccoli personaggi collaterali non così necessari e significativi. Diventando un film ben strutturato, con immagini folgoranti, ma abbastanza qualunque. Voglio dire: un’altra storia di degradi metropolitani e violenze e prepotenze, tra Romanzo criminale, Gomorra la serie e altre suburre. Già visto».

Del suo film, Garrone ha detto: «La storia mi attraeva per certi versi e per altri mi allontanava, in particolare la parte cruenta del fatto di cronaca, non mi ispirava proprio. Mi è sempre sembrata qualcosa di già visto al cinema, il buono che diventa mostro come Cane di paglia o Un borghese piccolo piccolo». E poi: «La strada che abbiamo trovato è molto meno battuta e meno vista, mi pare più interessante, il protagonista non si trasforma mai in un mostro, nonostante quello che gli accade, così rimani fino alla fine con lui».