• Mondo
  • Martedì 26 dicembre 2017

In Sudafrica le cose stanno cambiando

Il partito che sostiene il presidente Jacob Zuma ha eletto come leader uno dei suoi avversari, che potrebbe costringerlo alle dimissioni

(Christopher Furlong/Getty Images)
(Christopher Furlong/Getty Images)

Il lungo mandato del presidente sudafricano Jacob Zuma, da tempo molto contestato e al centro di varie accuse di corruzione, potrebbe subire presto qualche scossone, se non addirittura finire. Tre giorni fa il Congresso Nazionale Africano (ANC) – il partito che domina la politica sudafricana dalla fine dell’apartheid, di cui fece parte Nelson Mandela e di cui fa parte Zuma – ha eletto il suo nuovo presidente: si chiama Cyril Ramaphosa, è un ricco imprenditore ed ex sindacalista di 65 anni, e nonostante sia il vicepresidente del paese è abbastanza ostile a Zuma. Diversi analisti hanno cercato di capire se l’elezione di Ramaphosa potrebbe portare alle dimissioni di Zuma prima del 2019, anno in cui concluderà il suo secondo e ultimo mandato (la legge sudafricana pone un limite di due mandati da cinque anni).

I guai di Zuma arrivano da lontano e riguardano sia il Sudafrica, che governa dal 2009, sia le strutture dell’ANC. Da diversi anni Zuma è accusato dall’opposizione (ma anche da una parte del suo partito) di aver peggiorato la situazione economica e finanziaria del Sudafrica, in cui il 90 per cento della ricchezza è concentrato nel 10 per cento della popolazione. Dal 2009 a oggi il tasso di disoccupazione in Sudafrica è cresciuto dal 23,6 al 28 per cento – una percentuale altissima, simile a quella della Grecia – e il debito pubblico del paese è raddoppiato. Nel paese si tengono periodicamente manifestazioni di massa per chiedere le dimissioni di Zuma, che fra l’altro è al centro di diversi casi di corruzione e frode fiscale che vanno dall’uso di fondi pubblici per ristrutturare la sua villa al favoreggiamento di una nota famiglia di imprenditori indiani, i Gupta.

L’ANC vince le elezioni sin dalla fine dell’apartheid, ma la corruzione è notoriamente diffusa a tutti i livelli. Alle ultime elezioni amministrative dell’anno scorso l’ANC ha preso il 54 per cento dei voti, il suo peggior risultato dal 1994. Uno dei punti chiave della campagna elettorale di Ramaphosa è stata proprio la lotta alla corruzione interna al partito, che in molti hanno interpretato come un’accusa implicita a Zuma (con cui i rapporti non sono buoni come un tempo). Ramaphosa piace molto agli osservatori internazionali e ai sudafricani che vivono alle città, e in generale ci sono pochi dubbi che vincerà le elezioni del 2019. Ma cosa succederà ora che è il capo del partito di Zuma, nonostante formalmente ne sia il vice?

Lebo Diseko, una giornalista sudafricana che lavora per BBC News, ha elencato tre cose che potrebbero succedere da qui alle elezioni del 2019. La più intuitiva è che Ramaphosa possa “licenziare” Zuma, nel caso la pressione nei suoi confronti torni a essere alta come spesso successo nei mesi scorsi. Per farlo Ramaphosa ricorrerebbe probabilmente al comitato esecutivo nazionale (NEC) dell’ANC, l’organo più importante del partito, che fra le sue prerogative ha anche sfiduciare il presidente in carica e invitarlo alle dimissioni. Nella storia del Sudafrica è già successo una volta e proprio col predecessore di Zuma, Thabo Mbeki. Il NEC si riunirà per la prima volta dall’elezione di Ramaphosa fra il 5 e il 7 gennaio, ma i sostenitori di Ramaphosa sono in minoranza e approvare una mozione contro Zuma al momento sembra molto complicato.

Un’altra possibilità ipotizzata da Diseko è che Zuma si dimetta spontaneamente; ma finora il presidente sudafricano è rimasto al potere anche a fronte di contestazioni durissime, e ha sempre negato questa possibilità. Oppure, infine, Ramaphosa potrebbe semplicemente aspettare che Zuma concluda il suo mandato e poi candidarsi per sostituirlo alle elezioni del 2019.

Al momento Ramaphosa non si è espresso sulla possibilità di sfiduciare Zuma, e quindi l’ultima ipotesi sembra la più probabile. I pro e i contro però si bilanciano: da una parte, lasciando Zuma al potere, Ramaphosa eviterebbe uno strappo con la fetta di partito che ancora lo sostiene, e sarebbe praticamente certo di prendere il suo posto nel 2019. Dall’altra, aspettare ancora due anni significherebbe probabilmente rimandare il mantenimento di alcune sue promesse elettorali molto ambiziose, come la creazione di un milione di posti di lavoro e un aumento del 5 per cento del PIL entro il 2023. Più Ramaphosa rimane legato a Zuma, più rischia di perdere consensi in vista del 2019.