La storia del delitto del “canaro della Magliana”

Se ne riparla per via di "Dogman" di Matteo Garrone, che però usa quel fatto di cronaca solo come spunto, per raccontare una storia diversa

Dogman, il nuovo film di Matteo Garrone, ha fatto tornare a parlare del cosiddetto “delitto del Canaro della Magliana”, in cui un uomo, Pietro De Negri, detto “canaro” perché aveva un negozio di toelettatura per cani, uccise l’ex pugile dilettante Giancarlo Ricci. L’omicidio fu compiuto il 18 febbraio 1988 e De Negri fu arrestato e confessò un paio di giorni dopo. Del delitto si parlò soprattutto perché il corpo di Ricci fu trovato mutilato e, nonostante fosse semicarbonizzato, era evidente che avesse subìto torture e sevizie di vario tipo, che i giornali raccontarono nel dettaglio.

De Negri – basso, magro e descritto come un tipo pacato – disse di aver ucciso Ricci per vendetta, dopo che per anni ne aveva subito le vessazioni. Negli interrogatori dopo l’arresto e in un memoriale scritto dal carcere De Negri raccontò di aver torturato Ricci per almeno sette ore prima che lui morisse. Tra i molti dettagli delle torture ne rimase impresso soprattutto uno: De Negri disse di aver aperto il cranio di Ricci e di avergli fatto “lo shampoo al cervello”, usando un prodotto che usava per lavare i cani. Non tutto quello che De Negri raccontò però era successo come e quando aveva detto lui.

Come ha spiegato Garrone e come è evidente guardando il film – ambientato in un altro luogo, in un altro periodo storico, con altri dettagli – per Dogman «il fatto di cronaca rimane semplicemente uno spunto» è «non c’è stato nessun tentativo di ricostruire i fatti come sono andati» o di dire che i personaggi «corrispondono a quelli del fatto di cronaca».

De Negri e Ricci

Anche prima di Dogman, il delitto del Canaro era uno dei più noti omicidi della storia italiana; nel 1997 Vincenzo Cerami scrisse nel suo libro Fattacci che gli investigatori che si occuparono del caso gli dissero: «Abbiamo visto di tutto. Teste mozzate; donne fatte a pezzi e bollite nei pentoloni del sapone; cadaveri martoriati e poi carbonizzati; giovinastri con i piedi murati nel cemento e gettati nel lago. Ne abbiamo viste di tutti i colori, ma una storia come questa non ci era mai capitata».

L’omicidio fece molto parlare per le sette ore di torture e perché De Negri fu presentato come il classico uomo pacato e per bene e Ricci come il classico poco di buono: Davide contro Golia, scrissero diversi giornali. In realtà già le prime autopsie dimostrarono che De Negri aveva effettivamente mutilato e seviziato il corpo di Ricci, ma che quelle cose erano tutte avvenute dopo la morte di Ricci, e non c’erano prove di uno shampoo al cervello fatto con un prodotto per cani. De Negri si era quindi inventato diverse cose, non è ben chiaro perché.

Al momento dell’omicidio, De Negri, di origini sarde, aveva 31 anni e una figlia di sette. Gestiva il negozio per cani in via della Magliana 253 ed era anche cocainomane, spacciatore e pregiudicato. Ricci aveva 27 anni: era stato un pugile ed era noto per furti, risse e per essere in genere temuto e malvisto da molte persone del quartiere, che già in quegli anni era problematico e noto soprattutto per la “banda della Magliana”. I giornali di quel periodo scrissero, in riferimento a Ricci, che era così temuto da poter lasciare nel quartiere la sua auto con le chiavi inserite, certo che nessuno l’avrebbe toccata. Di De Negri si scrisse che invece in quartiere era ben visto da tutti; e ci fu chi, dopo l’omicidio, su certi muri scrisse “viva il Canaro”.

De Negri era pregiudicato perché nel 1984 era stato diversi mesi in carcere, a Regina Coeli, per una rapina. In seguito all’arresto per omicidio disse che quella rapina l’aveva fatta con Ricci e che, una volta uscito, non gli era stata data la sua parte di refurtiva. Nel suo memoriale dal carcere De Negri disse che Ricci si presentò da lui perché voleva usare il suo locale per fare un buco nel muro e entrare in quello accanto (così come succede in Dogman).

Ma sembra che De Negri decise di uccidere Ricci per altri motivi: perché Ricci gli rubò uno stereo (un’autoradio, secondo alcune versioni) e gli chiese 200mila lire per riaverlo, perché gli diede una sberla davanti a sua figlia o perché diede un calcio al suo cane. Secondo quanto scritto sulla Stampa, De Negri disse: «Mi insultava, mi sfotteva, m’aveva rubato la radio della macchina e per ridarmela m’aveva scucito 200 sacchi. Ma la cosa che m’ha fatto uscire di testa è stata quando ha preso a calci il mio cane, che c’entrava lui?».

Il 18 febbraio 1988 De Negri usò una scusa per far andare Ricci in negozio: gli disse che voleva, con il suo aiuto, rapinare uno spacciatore di cocaina che sarebbe dovuto andare da lui. Ricci accettò, e verso le 15 andò nel negozio di De Negri. Il suo corpo fu ritrovato alle 8.30 del 19 febbraio in un prato/discarica di via Belluzzo, in zona Portuense. Secondo le ricostruzioni De Negri portò lì il corpo di Ricci intorno alle 22.

Il verbale di polizia sul ritrovamento del corpo di Ricci parlò di «dozzine di inquietanti mutilazioni» e di «un’evidente apertura del cranio, lunga circa 10 centimetri, tanto larga da scorgere all’interno la materia cerebrale coperta da una strana schiuma» e il medico legale disse che era «certamente opera di specialisti, gente che sa come si usa un coltello o un rasoio». Visti i legami di Ricci con la criminalità e date le modalità dell’omicidio, si pensò inizialmente a un regolamento di conti: nelle ore successive furono interrogate almeno 85 persone. Una di loro, Fabio Beltramo, era l’amico che il 18 febbraio aveva accompagnato Ricci al negozio per cani in via della Magliana: è grazie a lui che si arrivò a De Negri.

De Negri fu arrestato il 21 febbraio e Rino Monaco, capo della squadra mobile di Roma, disse che non ci volle molto tempo per farlo confessare. Disse anche che raccontò l’omicidio «come se leggesse un copione, esaltandosi», e che «sembrava di stare in un teatro di prosa». Nei giorni successivi uscirono sui giornali diversi virgolettati di De Negri:

Volevo far rassomigliare la sua faccia a quella di un cane e così gli ho anche tagliato le orecchie come facevo ai dobermann. Sembrava uno zombie. Non moriva mai. Alla fine, esasperato, gli ho aperto la bocca con una chiave inglese, rompendogli i denti, e l’ho soffocato mettendogli dentro tutto quello che gli avevo amputato. Poi l’ho portato tra i rifiuti, dove si meritava, e gli ho dato fuoco.

O anche:

Sentivo il desiderio di smontarlo, continuavo a parlargli e m’incazzavo perché era già morto e continuavo a infamarlo. Di tanto in tanto gli sferravo calci addosso… Ancora oggi sono convinto che lo rismonterei di nuovo tutto. Non nego che sto a posto con la mia coscienza. Ritengo che solo chi ha conosciuto il Ricci Giancarlo o chi ne ha subito oltraggio, possano capire il mio stato d’animo, le mie emozioni che m’hanno portato al mio diabolico gesto… L’incubo era finalmente finito. Invece dovevo riscontrare che era appena cominciato.

Quell’infame non moriva mai. Continuava a respirare. È stata dura. Ma se rinascessi lo rifarei. Il cadavere di quello zombie avrei voluto portarlo in piazza per mettere sopra un cartello grosso come una casa con la scritta: “Ed ecco qua l’ex pugile!”. Non sono pazzo; ho compiuto quel massacro per amore di giustizia e sono pronto a rifarlo… non solo mi sono vendicato delle angherie subite, ma ho liberato il quartiere da un infame… Prendevo cocaina per farmi coraggio, ma ero e sono lucidissimo. Sono un uomo e sono disposto a pagare il mio debito con la giustizia. Se qualche perizia mi dovesse dare torto, mi ucciderò. Comunque adesso alla Magliana staranno tutti festeggiando.»

I giornali scrissero che De Negri raccontò di aver assunto una grande quantità di cocaina e che disse di aver chiuso Ricci in una gabbia per cani, di avergli cosparso il viso di benzina per poi dargli fuoco, di aver messo lo stereo al massimo per coprire le sue grida, di avergli amputato indici e pollici con una tronchesina, di avergli cauterizzato le ferite per tenerlo in vita ed evitare che morisse dissanguato. Disse anche di avergli mutilato naso, orecchie, lingua e organi genitali, e di aver infilato alcune delle dita e delle cose amputate in bocca, facendolo morire per asfissia. Raccontò anche di avergli messo due dita nell’ano, di avergli rotto i denti a martellate e di avergli aperto la scatola cranica. Qualche giornale scrisse anche – ma non è vero – che De Negri in mezzo a tutto questo andò a prendere la figlia a scuola, la portò a casa della madre e tornò da Ricci.

Il racconto di De Negri, sulla sua conoscenza con Ricci e sulle sue sevizie, fu letto dal giudice del processo nei confronti di De Negri in Corte d’assise. In quel processo De Negri si rifiutò di comparire davanti ai giudici. Il memoriale – con alcune omissioni – si può anche leggere qui.

Nel video qui sotto ci sono invece le parole con cui Giovanni Arcudi, anatomopatologo che fece l’autopsia al corpo di Ricci, racconta come trovò il corpo e in cui spiega – intorno al minuto 57 – che tutte le amputazioni avvennero post-mortem. Arcudi dice: «Tutto quello che il De Negri aveva scritto nel memoriale sia sulla natura sia sulla modalità di attuazione delle lesioni non ha trovato nessun riscontro effettivo in quello che sul tavolo anatomico io ho potuto osservare». Arcudi spiega che Ricci morì in circa quaranta minuti: per emorragia cerebrale, dopo una decina di martellate. Non è nemmeno vero che De Negri fece entrare Ricci in una gabbia.

Anche le vicende giudiziarie di De Negri sono state strane. Alla fine del 1988 una perizia giudiziaria decise che era incapace di intendere e di volere e che, come scrisse Repubblica, «stando agli esperti, se l’uomo non ricorre alla cocaina non è da considerarsi socialmente pericoloso». Il 12 maggio 1989, poco più di un anno dopo l’omicidio, Ricci tornò in libertà provvisoria per un breve periodo. Poi, circa una settimana dopo, fu mandato in un istituto psichiatrico. Il 26 giugno 1990, al termine del processo alla Corte d’assise (quello del video), fu condannato a 24 anni di prigione.

Nel 1993 la condanna fu confermata in appello. Nel 2005 uscì dal carcere, dove tenne sempre una buona condotta e si interessò soprattutto a extracomunitari e persone con AIDS. È tornato a vivere con la moglie e non ha mai dato dichiarazioni alla stampa o accettato soldi per raccontare in un libro la sua storia: «Voglio essere dimenticato», disse. Da decenni esiste una teoria, senza grandi fondamenti, secondo la quale l’omicidio aveva a che fare davvero con questioni diverse e più grandi. E secondo la quale De Negri non fu l’unico responsabile dell’omicidio di Ricci, la cui madre ha detto a Chi l’ha visto? che «il canaro è un pupazzo» e «non è stato lui a uccidere mio figlio» perché «erano minimo in quattro, lui non l’ha sfiorato nemmeno con un dito».