La nuova vita del presidente della Bosnia serba

Milorad Dodik aveva iniziato la sua carriera politica da moderato, oggi è considerato quasi un dittatore

(ELVIS BARUKCIC/AFP/Getty Images)
(ELVIS BARUKCIC/AFP/Getty Images)

Fino a qualche anno fa la comunità internazionale pensava di aver trovato un leader rassicurante e moderato per la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, una delle tre entità in cui è divisa la Bosnia, nonché tra i più fragili territori contesi in Europa. Si chiamava Milorad Dodik ed era stato definito «una boccata d’aria fresca» dall’allora segretaria di Stato americana Madeleine Albright. La comunità occidentale lo appoggiava soprattutto per la sua contrarietà alle politiche di Radovan Karadžić, ex leader della Repubblica condannato a 40 anni per crimini di guerra. Le cose sono andate in modo diverso: negli ultimi anni Dodik «si è trasformato in uno spregiudicato nazionalista e ha seguito attentamente il manuale del perfetto autocrate serbo», ha scritto di recente il New York Times, che ha dedicato a Dodik un articolo molto poco lusinghiero.

La Repubblica Serba è la più aggressiva fra le entità in cui è divisa la Bosnia ed è sottoposta a continue tensioni per via del nazionalismo dei suoi abitanti, fomentato dal governo serbo e dalla Russia, storico patrono della causa serba. Un anno e mezzo fa gli abitanti della Repubblica hanno votato per rendere il 9 gennaio, la data a cui si fa risalire l’inizio della guerra civile in Bosnia, una festa nazionale. Nonostante il referendum fosse stato osteggiato dai bosniaci musulmani e dai croati cattolici, e dichiarato illegale dalla Corte Costituzionale, il Sì aveva vinto col 99,81 per cento dei voti. Il referendum era stato indetto proprio da Dodik, il leader unico della politica serbo-bosniaca.

Dodik è nato a Banja Luka, la capitale regionale dell’etnia serba, ha una laurea in scienze politiche ed è in politica da più di trent’anni. Dopo una breve esperienza da consigliere comunale, durante la guerra civile fu il capo dell’unico partito che si oppose al Partito Democratico Serbo di Karadžić, che nel 1996 fu rimosso dalla carica di presidente della Repubblica Serba di Bosnia. Più tardi a partire da quell’esperienza Dodik fondò l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), che dal 2006 ha sempre vinto le elezioni presidenziali nella Repubblica. Dal 2010 è proprio Dodik che ricopre questa carica, secondo diversi analisti alla stregua di un dittatore.

Fra le altre cose Dodik ha chiesto a tutti i politici serbi eletti in Bosnia di lavorare a Banja Luka – dove Dodik lavora in un edificio che chiama Palazzo della Repubblica – ha inasprito il controllo statale sui giornali e l’economia e definito la Bosnia multiculturale «un’idea nata dai musulmani» accettata acriticamente dall’Occidente. La sua opposizione a Karadžić bastava a renderlo accettabile dall’Europa e dagli Stati Uniti, ma ultimamente Dodik ha cambiato decisamente direzione spostandosi verso la Russia e il suo presidente Vladimir Putin: forse anche per reazione, dato che diversi paesi balcanici dell’area si stanno invece avvicinando all’Europa.

A luglio Balkan Insight, un sito di news che si occupa di paesi balcanici, ha notato che Dodik è il leader balcanico che si è incontrato più spesso Vladimir Putin. La settimana scorsa il ministero degli Interni della Repubblica e il governo russo hanno stretto un accordo per addestrare un “corpo speciale” all’interno della polizia serbo-bosniaca. «Possono accusarmi cento volte di essere un cattivo», ha detto Dodik ha New York Times, «ma io sono un politico. Sto seguendo la volontà della gente che vive qui. E la gente non vuole più vivere in Bosnia».

Gli osservatori occidentali temono che prima o poi Dodik possa indire un nuovo referendum; stavolta sull’indipendenza dalla Bosnia, come ha promesso più volte in questi anni. Gli analisti occidentali temono che un eventuale voto del genere – quasi certamente appoggiato dalla Russia – possa riaccendere la tensione in una zona dove il conflitto etnico è reso ancora più acuto dalle difficoltà economiche e dalle fragili e corrotte istituzioni statali.

Non tutti sono convinti che Dodik manterrà le sue promesse. Loïc Trégourès, un esperto di politica dei Balcani, ha raccontato al New York Times che Dodik in fondo è «un politico che farebbe di tutto per restare al potere»: «una volta mi ha confidato in maniera molto franca: “posso parlare quanto voglio di sanità e welfare, ma nessuno mi ascolterebbe. Se invece prometto di lottare per una repubblica indipendente, tutti mi acclameranno”».