(MAHMUD HAMS/AFP/Getty Images)

C’è stata una strage di manifestanti a Gaza

I soldati israeliani hanno sparato a chi protestava contro l’apertura dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, i morti sono almeno 58

Almeno 58 manifestanti sono stati uccisi dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, durante le proteste iniziate questa mattina lungo il confine con Israele contro lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, e in occasione della vigilia della Nakba (che significa “catastrofe”), in cui i palestinesi ricordano la sconfitta nella guerra del 1948, e quindi l’espulsione dalle proprie case da parte degli israeliani.

Secondo il ministero della Salute della Striscia, tra i 58 palestinesi uccisi ci sarebbero anche un ragazzino di 12 anni, un altro di 14 e 8 giornalisti. Ci sarebbero anche 2.410 feriti, di cui 770 circa per colpi di arma da fuoco. Secondo l’esercito israeliano, i palestinesi che hanno partecipato alle proteste sarebbero 40mila: un numero che il portavoce dell’esercito ha definito “senza precedenti”.
Le morti sono state provocate dai colpi sparati dai soldati israeliani di guardia lungo la barriera che divide Israele dalla Striscia, dove erano in corso le manifestazioni. In teoria l’esercito israeliano dovrebbe sparare per uccidere solo quando ci sono vite a rischio, ma a Gaza le regole di ingaggio sono sempre state usate con una certa flessibilità e i soldati sparano quando i manifestanti si avvicinano troppo al confine.

Ci sono stati scontri tra palestinesi e forze di sicurezza israeliane anche in Cisgiordania, durante una marcia partita da Ramallah e diretta alla barriera di Qalandiyah, vicino a Gerusalemme. Gli scontri sono durati diverse ore e la situazione sembra essersi tranquillizzata a metà pomeriggio, dice il giornalista del Post Luca Misculin che si trova lì.

Mezzi dell’esercito israeliano davanti a un edificio nei pressi della barriera di Qalandiyah (Luca Misculin/il Post)

L’esercito israeliano si è scontrato con decine di manifestanti anche nel nord di Betlemme e ci sono stati scontri anche nei pressi della nuova ambasciata di Gerusalemme, dove sembra ci siano circa 200 manifestanti palestinesi. La polizia israeliana ha arrestato diverse persone. L’esercito israeliano ha inoltre confermato di aver bombardato cinque postazioni di Hamas nella striscia di Gaza e ha detto che si sta preparando per difendersi da eventuali attacchi con missili lanciati da Gaza.

Commentando l’esito della giornata di proteste, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto che «ogni nazione ha il diritto di difendere i propri confini. Hamas dice chiaramente che la sua intenzione è quella di distruggere Israele e invia migliaia di persone a sfondare il confine con quell’obiettivo. Continueremo ad agire con determinazione per difendere la nostra sovranità e i nostri cittadini».
Il portavoce della Casa Bianca Raj Shah, poi, ha detto che l’amministrazione Trump sostiene pienamente Israele nel suo «diritto di difendersi», e che la responsabilità delle morti di oggi è da attribuirsi completamente ad Hamas.

Perché si manifesta?
Alle grandi proteste di oggi si è arrivati dopo settimane di tensioni molto alte e altre proteste, che ogni settimana hanno causato morti e feriti. Le ragioni di chi protesta sono molte e diverse: l’embargo di Israele verso la Striscia di Gaza, che dura da più di dieci anni, l’assenza di lavoro e prospettive, il risentimento verso la classe dirigente palestinese. Gli organizzatori hanno saputo incanalare l’esasperazione degli abitanti della Striscia nell’unico tema caro a tutti i palestinesi: il diritto di tornare ad abitare le terre da cui sono stati espulsi nel 1948, alla fine della prima guerra israelo-palestinese seguita alla creazione dello stato d’Israele.

Ok, ma perché proprio adesso?
Negli ultimi tempi è successa una serie di cose che hanno esacerbato le frustrazioni dei palestinesi e in particolare degli abitanti della Striscia.

I palestinesi sono abituati da sempre a dare grande importanza al dibattito internazionale che si è creato intorno alla loro causa. L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca era stata accolta con cauto ottimismo, quasi subito rientrato: la nuova amministrazione americana ha nominato un ambasciatore in Israele molto vicino al movimento dei coloni, cioè gli israeliani che vivono nei territori che secondo la comunità internazionale appartengono ai palestinesi; e soprattutto ha deciso di spostare la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, una città contesa da decenni fra israeliani e palestinesi. Una decisione così sbilanciata a favore degli israeliani, assieme alla blanda reazione della comunità internazionale, ha convinto molti palestinesi che la soluzione ai loro problemi sia sempre più lontana.

Altre informazioni sulle proteste di questi giorni, le trovate qui:

Le proteste nella Striscia di Gaza, spiegate

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