Il mondo non è pronto per una nuova grande eruzione vulcanica

Un'eruzione come quella di due secoli fa in Indonesia potrebbe bloccare le telecomunicazioni, i trasporti e cambiare il clima per anni, con enormi danni economici globali

Il vulcano Tambora (AP Photo/KOMPAS Images, Iwan Setiyawan)
Il vulcano Tambora (AP Photo/KOMPAS Images, Iwan Setiyawan)

Nel 1815 la gigantesca eruzione del vulcano Tambora in Indonesia causò la morte di decine di migliaia di persone sull’isola di Sumbawa e su quella vicina di Lombok. L’enorme nube di fumo e polveri prodotta dal vulcano fu trasportata dai venti di alta quota e si disperse in buona parte del mondo, causando un abbassamento della temperatura media globale. L’effetto fu tale da condizionare il clima per mesi, al punto da rendere il 1816 conosciuto come “l’anno senza estate”. L’eruzione raggiunse il livello 7 (su 8) dell’indice di esplosività vulcanica (VEI 7), un evento che nei 200 anni seguenti non ha avuto uguali. E proprio il fatto che da due secoli non ci siano state eruzioni di questo tipo pone numerosi interrogativi su cosa potrebbe accadere alle nostre società, nel caso di un nuovo evento paragonabile a quello del Tambora.

Chris Newhall – un vulcanologo che lavora nelle Filippine – ha scritto con alcuni colleghi un interessante studio pubblicato sulla rivista scientifica Geosphere, con valutazioni e ipotesi sulle potenziali conseguenze di un’eruzione di tipo VEI 7. Le previsioni non sono molto incoraggianti, non solo per i prevedibili effetti di un grande evento vulcanico a livello locale, ma anche per quelli su scala globale in società come le nostre sempre più connesse, sia nel campo dei trasporti che della trasmissione dei dati. E gli stessi precedenti di qualche anno fa non lasciano molto tranquilli.

Nei primi mesi del 2010 l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull causò grandi problemi ben oltre l’Islanda benché fosse di tipo VEI 3, quindi di gran lunga più contenuta rispetto all’evento del Tambora due secoli fa. Si produsse una grande colonna di fumo e polveri che raggiunse gli strati più bassi dell’atmosfera, spandendosi su parte dell’Europa e dell’oceano Atlantico. Per motivi di sicurezza fu disposta la sospensione di una grande quantità di voli di linea, complicando i collegamenti tra Europa e numerose destinazioni, comprese quelle statunitensi. Il problema riguardò anche il trasporto aereo delle merci, con ritardi e disguidi, e danni stimati in oltre 4 miliardi di euro.

L’analisi di quanto avvenne con l’Eyjafjallajökull e in altre grandi eruzioni precedenti – come quella del Mount St. Helens nel 1980 (VEI 5) negli Stati Uniti e del Pinatubo nel 1991 (VEI 6) nelle Filippine – ha permesso a Newhall e colleghi di stimare i problemi cui potremmo andare incontro. Paradossalmente, proprio il fatto di avere società più interconnesse a livello globale potrebbe causare più problemi rispetto a come sarebbero andate le cose solo 20 o 30 anni fa, quando la società dell’informazione era meno evoluta.

Le economie sviluppate e quelle in via di sviluppo hanno forti legami e rapporti, con dipendenze reciproche in settori come quelli dell’agricoltura, dell’energia e dei sistemi di comunicazione. Una nube di fumo e polveri paragonabile a quella del Tambora potrebbe complicare la trasmissione dei dati attraverso i satelliti. Nella ricerca viene per esempio citato il sistema GPS, una risorsa fondamentale per il posizionamento geografico, che in caso di avaria creerebbe problemi senza precedenti ai sistemi di trasporto. Riguarderebbe aerei, automobili e altri mezzi di trasporto, sia delle persone sia delle merci.

Il cambiamento del clima, seppure temporaneo, potrebbe avere altri pesanti effetti sull’economia globale, a partire dall’agricoltura. Se l’eruzione del Tambora portò a un “anno senza estate”, nel 1257 un evento simile causato dal vulcano indonesiano Salamas contribuì secondo molte teorie ad alimentare la cosiddetta “piccola era glaciale”, un periodo di temperature globali più basse avvenuto tra il XVI e il XIX secolo. Alan Robock, uno degli autori della ricerca, ha spiegato che: “Cose di questo genere sono enormemente importanti per il nostro pianeta, ma la prossima avverrà in circostanze molto diverse”, facendo riferimento a come è cambiato il mondo negli ultimi decenni.

Lo studio di Newhall è stato accolto con grande interesse perché non è catastrofista, ma vuole piuttosto incentivare altri ricercatori a effettuare studi e simulazioni, in modo da offrire ai governi del mondo chiare basi scientifiche cui fare riferimento per organizzare le loro politiche di prevenzione ed emergenza. L’incentivo è rivolto agli stessi vulcanologi per renderli più creativi nei loro studi, comprendere meglio le cause delle grandi eruzioni e in ultima istanza migliorare i sistemi per capire dove si potrebbe verificare la prossima eruzione VEI 7.

Newhall e colleghi hanno identificato qualche possibile candidato. Tra i vulcani da tenere d’occhio ci sono il Taupo in Nuova Zelanda, che portò a una enorme eruzione VEI 8 circa 25.600 anni fa. Un altro da non sottovalutare è il Damavand in Iran, ad appena 50 chilometri di distanza da Teheran. Un vulcano produce di solito qualche segnale precursore prima di una grande eruzione, ma considerata l’entità delle eruzioni discusse la preparazione dovrebbe essere su una scala molto più grande e non limitata a livello locale.

Gran foto di vulcani ed eruzioni dal mondo